Legislazione Sociale

Dalla legge Crispi alla 328/00 scenari di grandi trasformazioni nel campo dell’assistenza sociale

Quando si parla di legislazione sociale si fa riferimento a norme alle quali la sfera del servizio sociale si approccia con un allontanamento alla concezione assistenziale per avvicinarsi ad una concezione mercantilistica.
Il concetto di “assistenza” in Italia è stato assente fino ai primi anni del novecento ,nonostante fossero già presenti,tra il 1880 ed il 1886, le problematiche che provocarono l erosione del tessuto sociale e delle reti di solidarietà sociale e familiare. Le condizioni della popolazione del mezzogiorno cominciarono ad essere denunciate e per esse si richiedeva l intervento dello Stato. Le funzioni di assistenza continuarono ad essere svolte maggiormente da istituzioni per lo più religiose,mentre lo Stato garantiva un’ assistenza limitata  ad interventi di ricovero in casi di indigenza e,dal 1904,anno in cui furono istituiti i manicomi,alla reclusione dei soggetti considerati malati di mente nelle strutture manicomiali. Lo Stato considerava la funzione sociale dell’ assistenza,come provvedimenti atti a contenere le problematiche sociali con una logica di controllo attraverso l’ istituzionalizzazione,in modo da mantenere un ordine sociale più che mettere in atto provvedimenti volti ad eliminare il disagio sociale,la povertà o le altre problematiche sociali.
Lo Stato interveniva solo dopo che le altre istituzioni di beneficenza e le congregazioni di carità erano intervenute nei confronti del cittadino in difficoltà, poiché era insita nella cultura sociale che assistenza e beneficenza fossero connessi con lo spirito di solidarietà dell’uomo verso i propri simili.

Il ruolo della Chiesa

La religione Cristiana pone nell’amore e nella solidarietà verso il prossimo uno dei suoi cardini fondamentali. Sorsero,cosi,per opera di ordini monastici le Opere di Misericordia e le opere Pie che curavano l’ospitalità dei viandanti,l’assistenza agli infermi,alle vedove,agli orfani ed agli ammalarti. La civiltà ebrea si caratterizzava per l’assistenza di emarginazione,le uniche persone poste in isolamenti erano i lebbrosi. La civiltà greca e la civiltà romana presentavano istituti e modalità assistenziali come la limitazione del vagabondaggio ed il mantenimento della pace sociale,anche se queste istituzioni erano sorte per scopi politici.
La cultura medioevale obbligava i proprietari ad aiutare i bisognosi e su ciò fondava la teoria della solidarietà sociale,garantendo ai poveri il sostentamento da parte della collettività. L’assistenza ai poveri non era un diritto ,ma si fondava sul concetto di carità. Il povero doveva essere aiutato con le ricchezze in eccesso,nessuno si privava del necessario,ma il superfluo era condiviso con gli altri,questa teoria viene definita della  “ricchezza superflua”.
Prima della conversione di Costantino,solo la chiesa,offriva l’aiuto pratico a sopportare le miserie della vita. Dopo la conversione di Costantino la chiesa divenne religione di Stato e diffuse i suoi principi ispiratori,l’amore e la carità,intesi come uguaglianza tra gli uomini ed unione con Cristo. Si crearono,condizioni vantaggiose per svolgere l’attività caritativa,i suoi possedimenti divennero legali e le proprietà crebbero a dismisura grazie alle numerose donazioni. Costantino poco prima di morire ,donò alla chiesa il palazzo del Laterano ,perché diventasse un centro di carità,preposto sia alla distribuzione di danaro e di viveri che alla raccolta delle offerte per i poveri. Iniziò cosi la collaborazione della chiesa con gli organi politici ed amministrativi dello Stato,portando la chiesa a svolgere funzioni di supplenza del potere pubblico. Cominciarono a sorgere istituzioni specifiche,come asili ed ospizi,l’attività ecclesiastica assunse la caratteristica di un vero e proprio fenomeno sociale. Aiutare i poveri divenne il principale compito di monasteri,conventi ed abbazie ,che fornivano protezione ,elemosina ,cibo e vestiti,ma non veniva fatto nulla per cambiare le condizioni sociali del povero affinché tornasse ad essere autosufficiente. La prima forma di organizzazione nel segno della carità cristiana fu l’istituzione monastica di San Benedetto,ispirata alla regola dell’ospitalità “aperta a tutti”. L’organizzazione dell’assistenza iniziò con San Gregorio Magno il quale affermava che la carità cristiana è una virtù sociale. Quando egli divenne pontefice,con il nome di GREGORIO 1,indirizzò ai bisognosi viveri e l’ospitalità a turno ogni giorno nella mensa pontificia. Durante tutto il medio evo i funerali dei sovrani e poi anche dei cittadini ricchi,oltre all’elemosina,includeva lasciti a favore della chiesa come forma di redenzione dai peccati della vita temporale. I fedeli venivano esortati ad esercitare la carità con discrezione,era loro proibito ospitare un mendicante. Successivamente furono divisi i poveri veri da quelli falsi, le leggi verso i vagabondi volontari divennero rigide,i quali venivano fustigati e poi impiegati per lavori pesanti,alimentati solo con pane e acqua. Nessuno si rese conto che la soluzione della mendicità era nella modifica della struttura sociale ed economica.
Nella lettura del 1500 i mendicanti e i vagabondi erano visti come una minaccia all’ordine morale che furono obbligati ad indossare il distintivo di mendicante questo fu il primo passo verso la stigmatizzazione pubblica. I poveri erano ormai diventati un elemento di disturbo del tessuto sociale a cui si trovò rimedio attraverso la loro rieducazione ad il forzato avviamento al lavoro,fu cosi incentivato l’uso di pene ai lavori forzati in modo da utilizzare forza-lavoro a costo bassissimo. L’ esigenza di un’assistenza pubblica fu avvertita come una necessità,la soluzione più adatta sembrò essere “la segregazione del povero” e il 1656 fu detto anno “del grande internamento”,iniziò quella che viene chiamata la secolarizzazione dell’assistenza,il principio ispiratore venne enunciato da Carlo di Borbone nel 1751 in occasione della fondazione del “generale albergo dei poveri”a Napoli: “qual zelo che nutre il nostro real animo per la maggior felicità dello stato”.
Mentre l’età medioevale fu principalmente l’epoca della carità,l’età moderna fu quella della beneficenza e dell’assistenza. La carità cristiana presentava sicuramente dei meriti,ma anche numerose criticità perché si tendeva a porre rimedi immediati ai mali che affliggevano gli uomini senza preoccuparsi delle cause che li ponevano in essere e senza progettare alcun piano d’azione.

