Il Servizio Sociale

Il Servizio Sociale rientra nell'Assistenza Sociale, intendendo quest’ ultima l’insieme delle misure attuate in un sistema di welfare state per garantire ai cittadini di uno stato, il diritto al mantenimento di un minimo tenore di vita.

Mentre la previdenza è tradizionalmente legata allo status professionale, l’assistenza riguarda più genericamente tutti gli individui in condizioni di bisogno, a prescindere dalla loro capacità contributiva.

Un pò di storia...

Fino al XVII sec. in tutto il mondo, l’attività assistenziale era riservata alle iniziative caritatevoli e di beneficenza a opera di filantropi o associazioni religiose, non veniva, certo,organizzata dallo Stato, poiché era la famiglia che doveva prendersi cura dei suoi membri.
Tuttavia l’idea di creare un contesto politico-sociale in cui stare bene è antica.
Fino alla fine dell’800 lo Stato badava a che non intervenissero turbamenti esterni tali da impedire il cittadino di poter provvedere alla propria vita nel miglior modo possibile.
Nelle società di organizzazioni familiari di tipo aggregato, condizioni sociali sfavorevoli o disuguaglianze venivano compensate dalla famiglia stessa, il patrimonio era considerato un dato sociale e non individuale, che serviva al mantenimento di tutta la famiglia, coloro che perdevano l’accesso a tale rete, esisteva la tutela di tipo religioso.
Il diritto dello Stato di garantire il benessere è un concetto acquisito da poco, con la rivoluzione industriale emerse la questione sociale, poiché anche chi aveva un lavoro, gli operai, non riuscivano a ricavare un reddito sufficiente per uscire dalla miseria.
Dopo i primi interventi legislativi, contro i rischi d’infortunio e a favore delle donne e dei bambini, fu nella Germania di Bismark a prendere l’avvio lo stato sociale, nella convinzione che il lavoratore ha una funzione sociale.

Connessioni con la Sociologia...

Una delle discipline che prende in considerazione l’assistenza sociale e il servizio sociale è la sociologia con i suoi padri fondatori Emile Durkheim e Marx Weber.
La sociologia è lo studio delle interazioni sociali all'interno dei gruppi e fra gruppi e la sua analisi riguarda gruppi di ordine decrescente per dimensione e complessità partendo dalle società e includendo dunque anche i servizi sociali.
 Per Durkheim il problema dell’ordine è quel problema centrale della sociologia, egli individua un nesso tra forme divisione del lavoro e forme della solidarietà sociale.
Per D. esistono due forme diverse di solidarietà :
  • quella che si genera tra uguali solidarietà meccanica, caratterizza le società, in cui ogni individuo è autosufficiente e si aggrega agli altri in maniera meccanica, senza che incida sulla forza di coesione della comunità.
  • e quella che si genera tra diversi solidarietà organica, che si verifica nei sistemi sociali moderni, è caratterizzata dal fatto che ogni individuo svolge in essi una mansione specifica indispensabile per la sopravvivenza di tutti.
La solidarietà, è una dimensione astratta essa si manifesta nelle norme giuridiche e, in particolare, nel tipo di sanzioni che colpiscono chi viola tali norme.
Nelle società moderne il vincolo di solidarietà è di natura interna, è fondato sui nessi d’interdipendenza tra le varie funzioni e professioni.
Tra l’altro non sempre la divisione del lavoro genera solidarietà, ma può condurre anche a condizioni di anomia ( assenza di norme o disordine normativo) e per far fronte a questo D. invoca la rivitalizzazione degli ordinamenti delle corporazioni professionali, capaci di ristabilire vincoli di natura morale.
Per Max Weber oggetto e scopo delle scienze storico-sociali è la comprensione oggettiva dell’agire sociale, cioè dotato di senso.
La spiegazione causale consiste nell'isolare, in una situazione storica determinata, un campo di possibilità,mostrando le condizioni che hanno reso possibile la decisione, la sociologia deve costatare i fatti.
Ma la grande teorizzazione di Weber è quella che pone il conflitto al centro dell’analisi sociale.
A differenza di Marx, per Weber il conflitto non si riduce alla lotta di classe.
Esse nascono dalla contrapposizione di interessi economici.
Determinante per stabilire l’esito del conflitto è quindi il potere di mercato, che dipende dalla capacità di una classe di monopolizzare l’offerta della risorsa scambiata.
Ma la sfera economica non è l’unica nella quale si manifesta il conflitto,si collocano anche le sfere della politica, del diritto, della religione,dell’onore e del prestigio.
I conflitti che si manifestano in una sfera si ripercuotono e possono estendersi anche alle altre.
Il conflitto è per Weber la sua condizione normale.
Esso non conduce alla disgregazione, ma alla creazione di strutture istituzionali (ordinamenti sociali) che svolgono la funzione di regolazione del conflitto.
Infine in Weber non c’è un esito finale, il conflitto genera sia ordine sia mutamento.
L’ordine è l’assetto delle istituzioni che regolano temporaneamente il conflitto;
il mutamento trasforma le istituzioni esistenti o dà vita a nuove istituzioni.
La società è l’insieme di istituzioni e conflitti, mentre gli attori sociali si muovono in essa.

uno sguardo verso il futuro...

Secondo alcune teorie sociologiche il servizio sociale è in gran parte la conseguenza dell’evoluzione sociale.
Il servizio sociale faceva parte della nuova società industriale complessa, e la sua funzione è quella di mitigare gli effetti del disgregarsi della comunità, e nello stesso tempo far fronte ai cambiamenti sociali e all'adattamento alle nuove condizioni sociali.
Si possono delineare importanti campi della conoscenza sociologica dai quali derivano i contributi più fecondi per il servizio sociale.
La prima di queste aree riguarda i dati di cui gli assistenti sociali hanno bisogno per comprendere il cliente nel contesto del suo ambiente socio-culturale: l’influenza della sua famiglia della classe sociale, della cultura,sui suoi atteggiamenti verso i propri problemi e verso i servizi sociali e le capacità che offre l’assistente sociale.
La seconda area d’interesse del servizio sociale è lo sviluppo dei concetti teoretici che possono aiutare a comprendere l’interazione sociale fra l'utenza.
La terza area è l’organizzazione formale e informale degli enti che erogano servizio sociale e gli effetti che queste organizzazioni hanno sulla pratica del servizio sociale.
Alcuni sociologi danno rilievo al carattere “naturale” del comportamento umano, il pericolo a cui si trova l’assistente sociale è che egli può riconoscere alla conoscenza che prende in prestito dalla sociologia, una certezza maggiore e una semplicità maggiore di quanto non farebbe un sociologo.
Il servizio sociale ha avuto queste tendenze nei confronti della psicanalisi, le proposte dei sociologi hanno bisogno di essere trattate con precauzione.
Gli assistenti sociali devono mettere alla prova da sé se le ipotesi sociologiche sono utili per il loro problema.
La tendenza di alcune teorie sociologiche è quella di suggerire che la personalità è quasi completamente il risultato di un condizionamento ambientale, che non tiene conto l’importanza delle tendenze biologiche.    


In Italia

Il concetto di “assistenza” in Italia è stato assente fino ai primi anni del novecento ,nonostante fossero già presenti,tra il 1880 ed il 1886, le problematiche che provocarono l erosione del tessuto sociale e delle reti di solidarietà sociale e familiare. Le condizioni della popolazione del mezzogiorno cominciarono ad essere denunciate e per esse si richiedeva l intervento dello Stato. Le funzioni di assistenza continuarono ad essere svolte maggiormente da istituzioni per lo più religiose,mentre lo Stato garantiva un’ assistenza limitata  ad interventi di ricovero in casi di indigenza e,dal 1904,anno in cui furono istituiti i manicomi,alla reclusione dei soggetti considerati malati di mente nelle strutture manicomiali.
Lo Stato considerava la funzione sociale dell’ assistenza, come provvedimenti atti a contenere le problematiche sociali con una logica di controllo attraverso l’ istituzionalizzazione, in modo da mantenere un ordine sociale più che mettere in atto provvedimenti volti ad eliminare il disagio sociale,la povertà o le altre problematiche sociali.
Lo Stato interveniva solo dopo che le altre istituzioni di beneficenza e le congregazioni di carità erano intervenute nei confronti del cittadino in difficoltà, poiché era insita nella cultura sociale che assistenza e beneficenza fossero connessi con lo spirito di solidarietà dell’uomo verso i propri simili.

Il ruolo della Chiesa

La religione Cristiana pone nell'amore e nella solidarietà verso il prossimo uno dei suoi cardini fondamentali. Sorsero,cosi,per opera di ordini monastici le Opere di Misericordia e le opere Pie che curavano l’ospitalità dei viandanti,l’assistenza agli infermi,alle vedove,agli orfani ed agli ammalarti. La civiltà ebrea si caratterizzava per l’assistenza di emarginazione,le uniche persone poste in isolamenti erano i lebbrosi. La civiltà greca e la civiltà romana presentavano istituti e modalità assistenziali come la limitazione del vagabondaggio ed il mantenimento della pace sociale,anche se queste istituzioni erano sorte per scopi politici.
La cultura medioevale obbligava i proprietari ad aiutare i bisognosi e su ciò fondava la teoria della solidarietà sociale,garantendo ai poveri il sostentamento da parte della collettività. L’assistenza ai poveri non era un diritto ,ma si fondava sul concetto di carità. Il povero doveva essere aiutato con le ricchezze in eccesso,nessuno si privava del necessario,ma il superfluo era condiviso con gli altri,questa teoria viene definita della  “ricchezza superflua”.
Prima della conversione di Costantino,solo la chiesa,offriva l’aiuto pratico a sopportare le miserie della vita. Dopo la conversione di Costantino la chiesa divenne religione di Stato e diffuse i suoi principi ispiratori,l’amore e la carità,intesi come uguaglianza tra gli uomini ed unione con Cristo. Si crearono,condizioni vantaggiose per svolgere l’attività caritativa,i suoi possedimenti divennero legali e le proprietà crebbero a dismisura grazie alle numerose donazioni. Costantino poco prima di morire ,donò alla chiesa il palazzo del Laterano ,perché diventasse un centro di carità,preposto sia alla distribuzione di danaro e di viveri che alla raccolta delle offerte per i poveri. Iniziò cosi la collaborazione della chiesa con gli organi politici ed amministrativi dello Stato,portando la chiesa a svolgere funzioni di supplenza del potere pubblico. Cominciarono a sorgere istituzioni specifiche,come asili ed ospizi,l’attività ecclesiastica assunse la caratteristica di un vero e proprio fenomeno sociale. Aiutare i poveri divenne il principale compito di monasteri,conventi ed abbazie ,che fornivano protezione ,elemosina ,cibo e vestiti,ma non veniva fatto nulla per cambiare le condizioni sociali del povero affinché tornasse ad essere autosufficiente. La prima forma di organizzazione nel segno della carità cristiana fu l’istituzione monastica di San Benedetto,ispirata alla regola dell’ospitalità “aperta a tutti”. L’organizzazione dell’assistenza iniziò con San Gregorio Magno il quale affermava che la carità cristiana è una virtù sociale. Quando egli divenne pontefice,con il nome di GREGORIO 1,indirizzò ai bisognosi viveri e l’ospitalità a turno ogni giorno nella mensa pontificia. Durante tutto il medio evo i funerali dei sovrani e poi anche dei cittadini ricchi,oltre all'elemosina,includeva lasciti a favore della chiesa come forma di redenzione dai peccati della vita temporale. I fedeli venivano esortati ad esercitare la carità con discrezione,era loro proibito ospitare un mendicante. Successivamente furono divisi i poveri veri da quelli falsi, le leggi verso i vagabondi volontari divennero rigide,i quali venivano fustigati e poi impiegati per lavori pesanti,alimentati solo con pane e acqua. Nessuno si rese conto che la soluzione della mendicità era nella modifica della struttura sociale ed economica.
Nella lettura del 1500 i mendicanti e i vagabondi erano visti come una minaccia all'ordine morale che furono obbligati ad indossare il distintivo di mendicante questo fu il primo passo verso la stigmatizzazione pubblica. I poveri erano ormai diventati un elemento di disturbo del tessuto sociale a cui si trovò rimedio attraverso la loro rieducazione ad il forzato avviamento al lavoro,fu cosi incentivato l’uso di pene ai lavori forzati in modo da utilizzare forza-lavoro a costo bassissimo. L’ esigenza di un’assistenza pubblica fu avvertita come una necessità,la soluzione più adatta sembrò essere “la segregazione del povero” e il 1656 fu detto anno “del grande internamento”,iniziò quella che viene chiamata la secolarizzazione dell’assistenza,il principio ispiratore venne enunciato da Carlo di Borbone nel 1751 in occasione della fondazione del “generale albergo dei poveri”a Napoli: “qual zelo che nutre il nostro real animo per la maggior felicità dello stato”.
Mentre l’età medioevale fu principalmente l’epoca della carità,l’età moderna fu quella della beneficenza e dell’assistenza. La carità cristiana presentava sicuramente dei meriti,ma anche numerose criticità perché si tendeva a porre rimedi immediati ai mali che affliggevano gli uomini senza preoccuparsi delle cause che li ponevano in essere e senza progettare alcun piano d’azione.

