giovedì 2 aprile 2015

Etica del lavoro e Responsabilità sociale

ETICA DEL LAVORO E RESPONSABILITà SOCIALE     

 Dal latino rispondere-sposare

È la risposta che l’individuo, la società dà a determinate considerazioni. Si necessità si una responsabilità sociale, perchè l’economia andando ad incidere nel sistema sociale va a creare delle problematiche di tipo economico e quindi sociale.
Il welfare State nasce in Inghilterra nel 1600 per rispondere alle problematiche della povertà attraverso le POOR LOW. Se esiste la ricchezza esiste la povertà cioè la mancanza di ricchezza, che vuol dire non solo la mancanza di un bene ma anche l’impossibilità di partecipare alla vita sociale.
Alla comprensione dei problemi che si presentano può contribuire la riflessione di A.Sen che ha legato povertà, bisogni, libertà, capacità e responsabilità, poiché i beni primari costituiscono mezzi per la libertà, ma non possono rappresentare la libertà a causa delle differenze tra gli esseri umani per quanto riguarda le loro capacità di trasformare beni primari nella libertà di perseguire i propri obiettivi. Ad es. un’uguale dotazione di beni primari può rendere le persone con invalidità fisiche meno libere di perseguire il loro benessere.
Il lavoro costituisce parte essenziale della libertà, che qualifica la condizione di povertà, Sen è in grado di fornire un criterio di qualificazione della povertà spostando l’attenzione dai beni primari alle capacità e alle libertà, e quindi si può dare una diversa valutazione delle disuguaglianze sociali.
Questo spostamento è rilevante per la scelta dei criteri che stabiliscono l’esistenza di stati di privazione o povertà, in altre parole considerare la povertà in termini di basso reddito o in termini di un’insufficienza di libertà.
La “teoria dei funzionamenti” di cui parla Amartya Sen, sostiene che i funzionamenti sono le possibilità degli individui di entrare nelle diverse sfere della società, vale a dire la possibilità di sviluppo basandosi sulle possibilità di scelta dell’individuo, lì dove impedimenti fisici o condizioni economiche impediscono lo sviluppo di una persona interviene lo Stato ad eliminare gli ostacoli.
Sul terreno delle politiche del lavoro si realizza l’incontro necessario tra la responsabilità sociale e la responsabilità personale, in una prospettiva etica non lontana da quella di Tocqueville.
Nel Memoire sur le pauperisme (pauperismo=problema della povertà) pubblicato nel 1835, negli anni della prima rivoluzione industriale,opponendo la mancanza dei mezzi di sussistenza la diffusione del lavoro salariato come mezzo per procurarsi un reddito adeguato.
Sul pauperismo sarebbe tornato nel 1843 con la Lettre sur le pauperisme en Normandie, si presentava al momento dell’esplosione della questione sociale, cioè sulla base della diffusa opinione che la povertà fosse dannosa per la convivenza sociale,per lo sviluppo della democrazia e per la società.
La novità introdotta da Tocqueville riguarda la percezione della povertà non come povertà assoluta determinata da un quadro socio-economico tradizionale, ma come povertà da contestualizzare in relazione alle nuove forme dell’economia contemporanea e all’insorgere di nuovi bisogni.
Secondo T. l’essere umano nasce con alcuni bisogni e altri li produce, ma i primi sono connessi ai bisogni primari e i secondi alle abitudine e all’educazione.
Anticamente gli uomini avevano esclusivamente bisogni naturali, ma con l’estendersi delle facoltà di godimento,sono nati alcuni piaceri divenuti necessari.
L’uomo civilizzato, dunque, è più esposto alle vicissitudini del fato rispetto all’uomo selvaggio, poiché al secondo capita di tanto in tanto mentre al primo in ogni momento.
Ma T. lega la povertà alla nuova condizione dell’indigente, meritevoli solo di Workhouses previste in Inghilterra, il popolo della nuova società è un lavoratore meritevole del suo salario,condannato all’indigenza della sua povertà, egli,pertanto riconduce il problema della responsabilità sociale, sostenendo che il povero deve rivendicare il diritto al lavoro per non essere umiliato, ma anche la società politica deve saper rispondere al bisogno assicurando lavoro.