Riconoscimento del diritto all’assistenza

Uno dei primi teorizzatori “dei diritti del cittadini”fu Jean Jacques Rousseau ,il quale affermò che gli uomini nascono liberi ed uguali, che soltando il costituirsi della proprietà privata forma nella società la disuguaglianza e l’asservimento dei poveri ai ricchi e che la soluzione a ciò non è la distruzione della proprietà privata ,ma l’istituzione di uno stato garante della libertà e dell’uguaglianza.
Nel tardo ‘700, inseguito alla rivoluzione francese ,si diffuse in Europa l diritto dei poveri di non dover essere più affidati alle cure dei privati,ma alle cure dello stato che avrebbe dovuto garantire loro assistenza. Cominciò cosi a delinearsi un nuovo concetto,quello della “prevenzione della povertà”. Emerse inoltre il concetto di “ carità legale” sostenuto da  Cavour, dove il povero diviene soggetto di diritto. Dopo l’avvento dell’unificazione,l’Italia si trovò in un momento molto difficile con enormi problemi che favorirono la diffusione del brigantaggio,una vera e propria guerra sociale,messa in atto dai contadini per le gravi condizioni e come risposta alle imposizioni del nuovo stato nascente. L’unica via di soluzione per molti fu l’emigrazione. Il giovane Stato per risanare le imponenti difficoltà promulgò una serie di riforme,creò le prime e necessarie sovrastrutture ,e pareggiò il bilancio economico. Il grave ritardo nel processo di unificazione determinò nelle varie regioni una notevole differenza sia dalle condizioni di vita che delle condizioni assistenziali e previdenziali. A tal proposito fu varata una blanda legislazione finalizzata al controllo delle istituzioni,ma non fu mai varata una legge che organizzasse tutte le strutture assistenziali ,questo è il motivo per il quale ancora oggi nel nostro stato vi è un panorama complicatissimo di strutture assistenziali,le quali coesistono una affianco all’altra spesso sovrapponendosi.