Il diritto all'assistenza

Uno dei primi teorizzatori “dei diritti del cittadino” fu Jean Jacques Rousseau ,il quale affermò che gli uomini nascono liberi ed uguali, che soltanto il costituirsi della proprietà privata forma nella società la disuguaglianza e l’asservimento dei poveri ai ricchi e che la soluzione a ciò non è la distruzione della proprietà privata ,ma l’istituzione di uno stato garante della libertà e dell’uguaglianza.
Nel tardo ‘700, inseguito alla rivoluzione francese ,si diffuse in Europa il diritto dei poveri di non dover essere più affidati alle cure dei privati,ma alle cure dello stato che avrebbe dovuto garantire loro assistenza. Cominciò cosi a delinearsi un nuovo concetto,quello della “prevenzione della povertà”. Emerse inoltre il concetto di “ carità legale” sostenuto da  Cavour, dove il povero diviene soggetto di diritto. 
Dopo l’avvento dell’unificazione,l’Italia si trovò in un momento molto difficile con enormi problemi che favorirono la diffusione del brigantaggio,una vera e propria guerra sociale,messa in atto dai contadini per le gravi condizioni e come risposta alle imposizioni del nuovo stato nascente. L’unica via di soluzione per molti fu l’emigrazione. Il giovane Stato per risanare le imponenti difficoltà promulgò una serie di riforme,creò le prime e necessarie sovrastrutture ,e pareggiò il bilancio economico. Il grave ritardo nel processo di unificazione determinò nelle varie regioni una notevole differenza sia dalle condizioni di vita che delle condizioni assistenziali e previdenziali. 
A tal proposito fu varata una blanda legislazione finalizzata al controllo delle istituzioni,ma non fu mai varata una legge che organizzasse tutte le strutture assistenziali ,questo è il motivo per il quale ancora oggi nel nostro stato vi è un panorama complicatissimo di strutture assistenziali,le quali coesistono una affianco all'altra spesso sovrapponendosi.


Il periodo della ricostruzione

Prima dell’influenza americana gli aspetti metodologici,del servizio sociale si basava su 3 cardini:
La responsabilità dell’impegno civile,era inteso come personale partecipazione e promozione per creare una società giusta.La centralità della persona,fino agli anni 45-50 chi si occupava delle persone metteva al primo posto il bisogno della persona,ora il criterio si rovescia al primo posto c è la persona,la fiducia nelle sue risorse,il suo inconscio,la sua intelligenza,la sua volontà e le sue finalità.Il rigore scientifico della formazione,secondo Vallini nel 1944 a Milano fondo una scuola per assistenti sociali,fondata su:scientificità delle conoscenze teoriche; rigorosità nell’ acquisizione della metodologia; impegno etico fondato nel rispetto delle opinioni di ciascuno.
Verso la fine del 1945 nascono le prime scuole per assistenti sociali:ONARMO(opera nazionale assistenza religiosa morale).
Nel 1947 si formerà l’ ENSISS(ente nazionale scuole italiane servizio sociale) sul versante cattolico sempre nel 1946 nasce la scuola per assistenti sociali del lavoro finanziato da organismi pubblici,quali INAM,INPS,INA e da privati,nel 1947 si trasformerà in UNSAS(unione nazionale per le scuole di assistenza sociale)a Roma nasce il CEPAS legato all’ UNSAS.

L’ONARMO

L’ONARMO nasce in realtà nel 1922 ,la sua opera iniziò nel settore del lavoro in quanto in questo campo i problemi erano ignorati dalle classi imprenditoriali,inoltre,fondò l’assistenza religiosa degli immigrati all’estero che prestava assistenza preventiva,ospitalità agli emigrati.
Dopo il 1918 il comitato romano estese la sua attività in tutta la nazione e nel 1930 divenne OMARMO. L’ONARMO allo scoppio della guerra continuò la sua assistenza ai lavoratori sia nella fabbriche e sia quando gli operai furono allontanati.
Inoltre s’era evidenziata la necessità di accogliere e di formare i giovani al lavoro, che non avevano possibilità economiche,fu creata una casa di ospitalità per giovani lavoratori che offriva addestramento professionale.
Nel 1974 fu inaugurata la casa della carità per accogliere persone con handicap.
Nel 1993 è stato costruito il villaggio della speranza che ospitava anziani disagiati.
Nel 1996 è stata inaugurata la casa dell’accoglienza che ospitava anziani bisognosi assistiti da persona specializzato.
Nel 1999 è stata inaugurata la casa per ferie BARTOLOMEO DEL MONTE per accogliere i pellegrini.


Esigenze di una qualifica professionale

Il fiorire delle varie scuole è nato dall’esigenza di persone che volevano qualificarsi maggiormente. Nel 45 nasce a Roma grazie alla dott.ssa Dalmatica prima scuola con un piano di studi centrato sul problema del lavoro,della previdenza sociale,dell’infortunistica,del diritto del lavoro e sindacale.Nel 46 si organizzò un convegno nazionale di studi sull’assistenza sociale composto da UNRRA,ONMI,CROCE ROSSA ITALIANA,PONTIFICIA COMMISSIONE SI ASSISTENZA,ORDINE DI MALTA. In questo convegno si discusse di varie tematiche tra cui l’assistenza sociale pubblica ,lo sviluppo legislativo,il mondo del lavoro,l’assistenza ai minori,il ruolo del servizio sociale,la formazione ed il riconoscimento giuridico del titolo.

Modelli Teorici di riferimento del servizio sociale 

La storia del servizio sociale riconosce agli anni 70 la grande diffusione dei modelli teorici.Questi modelli,hanno la funzione di aiutare ed indirizzare l’analisi,la descrizione e l’interpretazione della realtà in modo da guidare l’intervento. 
Reid ed Epstein definiscono i modelli teorici “un insieme di direttive che stabiliscono come essere condotta un’azione”.
Nel passato la teoria del servizio sociale si presentava sotto-forma di frammenti teorici e di concetti legati alle varie aree operative,ma oggi è accresciuta l’esigenza di costruire un proprio corpo teorico.
Il servizio sociale,è partecipe delle difficoltà inerenti la complessa natura del comportamento umano,quindi vi è bisogno di una ricerca teorica che guidi la pratica.
Il termine “MODELLO” è definito come “un oggetto o termine atto a fornire un conveniente schema di punti di riferimento ai fini della riproduzione,dell’imitazione,talvolta dell’emulazione”.
Questa definizione mette in risalto come il modello nel servizio sociale possa porsi come pratica professionale,i cui contenuti possano essere riproducibili,trasmissibili e sottoponibili a verifica.
Il termine “teoria” può essere definito “una formulazione sistematica di principi generali relativi ad una scienza ,arte o branca del sapere,e di deduzioni che a tali principi si possono ricavare per via puramente logica”.

Metodologia di servizio sociale

Nel formulazione dei modelli teorici del servizio sociale incidono alcune variabili come:
I principi ed i valori propri del servizio sociale;
Le teorie di scienze sociali affini;
La teorizzazione della prassi,cioè la teoria della pratica del servizio sociale.
Il rispetto della persona,lo sviluppo dell’autonomia ,della personalità,la giustizia sociale,la riservatezza,l’atteggiamento non giudicante sono solo alcuni dei principi e dei valori del servizio sociale.
Gli assistenti sociali,prima degli anni 50,avevano una teoria frammentata basata principalmente sui valori fondanti la professione e dovevano necessariamente operare in larga misura sulla basa di principi di buon senso e sulla base dell’ esperienza maturata nell’aiutare le persone a risolvere le varie problematiche psicosociali.
Successivamente gli assistenti sociali cominciarono a volgere la loro attenzione all’ esperienza pratica come fonte da cui trarre conoscenze.
Questa conoscenza derivante dall’esperienza è definita “sapere professionale”.
Il servizio sociale nella costruzione del corpo teorico si rivolge a fonti esterne,mediche,biologiche,psicologiche,sociologiche.
Generalmente esse sono usate per usate per comprendere e spiegare:
Il comportamento degli utenti;
Le origini sociali del comportamento e dei problemi dell’utente;
L’ambiente sociale in cui vivono;
Le interazioni tra operatore ed utente ;
Nonostante altre professioni usino conoscenze e procedure simili.
Quando gli assistenti sociali trovavano sicurezza in una teoria si concentravano prevalentemente su di essa fino a quando non ce ne constatavano i limiti.
Nello sviluppo dei modelli teorici possiamo distinguere due fasi: la prima fase dominata dal modello medico studio-diagnosi-trattamento,che dava luogo a interventi frammentari la seconda fase seguita alla teoria dei sistemi.
Nella prima fase il servizio sociale opera nella logica della cura e del contenimento ,i problemi sono il risultato o meglio l’effetto di una causa originale che deve essere rimossa per permettere al soggetto l’adattamento a norme condivise. In questa prima fase vengono utilizzati contributi teorici,provenienti dalle teorie neofreudiane e del comportamentismo.
Nella seconda fase si passa da una sequenza lineare della causa-effetto alla complessità sistematica,in cui un problema viene definito sulla base di variabili diverse ed interagenti.
L’utente è considerato un insieme di parti integranti ,di variabili individuali,ambientali,interagenti tra loro e con altri sistemi di cui l’utente fa parte. Il concetto di sistema può essere applicato al caso individuale,al gruppo,alla comunità,si ha cosi il superamento della classica tripartizione.
Possiamo definire il convegno di Verona del 1985,il simbolo del passaggio tra i due scenari,nel secolo dei quali l’attenzione al metodo viene particolarmente enfatizzata,diffondendo l’interesse,lo studio e la sperimentazione di alcuni modelli.

Il sapere del Servizio Sociale

Con l’ordinamento delle scuole di servizio sociale ai fini speciali e il decreto n°14/87 si ebbe il riconoscimento giuridico e la legittimazione istituzionale e culturale del servizio sociale.
Si forma,dunque, una disciplina destinata ad essere insegnata.
In Italia si elabora un processo teorico che si fonda su due linee principali:
·Ipotesi esplicative, finalizzate alla comprensione del problema sul quale motivare e fondare l’intervento.
·Ipotesi operative, finalizzate all’intervento nei confronti di situazioni di bisogno.