Esistono due tipi di beneficenza: uno di orientamento cristiano sostiene che l’uomo deve essere aiutato ad alleviare il suo male, l’altro di orientamento protestante, sostiene che la società stessa ad occuparsi delle avversità dei suoi membri e a provvedere all’attenuazione delle loro sofferenze.
T. è favorevole alla carità perchè crea legami comunitari, ma la critica perchè essa deprime la dignità personale promuovendo la passività invece del diritto al lavoro.
Un secolo dopo T. Beveridge pone basi sulla questione della responsabilità pubblica nei confronti della povertà e del lavoro, sottolineando l incidenza sociale e politica dei due aspetti del problema, etico, sociale ed economico.
Il problema della povertà assume il profilo della responsabilità sociale dell’intera comunità e risponde alle aspirazioni degli indigenti a lavoro come diritto e all’assistenza come caratteri essenziali dell’azione dello stato.
In Italia Giorgio La Pira affronta nel dopo guerra la questione della povertà riallacciandosi alla politica sociale keynesiana dell’occupazione e all’impostazione  prospettate da Beveridge.
Egli sostiene che il bisogno, le malattie, l’ignoranza devono essere considerati come nemici comuni,inoltre egli entrerà in contrasto con Luigi Sturzo che possiamo definire liberale mentre La Pira vuole promuovere l intervento dello stato,quindi il lavoro non è solo una dimensione etica, ma prima di essere produzione è realizzazione,generando pertanto un disagio esistenziale.
Su queste basi viene fondata l etica del lavoro, che non riguarda solo l uscita dalla povertà attraverso l autosufficienza economica ma la collocazione sociale.
Ciò che salda il ragionamento di T. a quello di B. è la convinzione che con la rivoluzione industriale la povertà non è più inamovibile in forza delle scarse risorse distribuibili, ma è invece la sottrazione da parte di pochi ad altri esseri umani “i lavoratori”di beni e strumenti “il lavoro” che potrebbero far uscire dalla povertà se equamente distribuiti.
La Pira afferma che abbiamo del lavoro una sorta di utilitarismo, che è una corrente filosofica che nasce in Scozia a metà 800 e tutti riconoscono in Smith il padre dell’utilitarismo, è quell’atteggiamento che permette alla fine dello sforzo umano un profitto materiale o non.
La precarietà sociale ed economica che accompagna il lavoratore introduce un paradosso: da un lato il lavoro svolto perde la sua qualità per assumere la funzione di strumento per procurarsi un reddito, dall’altro la nascita di un’area sociale contraddistinta dal non lavoro o dall’insufficienza di reddito.
La vera novità è manifestata nel caso del working poors, lavoratori non precari, ma segnati da redditi insufficienti,Sen propone che si consideri come ad es. una persona che non sia povera,debba spendere gran parte de reddito per curarsi può diventare povera a causa della poca libertà che ha di conseguire apprezzabili functioning.
Di fronte alla diffusione del lavoro mal pagato l’elevazione dei livelli di erogazione assistenziale deve fare i conti con la cautela e occorre ,dunque, privilegiare l azione sindacale e l innalzamento dei salari.
Un efficace workfare renderebbe evidente che il diritto al lavoro è anche dovere di cercarlo e di praticarlo.
La povertà è data dalla condizione dell’occupato che è condannato all’esclusione sociale, si pensi agli immigrati privi di beni essenziali.
Ispirandosi al nesso tra diritto e responsabilità, riproponendo la questione della partecipazione civile di B. la responsabilità non è un dovere ma un diritto.

Una soluzione per ridurre la povertà tra i lavoratori potrebbe essere quella di definire approcci ad obbiettivi multipli che migliorassero il reddito, la qualità del lavoro, ma che fossero anche sensibili allo sviluppo del patrimonio individuale e delle famiglie. 
R.M.

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