La legge Crispi 1890

La legge Crispi consacrò un’assistenza pubblica autonoma che mirava a prevenire e eliminare situazioni svantaggiose (la povertà), ma l’epoca in cui nacque la legge era caratterizzata da un movimento operaio,che si rivolgeva a tutti i lavoratori, ma non comprendeva quella fascia d popolazione emarginata dal tessuto sociale (anziani,disoccupati,disabili ecc..).
Questo dualismo comportò la creazione di due apparati assistenziale e previdenziale,e con la tendenza sempre più marcata a proteggere il particolare con le risorse della collettività.
Mentre il ceto industriale chiedeva un governo più efficiente con una legislazione moderna aperta alle nuove questioni sociali,quindi si crearono le “istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza” che permise la parziale laicizzazione delle opere di beneficenza.
Come si vede lo Stato inizia ad intervenire in cose che prima erano campo esclusivo del privato e della Chiesa.
La legge Crispi rese laica l’assistenza e affermò che l’unica funzione dello Stato era ispettiva, introdusse il nuovo concetto di giustizia legale e mantenne inalterata la loro natura privatistica, demandando allo Stato la responsabilità dell’emarginazione fisica, dei diseredati, degli inabili e dal 1904 anche dei malati mentali.
Vennero emanate delle norme per regolare le attività lavorative dei minori vietando il loro impiego al di sotto dei 12 anni, nel 1893 fu emanata una legge sull’obbligo di risarcimento in caso di infortunio sul lavoro.
Nel periodo fascista la classe politica vide come soluzione le problematiche sociali, “la conquista della quarta sponda”, il modo che gli italiani non sarebbero emigrati in cerca di fortuna rendendo evidente la loro miseria, ma evidenziando la loro forza di colonizzatori.
Gli storici ritengono valide due motivazioni alla base della legislazione sociale del periodo fascista:
un sincero desiderio di risollevare le condizioni di vita del popolo italiano oppure l’intuizione da parte del regime di un’arma di controllo delle masse: l’assistenzialismo.
Tra gli interventi legislativi prodotti nel periodo fascista troviamo:
l’O.N.M.I. (opera nazionale per la protezione della maternità dell’infanzia) che aveva come funzione: la protezione e l’assistenza delle gestanti e delle madri bisognose o abbandonate, dei lattanti e dei bambini appartenenti a famiglie che non potevano prestare loro le cure necessarie, dei minorenni fisicamente o psichicamente più deboli.
O.N.M.I. diffuse le principali e basilari norme igieniche, organizzava in concorso con gli altri enti opere di profilassi antitubercolari nell’infanzia, vigilava inoltre sull’attuazione di tutte le norme concernenti la tutela della maternità (RDL 22-3-34 n°654), l’assistenza o la tutela degli illegittimi o degli abbandonati (RDL 8-5-27 n°798 e RDL 29-12-27 n°2822), la mutualità scolastica (L 3-1-29 n°17) e la tutela della donna e del fanciullo (L 26-4-34 n°653).
Altra iniziativa per la gioventù fu la creazione dell’opera nazionale Balilla, L 3-4-26 n°2247, ente morale per l’assistenza e l’educazione fisica e morale della gioventù.
Il RD 30-12-23 n°284 istituì gli E.C.A., enti comunali di assistenza, che avevano il compito di coordinare tutte le attività pubbliche o private volte al soccorso degli indigenti, alla loro cura, alla loro istruzione ed educazione o al loro cambiamento professionale.
Il RD 3-3-34 n°383 provvedeva al riordino delle attività di assistenza materiale e sanitaria.
Furono istituiti diversi enti previdenziali come: l’istituto nazionale fascista assicurazioni infortuni sul lavoro (1933) ha dato origine all’attuale INAIL, l’istituto nazionale fascista di previdenza sociale (1935) dal quale nacque l’INPS, l’ente per la mutualità fascista (1943 da cui è sorto l’INAM, mentre si estende la gamma di interventi assicurativi volti a privilegiare gli occupati.
Anni ’50: Il dualismo tra previdenza e assistenza viene ad essere ribadito anche nell’art 38  della Carta Costituzionale ove viene ribadito un sistema previdenziale per i lavoratori e un’assistenza per le classi più indigenti.
Entra in campo per la prima volta un aspetto importante che è quello sanitario che avvia una prima integrazione socio-sanitaria, infatti all’art 32 si dice “la Repubblica tutela la salute come diritto dell’individuo e garantisce le cure agli indigenti”.
Iniziano a crearsi forme di aiuto e solidarietà verso le categorie più deboli che determinano,tuttavia una eccessiva frammentazione che crearono non ben pochi impedimenti, infatti questi impedirono un riordino equilibrato del sistema pensionistico uscito compromesso dalla guerra. Quindi ogni proposta che rivedesse un discorso universalistico trovò opposizione da parte di quelli che vivevano in condizioni più favorevoli, in + continuavano ad accentuarsi le divaricazioni tra agricoltura e industria,tr anord e sud,grandi impresse e piccole, che diedero una spinta ad avviare provvedimenti che però erano caratterizzati da una visione individualistica da un lato e dall’altro una visione collettivistica.