Il sapere dell’assistente sociale è un insieme di saperi che consento ad elaborare giusti interventi, egli attinge a veri e propri orientamenti sia in termini socio-culturali che politico-sciali e tecnico-scientifici.
Il percorso socio-culturale è stato caratterizzato nella società italiana dal processo di modernizzazione che ha modificato il sistema dei valori.
All’inizio la professione era caratterizzata da due orientamenti, uno legato all’esperienza cattolica e l’altro a quella laico-progressista, i quali si sono fusi e si è avuto la laicizzazione del servizio sociale.
Molte scuole hanno rinunciato a perseguire un progetto formativo e hanno lasciato i docenti la libera scelta dell’orientamento formativo, ma lo sviluppo metodologico si appiattisce in relazione alle nuove ideologie dominanti e gli assistenti sociali si sentono privi di identità, poiché vedono la risoluzione delle problematiche umane solo in relazione allo sviluppo,alle constatazioni e alle riforme.
Il percorso politico-sociale è legato al Welfare State che da previdenziale-residuale si è trasformato in istituzionale.
L’affermazione del modello previdenziale-residuale era sostenuto dalla  convinzione che le problematiche sociali sarebbero state risolte con lo sviluppo economico e con il riconoscimento del principio di eguaglianza sostanziale, cioè l’uguaglianza di pari opportunità e di pari condizioni di partenza, che consentisse a tutti l’ascesa sociale.
Ma la distinzione tra bisogni ricchi e poveri portarono gli assistenti sociali a sottolineare la dimensione merito-cratica e l’impegno individuale.
Le riforme del ’70 erano caratterizzate dal fatto che tutti i bisogni sono rilevanti davanti alla politica sociale e inoltre il cittadino deve poter disporre di reddito e stile di vita al pari degli altri.
Tali orientamenti di politica sociale hanno influito sul metodo degli assistenti sociali, i quali abbandonarono l’intervento individuale e si trovò soluzione con l’offerta istituzionale e con l’organizzazione dei servizi che ciascun ente poneva in essere per rispondere alle istanze dei cittadini.
Tuttavia con la crisi del Welfare State si ha avuto, finalmente, il riconoscimento di altri gruppi a tutela dei bisogni del cittadino oltre lo stato e la valorizzazione del volontariato e del terzo settore, sollecitando i giusti modelli di intervento.
Il percorso tecnico-scientifico è legato all’influenza delle scienze umane e sociali quali le discipline medico-sociali, la psicologia, la psicanalisi, la sociologia e l’economia.
Queste scienze quantunque sono state fondamentali per la professionalizzazione del servizio sociali, hanno evocato la tendenza alla scientificità dell’oggetto, l’uomo, e alla prevedibilità del reale e conseguire l’azione sulla logica della conoscenza.
Proprio la ricerca alla legittimazione scientifica ha fatto dimenticare agli assistenti sociali la propria fonte di conoscenza che è l’impatto con la realtà, che ha conseguito l’elaborazione dell’esperienza da cui gli operatori attingono.

Al termine della seconda guerra mondiale si impose l’urgenza di organizzare aiuti internazionali,ma l’Italia non disponeva di assistenti sociali, così sorsero numerose scuole per assistenti sociali senza riconoscimento giuridico e con orientamenti ideologici diversi.
Dagli anni ’50 inizia un processo di importazione di discipline professionali e di metodi del servizio sociale, già diffuse negli altri paesi.
L’AAI (associazione aiuti internazionali) finanziò la costruzione di scuole di servizio sociale e al coordinamento di programmi attraverso attività di traduzione, viaggi di studio ecc..
Tramite l’AAI arrivarono in Italia diversi esperti del servizio sociale con lo scopo di formare docenti delle nuove metodologie.
Dopo i corsi tenuti da Miss King, viene inserito nella didattica insegnamento del Case-Work,che porta alla rivalutazione della relazione umana che diventa determinante nell’intervento.
Successivamente con Dorotea Sullivan si introduce un altro modello, il Group-Work, metodo applicabile ai gruppi di persone accomunate da un problema, e consente competenze e capacità decisorie attraverso una maturazione collettiva.

Percorso metodologico

Il case-work ha permesso alla professione di uscire dal moralismo, stabilendo il legame tra utente ed istituzione, e rivalutando la relazione come fattore importante per l’intervento.
Tuttavia il case-work viene ritenuto troppo psicologico poiché è influenzato da teorie freudiane e quindi la relazione paziente-terapeuta diveniva strumento di lavoro tralasciando le fondamentali interrelazioni tra individuo e ambiente.
D’altra parte il case- work, diventato tecnica propria della professione, rendeva il servizio sociale un processo di tipo scientifico.
Fino alla seconda guerra mondiale il case-work era limitato alla registrazione dei casi che venivano teorizzati e la loro validità era data da chi aveva condotto il caso, senza una struttura di riferimento con la quale spiegare e organizzare i concetti.
Negli Stati Uniti la teoria psicanalitica, forniva una teoria razionale e strutturata per spiegare i comportamenti dell’uomo, così molti docenti di case-work incominciarono ad insegnare i principi della psicanalisi.
Successivamente l’impronta psicanalitica sfocia in due approcci : quello diagnostico e quello funzionale.
La scuola diagnostica , fondata da Mary Richmond si basava sulla concezione del comportamento, la condizione attuale dell’individuo era data da eventi causali avvenuti nei primi anni di vita, e il modello d’intervento utilizzato dalla scuola diagnostica era medico: studio-diagnosi-trattamento.
La scuola funzionale, invece, si basava sulla teoria della personalità di Otto Rank, affermando che la forza del cambiamento risiedeva nell’uomo ed il compito del terapeuta era di rafforzare la volontà attraverso la relazione d’aiuto.
In Italia l’introduzione del case-work diede,agli assistenti sociali, una terminologia medica più ricca, ma il contesto storico in cui si sviluppò il case-work, risentì del processo di trasformazione dovuto dalle riforme della Chiesa attuate da Giovanni XXIII,dal crollo dello stanilismo con la denuncia dei crimini di Stalin, dalle insurrezioni dell’Ungheria e della Polonia, dalla fine del colonialismo e all’entrata delle ex-colonie ed infine dallo sviluppo tecnologico e scientifico; fattori convergenti nella promozione del cambiamento di idee che maturò negli anni ’60 ed investì relazioni sociali e le menti dei singoli individui.
Quindi gli assistenti sociali ricercarono una nuova definizione del loro ruolo individuandosi come “agente di cambiamento” nel processo di sviluppo, così l’assistente sociale si orientò verso le dinamiche del gruppo.
“Un gruppo sociale è costituito da un certo numero di persone che interagiscono l’un con l’altro con regolarità”.
Già Cooley nel 1909 fece una distinzione tra gruppi primari e gruppi secondari, i primi hanno una relazione diretta che si esprime in unitarietà, i secondi sono rappresentati da scambi indiretti, ogni membro vi appartiene per il suo fine oggettivo e per il suo ruolo. Si diffusero contemporaneamente i lavori di Lewin sulle dinamiche di gruppo e sulla nozione di “campo” secondo cui “il comportamento di un soggetto è il risultato di una particolare distribuzione delle forze del suo ambiente in un determinato momento”. Se l’operatore conosce le proprietà del campo può dedurre il comportamento del soggetto e viceversa.
Lo studio della dinamica dei gruppi sociali comincia a prendere il posto del case-work.
Il lavoro dell’assistente sociale era focalizzato sulle dinamiche interne al gruppo,ma la sua attenzione si spostò alla comunità, in quanto la risoluzione di alcune problematiche non poteva essere circoscritta solo al gruppo poiché investiva l’intera comunità, come accadeva per la tossicodipendenza.
Le prime realizzazioni di lavoro di comunità, in Italia, tesero allo sviluppo economico e sociale e il metodo con cui si acquisisce consapevolezza dei problemi ponendo in essere soluzioni e risorse necessarie è definito “Organizzazione della Comunità”.
Questo metodo favorì la formazione di cooperative e la promozione dello sviluppo, conducendo al miglioramento delle condizioni di vita in Italia.
Ma furono introdotti altri metodi relativi all’amministrazione e organizzazione dei servizi e metodi volta alla ricerca applicata ai servizi.
La ricerca applicata al servizio sociale rimarrà per lungo nell’insegnamento didattico, ma nella pratica è stato agito solo come partecipazione a ricerche di altre discipline.
Mentre i metodi relativi all’amministrazione e all’organizzazione non furono mai accettati, in quanto era ritenuti mansioni non destinate a questa professione.
Se il case-work era ritenuto troppo psicologico, il group-work, inizialmente accettato,incontrò difficoltà di diffusione per la diversa concezione di vita associativa, relativa al periodo fascista,alla rigida visione della famiglia e dei ruolo al suo interno per l’elevato anafalbetismo.
Ma rimase un insegnamento nelle scuole con finalità educative.
Il community-work si rilevò anch’esso poco utilizzabile per mancanza di cultura e tradizione comunitari.

Metodo come mezzo e non fine a sé

Si può ritenere il metodo un percorso che, articolato secondo un procedere razionale, conduce al raggiungimento degli obiettivi predefiniti, quindi un mezzo non fine a sé.
Esso si riferisce ad un operare basato su:
L’assunzione di valori e conoscenze scientifiche sul come fare;
La definizione di scelte, che costituiscono le mete da raggiungere;
La concatenazione logica delle operazioni e la predisposizione dei relativi strumenti;
La riflessione sulle esperienze condotte che porta all’evoluzione della metodologia.
Nel lavoro sociale il procedimento metodologico è di tipo induttivo, perché parte dell’analisi del fenomeno sociale per giungere a conclusioni generali che servono a descrivere il fenomeno e formulare ipotesi,inoltre esso è operativo perché il suo obiettivo è il cambiamento di una situazione problematica, sia essa individuale, collettiva o gruppale.
Il metodo nel servizio sociale segue lo schema “prassi-teoria-prassi”, l’assistente sociale non può trattare gli individui o situazioni avviando un processo alla ricerca di leggi generali, ma può solo circoscrivere l’azione e il suo intervento deve agire sul soggetto e suo ambiente di vita.

Metodo Unitario

una concezione unitaria dell’apparato metodologico dell’assistente sociale comincia a delinearsi in Italia negli anni ’70.
La condizione di dipendenza dalle istituzioni ed il difficile riconoscimento sociale, impedivano l’autonomia professionale.
L’assistente sociale aveva sempre una posizione marginale rispetto alle altre professioni.
Il nuovo metodo doveva essere costruito su alcuni assi:
Unitarietà e Trasversalità dell’intervento: l’assistente sociale deve poter intrecciare nella sua azione interventi per la persona, per l’organizzazione e per il territorio.
Una cultura delle risorse: considerate sia come chiave della realtà sociale ma anche come fattori da recuperare e collegare.
Il riconoscimento della persona nelle sue potenzialità e nei suoi diritti.
Il servizio sociale ha così acquisito:
Territorialità: nel senso che il servizio sociale deve rappresentare il punto di riferimento dei bisogni e delle esigenze della comunità;
Plurifunzionalità: l’assistente sociale è il professionista su cui l’ente locale conta sia per progettare ed attuare azioni di aiuto, sia per attuare studi e ricerche.
Generalità: intesa sia alla generalità degli utenti e dei problemi, che alla generalità di interventi e prestazioni richieste.
Si sancisce con il D.M. 30 aprile 1985, che stabilì l’ordinamento didattico nazionale delle scuole di servizio sociale denominato “metodi e tecniche de servizio sociale”.
L’assistente sociale per svolgere il suo ruolo deve conoscere il linguaggio dell’utente e delle istituzioni, raccogliere nella domanda gli elementi della problematicità e delle risorse.
Il ruolo dell’assistente sociale deve dar luogo ad una azione conoscitiva del contesto.
Il servizio sociale è una scienza teorico-pratica in quanto si propone di intervenire intenzionalmente per modificare le situazioni problematiche e il suo oggetto è la persona in relazione con gli altri.
Il modello d’intervento vede l’assistente sociale come “agente di cambiamento” e questo termine sostituisce i termini cura, prevenzione e promozione del modello medico.
L’operatore e l’utente sono solo alcuni elementi del processo, gli altri sono l’ente, il gruppo, la famiglia o altri soggetti e la comunità.
Mentre nel modello medico ci si concentra sulla patologia e sul trattamento, nel modello d’intervento l’obiettivo è usare le risorse del cliente per sviluppare le sue potenzialità, solo così attuerà il cambiamento.
Per raggiungere l’obiettivo dalle tappe classiche del modello operativo studio-diagnosi-trattamento, si è giunti ad una articolazione più ricca che può essere divisa in:
Fase conoscitivo-descritta:da percorrere con l’utente;
Fase valutativo-decisionale: in cui si cerca di formulare con l’utente,gruppo,o collettività, un progetto d’intervento;
Fase attuativa del progetto;
Fase della verifica e conclusione.
Si può affermare che il percorso logico del metodo del servizio sociale è UNICO, ma sono necessariamente diverse le attività di ogni fase del processo.
Gli elementi che possono comportare una diversa modalità operativa sono:
·l’oggetto di studio e d’intervento;
·gli obiettivi da raggiungere;
·gli interlocutori a cui si rivolge.
L’assistente sociale deve porre in essere azioni basate sui valori e sugli atteggiamenti della professione, come il riconoscimento del valore dell’uomo e della sua dignità, la sua autonomia, la sua capacità di responsabilità e di autodeterminazione.
Inoltre i valori della democrazia,come la partecipazione al bene comune ed il rispetto della libertà,sono i valori su cui il servizio sociale ha costruito il proprio deontologico.


Breve sintesi dei modelli teorici del servizio sociale...

Il significato del termine modello

Nelle scienze sociali,il modello è inteso come l’insieme di assunti fondamentali per delimitare ciò che è più rilevante.
Per INKELES è uno strumento necessario all’indagine,che mette in rilievo certi problemi,la sua funzione è strumentale,orientativa e eucaristica,utile a favorire la scoperta di nuovi risultati.
L’assistente sociale si rifà alle basi teoriche delle scienze sociali. La teoria è in parte descrittiva(descrivere e spiegare un particolare universo) ed in parte operativa,cioè tratta di problemi reali.
Gli autori anglosassoni definiscono:
la teoria della pratica come sapere che si ricava dalla descrizione e dalla interpretazione dei fatti della realtà operativa;
la teoria per la pratica:le conoscenze con cui si costruiscono modelli di analisi e di intervento per la pratica attraverso un confronto con le teorie che descrivono un fenomeno.
L’assistente sociale deve  aver chiaro in basa a quali presupposti teorici opera e come certi interventi possano ottenere determinati risultati in base ad un preciso rapporto logico tra le variabili. L’assistente sociale ha cercato di elaborare dei modelli per la pratica,compiendo una mediazione tra le scienze sociali e a propria prassi.
Negli anni 20 si accentuò lo studio della personalità umana,l’elemento centrale era costituito dalla diagnosi psicologica della personalità.
Negli anni 40 e 60 si riconoscono alla persona una serie di potenzialità da sviluppare nel proprio ambiente familiare e sociale. Successivamente si giunge ai modelli elaborati dalla scuola diagnostica ed al modello del PROBLEM-SOLVING.

Il modello psicosociale della Hollis

Questo modello fa parte del filone della scuola diagnostica.
La Hollis rifacendosi alle dottrine psicoanalitiche accettò lo schema studio-diagnosi-trattamento dando molta importanza alla fase della diagnosi psicosociale.
La valutazione della personalità come dato centrale,la possibilità di trovare nell’utente quelle risorse che gli permettono di uscire dalla situazione problematica attraverso il trattamento dei conflitti intrapsichici.
La partecipazione dell’utente deve essere resa sempre più attiva in modo che non diventi un oggetto di studio ed analisi. Lo schema medico studio-diagnosi-trattamento ha lo scopo di aiutare l’utente a comprendere i suoi sentimenti,i suoi pensieri,le sue ansie,le sue emozioni,ricercando le cause originarie. Il concetto base è recuperare e riequilibrare il rapporto tra l’individuo e la sua situazione sociale,focalizzandosi sui comportamenti difensivi dell’io ,come la fuga la proiezione,la rimozione.
La diagnosi spiegava la natura del problema e prescriveva i modi e gli obiettivi particolari del trattamento. L’oggetto di intervento è l’individuo nel suo contesto ambientale. Hollis dice:
“il principale sistema verso il quale si rivolgono la diagnosi ed il trattamento è costituito dalla Gestalt o configurazione della persona nella situazione. L’ individuo da aiutare deve essere visto nelle sue interazioni o transazioni con il modello esterno. Talvolta è il sistema famiglia stesso ad essere visto come utente”.
Il servizio sociale si pone l’obiettivo di eliminare le percezioni erronee che l’utente può avere sia di sé che della situazione e che provocano una risposta inappropriata.
Le tecniche di comunicazione interpersonale fondamentali nella relazione utente –assistente sociale sono l’elemento centrale del trattamento.
La Hollis ritiene che attraverso la comunicazione l’assistente sociale offre empatia,solidarietà,comprensione,inoltre deve stimolare la modifica del comportamento. Il trattamento,distinto in  “diretto”,rivolto all’utente,ed “indiretto”rivolto all’ambiente.
Tra i trattamenti diretti la Hollis evidenzia:
Il sostegno con atteggiamenti di comprensione,rassicurazione e fiducia.
L’influenza diretta,informazioni ed indicazioni che permettono all’utente di poter fare le sue scelte in modo chiaro.
La catarsi che è la manifestazione dei propri sentimenti,negativi o positivi senza porre in essere alcuna valutazione o giudizio.

La Hollis ritiene fondamentale anche il lavoro sull’ambiente
dell’utente che può essere realizzato su due livelli:
- agendo sulle persone significative dell’ambiente dell’utente
- predisponendo risorse e servizi a beneficio dell’utente.

Modello funzionale

Sempre nel filone psico-sociale è il modello funzionale di Otto Rank vede le problematiche dell’individuo non come risultato di eventi dell’infanzia,ma come originate dalla continua tensione tra il desiderio di realizzare la propria individualità verso la propria crescita ed il desiderio di rimanere psicologicamente legato ad altri,quindi originate dal ritrarsi di fronte alla crescita ed al cambiamento. Questa tensione è rappresentata dal distacco della nascita tra il bambino e la madre. L’operatore deve rafforzare ed azionare la volontà attraverso la relazione d’aiuto. L’aiuto deve essere “hic et nunc” qui ed ora e non agli eventi passati.
Questo modello,aveva una visione positiva dell’umanità,ritenendola costituita da individui razionali ed artefici della propria vita. Il cambiamento era possibile anche per l’azione dell’assistente sociale nella relazione che sollecitava il potenziale latente nel soggetto permettendogli di esprimere al massimo le sue capacità. Il processo d’aiuto non si riferiva al paradigma medico studio-diagnosi-trattamento  secondo il quale la cura non deriva dallo sradicamento dei fattori causali ma dalla stessa esperienza della relazione d’aiuto. I funzionalismi ritengono importante la funzione dell’ente,come intermediario tra i bisogni dell’utente e la società con le sue istanze,sollecitano l’assistente sociale affinché rifletta sulle potenzialità presenti nel processo d’aiuto,sia in relazione alla tipologia di contratto,sia in rapporto agli obiettivi posti ed alle difficoltà dell’utente.

Modello problem solving

Il modello “centrato sulla soluzione del problema” di H.Perlman parte dalla considerazione che gli uomini in tutta la loro vita si trovano sempre e quotidianamente di fronte a problemi da risolvere. La persona è costantemente in una sorta di “colloquio interno” con se stesso,tesa ad evidenziare le cause dei problemi o delle difficoltà,ed a valutare le  eventuali soluzioni,decidendo per quella ritenuta più giusta. Quando la persona è esaurita ,svuotata,quando non riesce a vedere oggettivamente la realtà,né a controllare le emozioni,il colloquio interno può interrompersi per scarsa comprensione del problema o per mancanza di risorse.
L’obiettivo del problem solving è rafforzare le risorse interne dell’utente aiutandolo a lavorare sui sentimenti,sugli atteggiamenti,sui comportamenti,sollecitando la produzione di idee. La Perlman evidenzia la possibilità dell’utente nella relazione di “prendere in prestito la forza dell’assistente sociale”. Il processo di aiuto deve permettere di mitigare l’ansia,di trasformare i dubbi in chiarezza e certezza. È un processo è un processo di apprendimento sociale che consente di apprendere un comportamento più adeguato alle problematiche esistenziali. La Perlman ritiene fondamentali tre operazioni:
- i fatti devono essere accertati,chiariti e per fatti si intende tutto ciò che circonda il soggetto;
- i fatti devono essere ripensati, riesaminati, approfonditi, riorganizzati;
- la decisione cioè scegliere tra le varie soluzioni quella che si ritiene più adatta.
Si da importanza al concetto di “ status” e di “ruolo”,la Perlman afferma che: “l’essere ed il divenire del comportamento di una persona sono modellati e guidati dalle aspettative che le persone e la loro cultura hanno conferito allo status ed ai principali ruoli sociali ad esso inerenti”.
I meccanismi di adattamento del cliente sono impegnati ad agire sulle sue difficoltà e la ricerca dei fatti permette di chiarire gli eventi. 
Le funzioni dell’Io di percepire, proteggersi,adattarsi, possono essere influenzati sia da condizionamenti emotivi che ambientali. L’Io è solito selezionare gli stimoli da accogliere da quelli che deve rigettare,controlla,inibisce e permette azioni,per questo deve essere aiutato a chiarire la differenza tra ciò che vive e ciò che interpreta.
Il processo d’aiuto per la Perlman si fonda su 4 elementi:
la persona che sperimenta il problema;
la natura del problema;
l’ambito in cui ha luogo l’intervento d’aiuto;
la procedura attraverso cui il problem solving viene portato avanti.
Altro problema che evidenzia la Perlman è la difficoltà che alcune persone hanno nel risolvere problematiche,in quanto non hanno mai sviluppato abitudini e metodi ordinati di pianificazione,risolvendo tutte le difficoltà in maniere istintiva senza attuare quello che viene definito colloquio interno.
Le difficoltà possono avere origini:
·scarsa comprensione del problema;
·uso di stereotipi ritenuti validi;
·difficoltà di percepire un uso diverso delle risorse;
·mancanza di risorse utili.
L’utente non è destinatario passivo ma elemento attivo nel processo d’aiuto.

Modello rogersiano

Questo modello si ispira ai concetti della non-direttività diffusa in Italia attraverso gli scritti Rogers ed ampiamente utilizzati nelle scuole di servizio sociale. L’ elemento principale di tale modello è la relazione d’aiuto grazie alla quale l’assistente sociale promuove lo sviluppo,il funzionamento e la capacità di reagire alle prove della vita.
Rogers ha fondato il suo modello sulla teorizzazione degli atteggiamenti psicologici e sui valori umanistici, puntualizza inoltre che bisogna accettare il cliente cosi come egli è e bisogna manifestargli questa accettazione. L’operatore deve comunicare sé stesso senza ambiguità,deve esprimere calore,attenzione,rispetto ed interesse,riconosce al cliente come diverso da sé e degno d’interesse,deve entrare completamente nell’universo altrui,dei suoi sentimenti,delle sue concezioni e vederle dalla sua prospettiva.
La problematicità di questo modello è l’aver enfatizzato la non direttività che non sempre può essere compatibile con le funzioni del servizio sociale.

Modello incentrato sul compito

Nel filone del problem solving rientra anche il modello centrato sul compito di W.Reid. In questo modello si evidenzia l’importanza di aiutare i clienti a procedere verso al soluzione di problemi psicosociali.
Questi problemi si evidenziano quando l’utente mette in essere azioni che sono guidate prevalentemente dalla visione che ha di sé stesso e della realtà che lo circonda  ciò porterà al coinvolgimento delle persone del suo sistema sociale.
È un modello a breve termine,che ha lo scopo di far sperimentare all’utente comportamenti diversi da quelli che solitamente pone in essere.
L’assistente sociale aiuta l’utente a mettere in pratica i cambiamenti desiderati che riguardano la sfera delle relazioni familiari e interpersonali.
Questo modello non ricerca le cause originarie ma evidenzia e potenzia i fattori che possono permettere all’utente di raggiungere il suo obiettivo. Solo dopo aver chiarito le problematiche e valutata la frequenza con cui queste si presentano si può decidere la strategia d’azione. Il compito rappresenta l’insieme di azioni che l’utente mette in atto per raggiungere gli obiettivi. Prima che l’utente si impegni a portare avanti il suo compito devono essere evidenziati tutti i possibili ostacoli.

Modello di modificazione del comportamento

Questo modello parte dal concetto che tutti i comportamenti sono appresi e quindi l’intervento dell’assistente sociale deve permettere il rafforzamento,l’indebolimento o l’estinzione di un dato comportamento. Le teorie base di questo modello sono le teorie comportamentali.
La sua attenzione si incentra sulla situazione-stimolo che fa scattare un comportamento-risposta. Si deve evidenziare se la risposta allo stimolo deve essere rinforzata o estinta. Le tecniche usate in questo approccio possono essere distinte in:
Operanti come il rinforzo positivo che è dato dall’uso di stimoli  in seguito ad una risposta;
Di estinzione che è l’omissione di rinforzi positivi precedentemente usati;
- Di rinforzo differenziale che è dato contemporaneamente dall’estinzione e dal rinforzo positivo per rafforzare un comportamento ed eliminarne un altro.
Spesso si richiede l’intervento di mediatori che altro non sono che persone dell’ambiente di vita del soggetto che prevalentemente hanno la funzione di controllo e di sostegno.
Questo modello presenta chiarezza negli obiettivi perché mira al cambiamento di un comportamento,ma è stato duramente criticato in quanto ritenuto incompatibile con alcuni valori e principi propri del servizio sociale e considera l’utente come destinatario passivo dell’intervento.
Le teorie ecologico-sistematiche consentono di rappresentare la persona,il gruppo,la comunità in maniera unitaria nella loro relazione sistematica e di porre al centro della loro attenzione non gli individui,ma il circuito delle relazioni e degli eventi in cui si determinano le azioni umane.

Teoria sistematica

La teoria sistematica origina dalla teoria dei sistemi di Von Bertalanffy ,la cui pretesa era quella di fornire uno schema generale diverso da quello classico causa-effetto valido per tutte le scienze. La teoria fu pubblicata nel 1945.
Von Bertalanffy aveva evidenziato che qualsiasi entità studiata è riconducibile al concetto di sistema.
“il sistema è costituito da un insieme di elementi che interagiscono tra loro”.
I sistemi possono essere di tipo diverso:si definisce sistema chiuso quel sistema che non ha relazioni con l’ambiente né in entrata né in uscita;sistema aperto quel sistema che scambia materiale e informazioni. Il concetto di sistema aperto si adatta agli organismi viventi per i quali l’interscambio con l’ambiente è un elemento essenziale. Gli organismi viventi possono essere considerati come sistemi il cui principio organizzatore è costituito dall’informazione. È definito input un’informazione che entra nel sistema ed output una che esce. Per totalità di un sistema si intende che ogni sua parte è in rapporto con tutte le altre parti. Poiché i sistemi scambiano continuamente informazioni sia al proprio interno che con l’ambiente esterno,ogni informazione può avere due difetti:o far raggiungere l’omeostasi cioè l’ equilibrio al sistema,o provocare la perdita della stabilità inducendo il sistema a modificarsi.

Modello ecologico esistenziale di C.Germain

In questo modello la studiosa pone l’interesse sull’individuo e sul suo spazio vita inteso come relazioni sia positive che negative significative per l’utente.
Quando si prende in considerazione lo spazio vita delle persone bisogna anche considerare le fasi del ciclo vitale sia dell’utente che della famiglia.
L’equilibrio con l’ambiente può essere raggiunto a spese degli altri ,mediante problematiche di conflitto o di potere,ma anche l’ambiente si modifica oltre che per l’azione umana anche per l’azione naturale. Ciò che le scienze sociali privilegiano di questa teoria è l’individuo nella sua interazione con l’ambiente.
Gli squilibri tra l’ uomo ed il suo ambiente vengono principalmente definiti stress,la loro causa può essere data sia da stimoli interni che da stimoli esterni,mentre la risposta di un oggetto è legata all’età,alla cultura ed alle esperienze passate. Gli eventi possono ostacolare il soggetto a far fronte alle richieste ambientali. L’ambiente deve essere inteso come l’insieme delle reti sociali,cioè l’insieme dei rapporti che possono influenzare il comportamento del soggetto.
L’intervento dell’assistente sociale deve quindi permettere di ricostruire la stima in sé stessi,di rafforzare le difese contro l’ansia e contro la depressione,ove il soggetto non potesse disporre di relazioni proprie lo induce in gruppi di self-help.

Modello unitario

Questo modello vede il servizio sociale come un intervento volto ad aumentare,intensificare e conservare i mezzi che le persone usano per risolvere le proprie problematicità.
L’assistente sociale pone in essere un processo di apprendimento sociale che coinvolge sia l’utente che sé stesso. La competenza professionale è nell’entrare a far parte di un sistema di interazioni umane per effettuare cambiamenti dei modelli preesistenti di comportamento e comprensione. L’assistente sociale entra intenzionalmente in un sistema con lo scopo di alterare lo stato e l’equilibrio preesistenti. L’assistente sociale entra in un sistema con l’intenzionalità:cioè un progetto,con uno scopo da raggiungere;con la consapevolezza:cioè con tutte le informazioni necessarie per raggiungere l’obiettivo;con strategia:cioè con la modalità con cui gli obiettivi saranno raggiunti. In questo modello sono forze socializzanti i valori,le norme,le aspettative dell’assistente sociale, e lo strumento base per la realizzazione degli obiettivi è la relazione professionale che permette sia di realizzare il processo di socializzazione sia quello di apprendimento.
Questo modello prende in considerazione tre variabili: strategia, bersaglio e fasi operative.
1.la strategia è data dalle azioni metodologiche del servizio sociale.
2.il bersaglio è riferito agli individui,al gruppo,alla famiglia.
3.le fasi operative sono tre:iniziale,centrale,finale.

Modello integrato di Pinchus e Minahan

Questo modello analizza la pratica del servizio sociale sulla base di quattro sistemi fondamentali in relazione ai quali l’assistente sociale svolge i suoi ruoli. Il sistema agente è definito ente,istituzione pubblica o volontaria in cui opera l’assistente sociale.
Il sistema utente: che è la persona, il gruppo o la famiglia che richiede i servizi.
Il sistema bersaglio:sono le persone che l’assistente sociale deve influenzare per realizzare le sue mete di cambiamento.
Il sistema azione: si riferisce all’assistente sociale ed alle persona con cui lavora per assolvere i compiti e per raggiungere gli obiettivi.
La relazione viene vista come mezzo per svolgere la propria attività, è molto importante il contatto a tutti i livelli sistematici,ed il tempo in modo che l’intervento sia programmato.
Le persone possono ricevere aiuto da 3 tipi di risorse:
Sistemi di risorse naturali o informali cioè la famiglia,gli amici,i vicini di casa.
Sistemi di risorse formali, ad esempio le organizzazioni o associazioni di quartiere.
Sistemi di risorse sociali come scuola,ospedali,uffici-casa. Commissariati di polizia ed enti di assistenza economica.
L’assistente sociale deve avere chiari gli obiettivi dei vari sistemi che intervengono nel processo.

Il modello sistemico relazionale

Il servizio sociale è una delle poche professioni che ha sentito l’esigenza di vedere il problema portato dal singolo utente all’interno di un contesto più ampio. L’attenzione ai vari comportamenti del nucleo familiare,della rete sociale in cui era inserito l’individuo, l’analisi della comunità come elemento che poteva contribuire,sia a determinare il problema che a fornire risorse per la sua soluzione.
Non è un caso che la terapia familiare annoveri tra i suoi esponenti e teorizzatori assistenti sociali quali VIRGINIA SATIR e LYNN HOFFMANN.
Il seminario tenuto da Boehm alla Fondazione Zancan nel 1971  a Malosco in cui  si proponeva uan lettura sistemica dei problemi all’interno del casework o ancora la presentazione da parte di Maluccio 1973 di una prospettiva ecologica,per arrivare all’approccio unitario del Goldstein l’ elaborazione effettuata da Pincus e Minahan nel modello integrato.
Il grosso sforzo dell’assistente sociale italiano è stato quello di non cadere nel rischio di una trasposizione semplicistica delle tecniche elaborate in altri contesti, ma di realizzare una sintesi originale tra questa teoria e i fondamenti del servizio sociale per arrivare all’ elaborazione di un modello per la pratica congruente con i principi e i valori ed applicabile nel nostro contesto di organizzazione dei servizi.

congruenza tra l’approccio sistemico e principi e valori del servizio sociale

Ogni qualvolta si pensi di utilizzare una teoria per farne la base di un modello operativo è di valutare la congruenza tra assunti, principi e valori del servizio sociale.
Il valore centrale del servizio sociale è il rispetto della persona umana nella sua dignità e libertà che si traduce in atteggiamenti quali l’accettazione e l’autodeterminazione,si può rilevare come questo aspetto venga facilitato dall’adozione dell’approccio sistemico.
L’assistente sociale,non si sostituisce mai alla persona, ma attraverso la raccolta delle informazioni fornite dai soggetti collegandole in una ipotesi che dia senso ai loro comportamenti,propone una punteggiatura diversa,si qualifica come stimolo perché il sistema trovi la via per riorganizzarsi in un cambiamento che sia più funzionale alle relazioni interne ed a quelle con il contesto sociale,rispettandone i tempi, le caratteristiche e le finalità.
La neutralità dell’assistente sociale consente  di mettere in atto un atteggiamento di non giudizio che consente di non cadere in valutazioni troppo legate alle proprie mappe mentali,portandolo ad esplorare sia i significati sia i comportamenti assunti in determinati contesti. Il contesto dal quale nasce il problema ha molta importanza perché permette un approccio globale, sia sulla dimensione individuale che in quella comunitaria e la consapevolezza dell’interazione di più cose e sistemi nel co-costruirsi dello stesso. L’attenzione al soggetto ed alle sue relazioni familiari e sociali consente una lettura del bisogno più approfondita. Anche l’atteggiamento della particolarizzazione viene confermata dal principio dell’equifinalità che sottolinea come a condizioni finali uguali non corrispondono in maniera deterministica  cause uguali.
Questo sollecita un’attenzione particolare alla unicità di ogni situazione,ad una valutazione accurata che eviti eccessive generalizzazioni o che proceda per stereotipi.

l’applicabilità del modello sistemico relazionale al servizio sociale

Utilizzare l’approccio sistemico relazionale nel campo del servizio sociale non significa semplicemente applicare delle tecniche di conduzione del colloquio,ma implica un vero e proprio cambiamento nel modo di vedere la realtà.
Pincus e Minahan,nel presentare un modello integrato per la pratica di servizio sociale ,sottolineavano la necessità di porre l’attenzione sull’interazione tra i 4 sistemi di base in relazione ai quali l’assistente sociale svolge il suo lavoro:
il sistema agente di cambiamento,intendendo l’ente in cui l’assistente sociale opera;il sistema cliente cioè la persona,la famiglia,il gruppo l’organismo o comunità con cui l’assistente sociale stabilisce un accordo di lavoro;il sistema bersaglio inteso come le persona che si devono influenzare per realizzare gli obiettivi di cambiamento;il sistema d’azione che comprende tutti i soggetti che insieme all’assistente sociale operano perché il progetto dia i risultati attesi.
Pensare in maniera sistemica vuol dire crearsi una nuova mappa mentale,procedendo per diversi livelli sistemici,avendo chiaro che ogni delimitazione è una scelta arbitraria che può essere funzionale alla comprensione o all’intervento, ma è sempre parziale.
Si potrà osservare l’individuo nella famiglia. L’assistente sociale deve prima di tutto interrogarsi su sé stesso,sulle sue idee,i suoi valori,le sue conoscenze,i suoi stereotipi e i suoi pregiudizi. La professione di assistente sociale,benché presente da anni nel contesto italiano,è stata fino al 1984 priva di un riconoscimento giuridico e su questa mancanza di chiarezza si sono instaurati meccanismi che hanno inciso negativamente sullo sviluppo di un’identità forte. È fondamentale che l’assistente sociale,facendo leva sulla consapevolezza dell’importanza del ruolo e delle funzioni che il servizio sociale può svolgere,nonché su una solida preparazione teorica e pratica,si presenti con un’identità chiara e si attivi rispetto ad una ridefinizione del proprio ruolo all’interno ed all’esterno della propria organizzazione. Vi sono una serie di elementi che l’assistente sociale deve tenere in memoria riaggiornandoli continuamente,in quanto costituiscono il sistema più ampio all’interno del quale avviene l’interazione tra lui e l’utente. Sarà opportuna una conoscenza generale dei vari fenomeni a carattere nazionale che hanno ripercussioni sul sociale.
Un’attenzione particolare andrà rivolta al complesso dei servizi all’interno del quale è situato il servizio sociale per analizzare le relazioni e le modalità di comunicazione.
Il perseguire un obiettivo di chiarezza può evitare che si vengano a creare situazioni disfunzionali in cui,l’azione dei servizi contribuisce a cronicizzate quegli stessi problemi che dovrebbe risolvere.
L’utilizzo del modello sistemico relazionale richiama fortemente l’ancoraggio al processo metodologico,alla sua scansione in fasi,alla necessità di un comportamento professionale che richiede tempi tecnici ed un’articolazione finalizzata del proprio agire,senza lasciarsi organizzare della urgenze o cadere nella routine.
L’ente e il contesto dei servizi possono condizionare l’operatore ponendo dei vincoli istituzionali e che certe regole interne,ma l’assistente sociale modificando il suo modo di porsi rispetto al problema,può essere un agente di cambiamento anche nei confronti dell’organizzazione. Per quanto riguarda,in particolare il processo di aiuto all’utenza,le modalità di accoglimento della stessa dovranno consentire una prima raccolta di informazioni per comprendere se la domanda è di pertinenza del servizio sociale e quale tipo di contesto apre(o valutativo), per analizzare il tipo di segnalazione o di invio,nel caso l’utente non si sia presentato spontaneamente e dovranno facilitare l’assistente sociale nell’affrontare il caso.
Nell’analisi della situazione acquista particolare rilevanza il principio da Watzlawik che un fenomeno può risultare comprensibile allargando il contesto di riferimento.
Da questo discende la necessità di conoscere non solo il soggetto che pone la domanda,ma anche il suo contesto significativo a partire dalla sua famiglia nucleare ed estesa per arrivare a cogliere le relazioni con la rete di vicinato e amicale oc on le diverse istituzioni.
Le informazioni raccolte andranno poi collegate in un’ipotesi di tipo sistematico,improntata ad una causalità circolare che introduca una punteggiatura della sequenza di eventi tale da far acquistare un significato relazionale ai comportamenti dei vari attori.
Come riferimenti teorici per la comprensione delle dinamiche familiari,ma anche come spunti interessanti per i gruppi possono essere utilizzati i concetti di ciclo vitale;di struttura della famiglia,di comunicazione disfunzionale,di gioco relazionale.
Strumenti utili dal punto di vista grafico sono il genogramma,come possibilità di visualizzare le diverse generazioni,e l’ ecomappa che consente di vedere la famiglia in relazione con altri sistemi del contesto sociale.
In questa fase di analisi della situazione come nella seguente di valutazione ,trovano un’applicabilità i riferimenti teorici al problema dell’oggettività dell’osservatore e a quelli di mappa mentale:non va dimenticato che è sempre l’uomo che osserva un altro uomo.
Il momento del contratto richiama l’attenzione sull’interazione assistente sociale/utente e sull’importanza di una chiara definizione nella loro relazione. Nella verifica dei risultati possono essere applicati i concetti di informazione e retroazione,di omeostasi e di cambiamento,di cronicizzazione o ristrutturazione del sistema,di interazione utente/sistema servizi,in quanto consentono non solo di cogliere il risultato finale,ma di rivedere il processo con la responsabilità di effettuare correzioni dagli eventuali errori.

Semplifichiamo...

Cercheremo di calare nel concetto di alcune situazioni l’applicazione del modello sistemico relazionale,scegliendo diversi livelli di analisi e di intervento:l’organizzazione, il gruppo, il lavoro con l’utente.

L’assistente sociale e la propria organizzazione
L’attenzione al contesto in cui avviene qualsiasi interazione porta a considerare l’organizzazione ,all’interno della quale e per conto della quale l’assistente sociale realizza il suo intervento.
L’interpretazione soggettiva del ruolo professionale sopravanza la dimensione organizzativa che viene vista o come grande supermercato da cui attingere le risorse o come Moloch che stritola e rende impossibile l’estrinsecarsi di una professionalità.
Il primo problema che l’assistente sociale deve porsi è quello della conoscenza del contesto all’interno del quale è inserito. Osservare l’organizzazione da un punto di vista sistemico ossia considerarla come un insieme di parti che operano in funzione dell’obiettivo globale dell’intero sistema; tenere presente che come tutti i sistemi viventi è un sistema aperto cioè capace di ricevere imput dall’ambiente elaborarli e trasformarli in output,bisogna concentrarsi suoi comportamenti le relazioni e le interdipendenze.
Se si assume questa chiave di lettura l’organizzazione diventa un ambito entro cui dirige la professionalità e per riprendere una definizione di Pincus e Minahan,il “sistema agente di cambiamento” che può a sua volta diventare “bersaglio” dell’azione professionale.
L’assistente sociale non è un soggetto passivo,ma è un attore che costruisce la realtà organizzativa attraverso dei comportamenti comunicazionali che contribuiscono a definire un certo “gioco” dell’organizzazione.
Sarà utile “l’osservazione valutativa degli atteggiamenti comportamentali e strategie dei suoi membri,la valutazione delle loro specifiche risorse e dei vincoli di ogni genere che limitano il loro margina e pesano sulle loro strategie.
Anche l’assistente sociale può utilizzare sapere e metodologie all’interno di un piccolo spazio disponibile rispetto al quale definisce le proprie strategie. Si supera in questo modo una logica di causualità lineare che cerca i colpevoli di un malfunzionamento,che tende a bloccare in qualcosa o qualcuno di altro. La logica di tipo circolare apre la possibilità di modificare le proprie mosse del gioco per innescare un cambiamento nel sistema.
“invece di cercare il colpevole,invece di tentare di localizzare il vizio di struttura o di funzionamento,si tratta di fare una diagnosi del sistema che permetta di comprendere in cosa e perché,all’interno di tale sistema ,i  comportamenti o i meccanismi incriminati siano in realtà razionali” e quindi quali sono gli spazi di libertà oltre i vincoli che consentono di introdurre delle strategie nuove. Il principio della totalità consente di analizzare l’organizzazione come insieme di differenti sottosistemi. Ciascuna parte è in relazione come le altre:ogni  servizio,non va considerato come indipendente ma come parte orientata al raggiungimento dell’obiettivo finale dell’organizzazione,modifica l’immagine del proprio servizio all’interno dell’organizzazione richiede l’individuazione di quali sono le interfrecce,l’analisi del proprio modo di porsi,di comportarsi,di retro-agire alle comunicazioni di cui è destinatario.
Modificando il proprio modo di comunicare si potrà poco alla volta facilitare il cambiamento di patterns disfunzionali.
Meno la situazione cambia più si insiste con la stessa modalità d’azione che non avendo come effetto una modificazione,porta ad un’ulteriore cristallizzazione del gioco disfunzionale.
Il principio dell’omeostasi porta a riflettere su come anche nell’organizzazione vi siano meccanismi che tendono a mantenere stabile la struttura e informazioni che spingono al cambiamento.
L’obiettivo delle istituzioni nelle quali è inserito il servizio sociale è quello di rispondere ai bisogni dei cittadini. Purtroppo le organizzazioni pubbliche per i vincoli legislativi e la formalizzazione delle procedure tendono a irrigidirsi a burocratizzarsi traendo gli obiettivi per cui sono nate,comportandosi come se fossero sistemi chiusi.
Il sistema tende ad auto-mantenersi e danche quando le istanze collettive vengono recepite a livello politico,queste trovano difficoltà ad essere attuate perché i giochi organizzativi si sono irrigiditi e gli attori si sono accomodati su mosse da cui traggono un tornaconto.
Il rischio che si corre è quello di cambiare tutto per non cambiare nulla:cambiare norme,struttura formale,attività e compiti,ma lasciare inalterata la logica,i giochi.
La proprietà dell’equifinalità mette in guardia dai tentativi di esportare o assumere modalità organizzative che si sono rivelate funzionali in altri ambiti,è fondamentale costruire dall’interno protocolli,percorsi,modelli d’intervento con processi autonomi rapportati alla specificità della situazione. L’utilizzo della metafora familiare può essere uno strumento che facilita la comprensione di dinamiche e giochi organizzativi.
L’organizzazione,si caratterizza come un gruppo in cui vanno identificati dei livelli di responsabilità analoghi a quelli generazionali,rispetto ai quali deve essere chiaro il ruolo. Si dovrebbero evitare forme estreme e irrigidite di invischiamento che danno origine a servizi ad appartenenza totalizzante in cui è impossibile evidenziare delle differenze,tutti fanno le stesse cose e poca è la comunicazione e l’attenzione ai feedback con l’esterno. Se si analizza la storia di un servizio si possono cogliere degli elementi interessanti e individuare,le differenze tra un servizio di nuova costituzione(Ser.T) o servizi che derivano dalla trasformazione o riconversione di servizi precedentemente esistenti. Il decentramento o il riaccorpamento come il passaggio dal Comune all’Asl,o il rientro dell’Asl al Comune,introducono non solo delle modificazioni istituzionali,ma agiscono come eventi critici all’interno di uan sorta di ciclo vitale del sistema servizi. Può essere utile allora formare una sorta di “genogramma”,in cui l’attribuzione simbolica di ruoli simili a quelli familiari può facilitare l’individuazione di alleanze.
Interessante può essere l’individuazione di regole implicite o esplicite,presenti nei rapporti all’interno di ciascun sottosiste a,tra i vari sottosistemi dell’organizzazione e tra questi e l’esterno. Vi sono regole che derivano dalle norme legislative,ed altre che vengono dagli operatori.
È importante che si rifletta su questi aspetti utilizzando la metacomunicazione anche come strumento per la risoluzione di eventuali problemi relazionali che possono essere sottesi.
Questi hanno dei riflessi sulla relazione che l’assistente sociale instaurerà con l’utente. Qualora le dinamiche interne al servizio o fra più servizi ed istituzioni siano disfunzionali, possono contribuire ad aggravare i problemi che la stessa organizzazione è deputata a risolvere.
Le attività degli operatoti,nel caso in cui non vi sia chiarezza nella definizione delle relazioni possono ostacolarsi,innestando conflitti e competizioni su preesistenti disfunzioni familiari e individuali dell’utenza.
Un altro aspetto particolarmente interessante da analizzare è quello che riguarda i “miti” che Ferriera definisce come”…un certo numero di opinioni ben sistematizzate,condivise da tutti i comportamenti della famiglia,concernenti i reciproci ruoli familiari e la natura della loro relazione”.
Alcuni miti delle organizzazioni socio-sanitarie sono stati studiati da Cigoli che ne ha evidenziato le funzioni difensive e protettive. Le prime operano soprattutto all’interno del sistema e si verificano quando i membri di un’organizzazione distorcono in modo collusivo la realtà,nel tentativo di tenere lontano conflitti ed apetti imprevisti e indesiderati.
Le seconde operano a livello di relazioni con l’esterno e servono a creare confusione e disorientamento in chi non fa parte dell’organizzazione.
L’operatore che voglia portare dei cambiamenti all’interno della propria organizzazione deve porre molta attenzione a questo problema.
Il mito,se sfidato e attaccato bruscamente può portare aduna coesione molto forte degli operatori,dell’organizzazione contro chi tenta di sottravisi. Può essere dunque utile cogliere il gioco coperto del mito e operare piccoli cambiamenti che vengono vissuti come meno minacciosi.

Il processo di aiuto

Analisi della domanda

“Per processo di aiuto si intende l’azione teoricamente fondata e metodologicamente ordinata attraverso cui gli operatori rispondono ai bisogni dei singoli e collettivi dell’utenza attivando le proprie competenze professionali, le risorse istituzionali, familiari e personali richiedenti.”
Il fine del processo di aiuto è indurre un cambiamento e il procedimento avviene mediante fasi logiche:
·        il punto di partenza è l’incontro con l’utente, che dovrà essere affrontato in modo diverso, a seconda se la domanda-bisogno sarà portata dall’utente stesso, e quindi questo è pronto alla collaborazione perché ha valutato l’esistenza di un problema,o se l’istanza è posta all’insaputa della persona, quindi si andrà contro a delle difficoltà.

Analisi della situazione

Questa fase consiste nella raccolta di informazioni sul cliente, sulla situazione, sul contesto globale del suo spazio-vita, sulle situazioni e sugli enti sociali.
Le informazioni dell’ambiente sociale in cui vive l’utente sono fondamentali, poiché aiutano a comprendere in quale contesto egli vive con il suo problema (città,periferia o zona rurale); è altrettanto importante conoscere le scelte politiche sociali,le aree coperte dai servizi,il tipo di occupazione prevalente sul territorio, il tipo di territorio, se è di recente costruzione, se vi sono spazi verdi e spazi di aggregazione; inoltre è fondamentale conoscere le risorse pubbliche e private esistenti, le associazioni e gruppi di volontariato.
Si deve dunque osservare l’individuo e la famiglia nella rete familiare e nel contesto sociale.

Colloquio

Il colloquio è lo strumento privilegiato del processo d’aiuto, la stessa H.Pearlman scrive che la relazione con il cliente deve diminuire l’inquietudine, aumentare il suo sentimento di fiducia e speranza, e colui che accetta di aiutare deve utilizzare alcuni modelli di comportamento quali: rapporto, sostegno, rassicurazione, chiarificazione, spiegazione.
Con la chiarificazione si tenderà a comprendere tutti gli aspetti della problematica, la natura del problema le ripercussioni sociali,le modalità con cui sono state affrontate fino al momento della richiesta di aiuto che permetterà all’assistente sociale di comprenderà la realtà e permetterà al cliente di evidenziare gli aspetti oggettivi della situazione.
Con il sostegno si tenderà a rafforzare il cliente e ridurre l’ansia ed a liberare tutte le forze presenti in lui consentendogli di sentirsi compreso.
Con la comprensione si sé, l’assistente sociale dovrà sollecitare il cliente a riconoscere alcuni aspetti della sua personalità e in tale aspetto vengono riconosciuti due livelli:
il primo è psicoterapeutico, cerca di comprendere il passato del passato e gli eventi che avrebbero potuto influire sulla sua personalità;
il secondo è tendente a far capire come il comportamento del cliente è capace d’influenzare la risposta degli altri.
Nel colloquio l’assistente sociale osserverà il comportamento del cliente, il suo atteggiamento e i suoi silenzi che non sono altro una forma di comunicazione non verbale.
Nel colloquio le domande hanno una duplice funzione:
propulsiva, fungono da stimolo per il cliente che sente di poter comunicare il suo vissuto e le sue emozioni;
epistemologica, un mezzo di conoscenza per l’operatore.
Nella costruzione delle domande devono essere presenti due concetti:
1.Circolarità, si intende la possibilità di formulare domande attingendo elementi dalle risposte e dalla struttura di rapporto su cui si basano;
2.Significatività, permette all’operatore di avvicinarsi a ciò che sente importante e vitale per l’interlocutore. Il tono della voce, la postura, la gestualità trasmettono un clima d’accoglienza.
I segnali del linguaggio analogico che maggiormente interessano il lavoro sociale sono i segnali emozionali, che trovano massima espressione nel volto.
Tuttavia lo strumento del colloquio non è cosa facile, ci sono capacità che si acquistano con l’esperienza e che aiutano a riflettere su di essi in modo sistematico e scientifico.
Definire il colloquio è possibile dicendo che si tratta di una conversazione che ha uno scopo preciso, accettato dai partecipanti a differenza della conversazione che va avanti per associazioni di idee e non esiste un tema centrale.

Il solo comunicare induce, all’interno di un processo relazionale, a cambiamenti.
La competenza primaria dell’assistente sociale è quella di costruire relazioni di aiuto attraverso la comunicazione.
Le persone si differenziano tra di loro per il comportamento che assumono nella vita interpersonale, per la capacità di mantenere un rapporto e per la capacità di comprendere l’interlocutore.
La stessa persona utilizza stili diversi in momenti differenti, e si appropria di modello caratteristico di modalità espressive, che guidano i rapporti interpersonali.
Per realizzare un colloquio è necessario avere un obiettivo chiaro, un metodo di lavoro e un modello teorico di riferimento.
Quest’ultimo permette di costruire e possedere una tecnica di conduzione del colloquio, orienta nel decidere quali sono le domande utili e inviare feedback cha siano di aiuto per la situazione di disagio, permette inoltre di raccogliere tutte le notizie necessarie per formulare ipotesi.
Nel dettaglio prendiamo alcune idee di fondo adattate al servizio sociale:
1.la circolarità ossia la consapevolezza di entrare in un sistema interattivo, aperto all’influenzamento reciproco, e di dover escludere la logica “causa-effetto”.
2.la neutralità intesa come la capacità di costruire alleanze provvisorie, senza effettuare coalizioni;
3.l’ipotizzazione ossia l’abilità dell’operatore nel costruire ipotesi di lettura d’intervento;
4.il cambiamento come condizioni necessarie all’evoluzione familiare.

Con strategia di colloquio s’intende l’insieme di azioni volte a raggiungere uno scopo,essa rappresenta la modalità con cui l’assistente sociale cerca di affrontare e risolvere il problema, permettendo il raggiungimento dell’obiettivo.
Con tattica s’intende piuttosto ciascun mezzo e manovra che si adotta nell’ambito di una strategia,essa rappresenta la scelta delle modalità comunicative per poter raggiungere l’obiettivo.
L’assistente sociale è tenuto a potenziare la sua capacità di attenzione,poiché nel momento in cui si riesce a prevedere  gli effetti dei propri comportamenti e scelte, si potrà utilizzare anche la strategia e la tattica migliore per raggiungere l’obiettivo.
Le strategie più utili nel servizio sociale per comprendere e affrontare i problemi le identifichiamo in:
1.la scelta di utilizzare le capacità della mente, quindi per connessioni,che permette all’assistente sociale di riuscire con un filo logico a contestualizzare il tutto, le connessioni offrono inoltre messaggi che possono modificare percezioni e vissuti soggettivi, nella relazione tra persone (marito/moglie;genitori/figli ecc..)
2.formulazione delle ipotesi per fornire risposte a domande e bisogni espliciti ed impliciti che avviene dopo aver raccolto notizie e informazioni.
3.le tattiche vengono pensate in base al modo in cui il cliente si esprime seguendo regole precise:
a)la comunicazione interpersonale, è un processo a spirale con caratteristiche di reciprocità;
b)per avere un atto di comunicazione sono essenziali almeno sei fattori: l’emittente, un codice, un messaggio, un contesto, un canale, un ricevente.

Nella conduzione del colloquio è possibile distinguere il linguaggio in:
a)domande, la formulazione di queste va accuratamente preparata, poiché assumono un significato sia per la formulazione delle ipotesi che per preparare l’intervento;
b)affermazioni, si utilizzano in parti di dialogo in cui si esprimono in constatazioni chiare sulla situazione di bisogno;
c)ristrutturazioni, ovvero presentare all’utente una diversa visione della realtà;
d)prescrizioni, una modalità che l’assistente sociale utilizza per aiutare a superare una condizione di empasse.
Un aspetto da non sottovalutare nel colloquio è la comunicazione non verbale (analogica) che non è di facile interpretazione, ma di grande rilevanza, essa  ci permette di cogliere la congruenza tra ciò che si dice a parole e ciò che si esprime inconsapevolmente con il corpo.

Il colloquio di valutazione

La gestione del colloquio di valutazione prevede l’uso corretto di competenze tecniche per considerare tutte le variabili dall’invio della valutazione alla comprensione degli effetti presenti e futuri nell’utente.
Le modalità di comunicazione devono esprimersi nella costruzione di un rapporto di fiducia, che è un importante segnale di disponibilità nell’affrontare temi non sempre facile gestione.
La durata del colloquio è di massimo 45-60 minuti e il clima che si crea rispecchia i contenuti portati, la tensione emotiva, che può far emergere sentimenti e stati d’animo reali.
Infine è prevista una relazione per documentare la diagnosi fatta ed il lavoro svolto, e dovrebbe sempre essere presentata al soggetto della valutazione, anche perché è previsto dalla legge 241/92, che sancisce il diritto alle persone di esaminare la documentazione che li riguarda.

Metodologia operativa del colloquio

La preparazione,gestione e documentazione del colloquio deve svilupparsi in un tempo di circa un’ora.
Il colloquio è caratterizzato da 4 fasi:
la fase sociale, di accoglienza, in cui si accoglie l’utente e chi lo accompagna, lo si fa accomodare mettendolo a proprio agio e si cerca di capire il clima delle relazioni presenti o vissute che ha portato la persona a chiedere aiuto;
la fase di indagine in cui si pongono domande informative, di valutazione e chiarimento (quale interpretazione si dà al problema, cosa si è fatto e quali sono le aspettative del cliente), e degli aspetti relazionali (come vive la sua condizione);
la fase interattiva nella quale si cerca di comprendere con domande circolari sull’organizzazione familiare e sul rapporto con l’ambiente esterno;
la fase di definizione degli obiettivi in cui si conclude il colloquio ridefinendo la situazione, individuando un percorso e assegnando compiti su cui lavorare.

La valutazione preliminare del problema

Con il termine “valutare” si intende stimare il valore,la quantità,l’importanza o la grandezza delle cose, dare un opinione su qualcosa.
La valutazione è un procedimento operativo che sfocia in un progetto d’intervento, sia su istanza del cliente che su mandato e deve condurre a centrare le difficoltà da risolvere.
Le fonti che permettono la valutazione della situazione sono, il cliente, il suo ambiente e gli altri operatori.
È importante valutare come il cliente vive il suo problema,cosa ha fatto per risolverlo, quali sono le risorse disponibili e quali sono le aspettative del cliente, tutti fattori utile per realizzare ipotesi che devono a sua volta essere confermate o negate dal cliente stesso.

Elaborazione del progetto d’intervento

Il progetto d’intervento è un  itinerario operativo teso a raggiungere gli obiettivi posti, esso è un’operazione teorica che fa uso delle risorse e permette la realizzazione delle attività e la verifica dei risultati, deve essere in forma scritta e condiviso da tutti i soggetti.
Nell’elaborazione devono essere stabiliti con il cliente, gli obiettivi,i tempi ed i compiti, poiché solo progettando si anticipa il pensiero all’azione ed esso si formula su base di una situazione che si conosce parzialmente e si intende modificare, deve essere coerente con le disposizioni legislative, con il mandato del servizio e basato sui valori e metodologie della professione.
Il progetto deve basarsi sulla:
1.parzialità: intesa come delimitazione del problema, in cui si articolano priorità e susseguente;
2.fattibilità: le azioni previste devono essere realizzabili e gli ostacoli devono poter essere superati;
3.gradualità: deve tener conto dello stato delle cose e dei problemi e gli obiettivi devono essere fattivi;
4.integrazione: si devono integrare tutti i saperi e le conoscenze che concernano l’intervento,le persone, il territorio, i servizi e le risorse.
Per riconoscere la volontà di operare e ritrovare il sistema in una problematica, l’assistente sociale fa uso di un “contratto”.
Il contratto costituisce un impegno reciproco, in esso vengono definiti i problemi,il piano operativo e gli obiettivi, inoltre esso si può presentare in forma scritta o verbale.
La realizzazione del progetto d’intervento è la “prassi operativa” di tutto ciò negoziato nel contratto, che comporta diversi interventi funzionali realizzati attraverso colloqui, riunioni e relazioni pragmatiche.
La valutazione dei risultati deve essere presente in tutto il processo d’aiuto e la verifica comporta la comparazione tra il progetto d’intervento e i risultati ottenuti.
Conclusione dell’intervento è la fase anch’essa molto importante e come le altre deve essere programmata, tuttavia vi possono essere cause che provocano la conclusione del processo anticipatamente, ma è fondamentale che il processo di aiuto si conclude con la valutazione dei risultati avuti.
I questi contesti di ruolo,organizzazioni di servizi e riferimenti teorici, l’assistente sociale inserisce strategie di compito e strategie di rete.

Strategie di compito

Gli assistenti sociali devono aiutare i clienti a capire e definire i loro problemi e facilitare le azioni di problem-solving, nell’intervento non riguarda la situazione complessiva della persona,ma è l’aspetto scelto e riconosciuto come problematico,considerato trattabile in relazione alle risorse disponibili ed alla volontà della persona.
L’aspetto problematico è affrontato attraverso la realizzazione di compiti definiti e funzionali,con un obiettivo da raggiungere entro un tempo limitato.
La limitazione del tempo e del campo accentua l’effetto dell’azione mobilizzando sia le risorse dell’io del cliente sia le energie operative dell’assistente sociale. L’indagine nel campo del privato è limitata e circoscritta. Lavorare sul compito permette alla persona ed ai suoi familiari più significativi di partecipare attivamente.

Metodologie di rete

Riflessione sull’importanza del lavoro di rete

In questi ultimi anni i servizi sociali e i servizi sanitari sono stati oggetto di una serie di interventi legislativi, che hanno modificato l’intervento,gli obiettivi e le risorse.
Si è avuta anche una lettura diversa delle problematiche sociali con una concezione multi-dimensionale del bisogno e della malattia, in cui sono intrecciati aspetti medici, economici, psicologici e sociali.
Contemporaneamente l’assistente sociale ha dovuto adattare il suo ruolo,trovandosi a ad operare come membro all’interno di una equipe, o come coordinatore di utenti e di associazioni di volontariato.
Per garantire i diritti ai cittadini, i servizi sociali,sociosanitari e socio-assistenziali, devono affrontare diverse problematiche per garantire condizioni di vita, di crescita, di supporto e di cura più adeguate.
Dunque, affinché i servizi siano più efficaci si può pensare solo al “lavoro di rete”.
Ogni servizio è organizzato sulle competenze istituzionali che gli sono state attribuite, si è avuta quindi una scomposizione del lavoro ed ogni servizio ha assunto una figura professionale diversa che integra la propria parte di lavoro con quella degli altri,ma i risultati hanno evidenziato le difficoltà strutturali del lavoro di equipe.
Nella maggior parte dei casi ci si  ritrova di fronte a problematiche che richiedono l’intervento di più servizi ed è per questo che si deve dar luogo al lavoro di rete.
Nel servizio sociale si parla di rete statica, che mette in rete operatori e servizi in modo formale; e di rete mobile, che è un modo nuovo di lavorare temporanea, formata da figure professionali in funzione degli obiettivi da raggiungere.

La rete

La metafora della rete è utilizzata nel servizio sociale per dare un’ idea dei rapporti esistenti fra i diversi soggetti, siano essi individui, gruppi o organizzazioni.
Ciascun  soggetto è un nodo della rete e le loro connessioni costituiscono il reticolo.
La rete è uno strumento di analisi della realtà e un modello d’intervento per la soluzione dei problemi,attraverso questo tipo d’intervento si potrà consolidare le relazioni esistenti e crearne delle nuove.

Cenni storici

il termine rete è stato utilizzato dall’antropologo John Barnes, negli anni ’50, per definire le relazioni tra i soggetti nella loro vita quotidiana.
Nei suoi studi egli individuò l’esistenza di tre tipi di relazioni:
quello lavorativo,quello relativo al territorio e quello trasversale, che coinvolgeva tutte le relazioni di parentela,amicizia e vicinato.
Altri studiosi si interessarono di questo tipo di ricerca, come ad esempio, Elisabeth Both che effettuò uno studio sul rapporto esistente tra i ruoli coniugali e le interazioni sociali.
E al termine degli studi ella evidenziò due tipi di relazioni:
Relazioni coniugali separate, caratterizzate da rigide divisioni del lavoro familiare;
Relazioni coniugali congiunte, che si basavano sulla condivisione e partecipazione del lavoro familiare.
 Ella distinse, inoltre, le reti a maglie aperte, in cui pochi soggetti si frequentavano, e reti a magli chiuse, dove molti membri della rete si conoscevano.
Le conclusioni misero in evidenzia che le reti a maglie chiuse inducono ad una maggiore divisione dei compiti tra i coniugi, mentre quella a maglia aperta presentano una maggiore sviluppo dei ruoli congiunti.
Parlando di reti si può effettuare una divisione in: reti primarie, che sono unità di vita sociale, in cui le persone si conoscono e sono unite da un legame,tali reti sono di solito di natura affettiva, basate sulla reciprocità e non si fondono mai su uno scambio monetario; reti secondarie Formali, che sono create da istituzioni e hanno funzioni specifiche e i loro scambi non si basano sulla reciprocità; reti secondarie non Formali, che sono state create per iniziativa di membri delle reti primarie per uno scopo comune, e si caratterizzano per scambi di servizi.
Le reti possono rappresentare spazi di convivenza e di dissidenza, quindi sia sostenere la realizzazione dei soggetti e sia  imprigionarli nel conformismo.
Le reti sono catene di persone con cui ogni soggetto è in contatto e hanno funzioni e valenze diverse, culturali,di aiuto e di sostegno.
Grazie alla propria rete personale si soddisfano esigenze di:
IDENTITà;
AUTONOMIA;
SOCIALIZZAZIONE.
Una rete può essere costituita da 3 o più soggetti e ognuno di esso non è posto secondo una gerarchia, ma è un’unità capace di azione autonoma.
La differenza tra concetto di rete e sistema è che il sistema tende a difendere la sua identità fissando i confini, la rete invece è una realtà in continua costruzione ed evoluzione.
Le caratteristiche strutturali di una rete sono:
l’ampiezza, che rappresenta il numero di persone costituisce la rete;
la densità, che è il numero di relazioni esistenti tra i soggetti che possono oscillare da 0, una rete Egoica in cui ogni soggetto comunica solo con Ego, e 1 in cui ogni soggetto comunica con Ego e con gli altri;
la interconnessione, il numero di legami per connettere due elementi nel modo più breve;
la settorialità, cioè il grado in cui la rete può essere suddivisa in sotto-unità ed inoltre gli studiosi hanno evidenziato anche delle variabili internazionali, che consentono di valutare l’intensità delle relazioni;
il contenuto della relazione, cioè l’oggetto di scambio, materiale o immateriale;
la direzione della relazione, in cui si evidenzia la reciprocità o l’unilaterialità;
la frequenza della relazione,cioè il numero delle relazioni i membri ed Ego e i membri;
la durata della relazione, cioè la persistenza di una relazione nel tempo;
L’intensità della relazione, cioè la profondità che dipende dalle cose messe in comune.
Nelle reti e tra le reti, si possono osservare delle dinamiche relazionali utili per l’intervento.
Quello più diffuso è “il discorso collettivo”, cioè il complesso di norme, costumi regole e credenze che caratterizzano la cultura della rete, osservando tutto ciò si possono evidenziare le alleanze tra i diversi membri e le loro relazioni di vicinanza e lontananza, un aspetto fondamentale per l’intervento di rete.
La metodologia di rete può essere utilizzata come indirizzo terapeutico, ed è stata una delle prime modalità utilizzate negli anni ’70  da Speck poiché consente ad apportare cambiamenti che i membri intendevano attuare.
In Italia si ha un notevole sviluppo della metodologia di rete per la cura della comunità, uno dei maggiori artefici fu Fabio Folgheraiter, che mira a sollecitare la comunità civile come soggetto autonomo di cura.

Lavoro di rete

Il lavoro di rete è costituito dall’insieme delle connessioni delle risorse e delle strategie poste per creare relazioni significative affinché si migliori il livello di benessere.
Il lavoro di rete si base sulla visione della realtà come reticolare e sul fronteggiamento dei problemi.
La rete è distribuita in tante volontà distinte,ciascuna libera di prendere qualsiasi direzione e libera di creare relazioni.
Nell’intervento sociale si parla di relazione Guida  quando un operatore interviene deviando la direzione della rete, e questo avviene quando subentra l’esperto nella rete presentando una nuova realtà.
L’operatore deve riconoscere le persone, le loro relazioni e diversificare il suo intervento sulla base delle risorse disponibili.
Le relazioni verranno rappresentate graficamente evidenziando le funzioni che Ego attribuisce ad ogni soggetto.
La rete è strutturata gradualmente,partendo dal percorso che ha portato Ego alla richiesta, evidenziando le persone che sono state mobilizzate da Ego.
E sulla base della rappresentazione si potrà analizzare la densità,l’estensione e i punti su cui l’operatore potrà operare.
Il lavoro dell’operatore sarà teso a contattare i legami di disponibilità, a stimolare la riflessione sulla situazione ed evidenziare il ruolo della rete orientandola verso lo sviluppo di una progettualità.
Tuttavia l’operatore va in contro a delle difficoltà, trovandosi di fronte a soggetti isolati, quindi dovrà introdurre nel tessuto sociale di Ego altri elementi relazionali.
L’operatore sia quando opera con una rete natura e sia con quella mista deve trasformare i nodi relazionali in nodi di supporto.
L’operatore deve aiutare i careers con interventi di supporto emotivo,formativo, cona la partecipazione a gruppi di self-help e con interventi integrativi.
Gli incontri con la rete hanno funzione di controllo dell’andamento, e permettono di valutare lo sviluppo e la crescita della rete.
Vi sono casi in cui l’operatore di rete è riconosciuto come Case Manager, che assume una duplice contrapposta funzione, può avere la funzione di costruire pacchetti standard di prestazioni assistenziali basate su razionalità ed economicità, oppure avere la funzione di agire in modo discrezionale e flessibile, seguendo la situazione e non direttive  standard.

Concetto di empowerment

il concetto fondamentale su cui si basa l’intervento di rete è l’empowerment.
L’empowerment è il sentire di avere potere o sentire di essere in grado di fare; esso è sia un sentimento che uno stato psicologico, è una convinzione di potere agire, ma anche una strategia operativa.
Il modo in cui vengono erogati i servizi, nel servizio sociale, può mettere in crisi l’empowerment del cliente che si sente incapace, ma tuttavia lo stesso cliente, sapendo di poter usufruire di un servizio, delega la soluzione delle sue problematiche, attendendo l’intervento formale, senza mettere in gioco il suo empowerment.
L’operatore agendo secondo l’empowerment, non accentra il problema su di sé o sul servizio, ma va alla ricerca di persone, all’interno della rete, che collaborano e svolgono i propri compiti.

R.M.  

Fonti Bibliografiche:
. I modelli teorici del servizio sociale, Maria Dal Pra (a cura di) Ed. Astrolabio
. Assessment nei servizi sociali - La valutazione iniziale degli interventi di aiuto e controllo, J. Milner e P. O'Byrne, Ed. Erickson

Nessun commento:

Posta un commento