In questa confusione si sentì l’esigenza di una nuova figura professionale che fu l’assistente sociale che aveva il compito di affermare un’idea di diritti e doveri del vivere comunitario, allontanandosi dalle funzioni istituzionali, sia in materia di assistenza che sanitaria.
Anni ’60: L’avvento del centro sinistra col governo Fanfani nel 1962 determinò una serie di aspettative che misero in aatto politiche a favore delle categorie + svantaggiate.
Fu il decennio delle pensioni (sociali 1965,di anzianità 1969) della riforma ospedaliera,il decennio in cui l’economia e le politiche sociali produssero i loro effetti, ponendo maggiore attenzione verso le maglie + deboli del tessuto sociale oltre che per i lavoratori.
Ma tutto ciò avvenne in un clima che viaggiava a doppia velocità diversificata non solo da un punto di vista geografico ma anche economico, inizia a prospettarsi un orizzonte con nuove politiche sociali,nuovi programmi e metodi che si concentrano sull’analisi dei bisogni, partecipazione, superamento dell’emarginazione e globalità dei servizi.
Anni ’70: Il percorso storico del servizio sociale è sovrapponibile  allo sviluppo del welfare state,entrambi sono stati realizzati per il raggiungimento delle norme di benessere contenute nelle costituzioni.
Negli anni ’70 vi fu un fiorire di legislazioni sociali che crearono la struttura portante del welfare state in Italia,si possono annoverare alcune leggi fondamentali,come:
  • La legge 281 del 1970,che istitui le regioni a statuto ordinario dando corpo al decentramento con il trasferimento delle competenze assistenziali dallo stato alle regioni;
  • Il provvedimento centrale a parte il DPR 9 del 1972, che pure trasferiva alle regioni deleghe importani, fu la Legge 382/75 che delegava il Governo a emanare gli atti utili a completare il traferimento delle funzioni alle regioni, in effetti ci fu una vera e propria svolta: da un lato c’era un’estenzione a tutti i cittadini nei servizi sanitari e assistenziali (regioni); dall’altro una copertura ai soli lavoratori nel campo previdenziale e pensionistico (stato);
  • Il DPR 616 del 1977,che segnò il passaggio da un sistema frammentario,basato sull’esistenza di una pluralità di enti ,ad un assetto organico che individua nelle regioni il riferimento programmatico di coordinamento e di controllo e nei Comuni la sede di gestione dei servizi,nell’assistenza pubblica restano le competenze di carattere amministrativo e civile.
Lo Stato,è responsabile dell’indirizzo e della programmazione della politica sociale e dell’erogazione delle pensioni sociale attraverso l’INPS.
Con il DPR 616 del 1977 si sostanziano i nuovi principi di politica sociale:l’Universalità delle prestazioni,come erogazione dei servizi a tutti i cittadini a prescindere dallo stato di bisogno, la Territorialità ,come ambito per la gestione e l’integrazione dei servizi,con esso al servizio sociale vengono attribuite tutte le attività che attengono alla predisposizione ed all’erogazione di servizi gratuiti o a pagamento. In seguito con la legge n. 135 e la legge n. 142 del1990 “ordinamento delle autonomie locali”,pubblicata sulla G.U. del 12-06-90, si sono riordinate le competenze a livello degli enti locali,per cui la regione ha il compito di determinare gli obiettivi generali della programmazione economico-sociale e territoriale ripartendo le risorse destinate agli enti locali.
Negli anni dal 1970 al 1978 furono emanate leggi importantissime:
  • La legge n.1204 del ’71 sulla tutela delle lavoratrici madri ampliata poi con la legge n. 903 del ’77 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro,è stata questa una legge rivoluzionaria che è stata varata in Italia per prima in Europa;
  • La legge n. 1044 del 71 istituiva degli asili nido;
  • La legge n. 151 del ‘ 75 riforma del diritto di famiglia;
  • La legge n. 354 del ’75 norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure limitative della libertà;
  • La legge n. 405 del ‘ 75 sui consultori familiari;
  • La legge n. 685 del ’75 sulla disciplina degli stupefacenti e sulla prevenzione, la cura e la riabilitazione degli stati di tossicodipendenza;
  • La legge n. 833 del ’78  riforma sanitaria;
  • La legge n. 180 del ‘ 78 riforma dell’assistenza psichiatrica e chiusura dei manicomi;
  • La legge n. 194 del ‘ 78 tutela sulla maternità e infanzia e sull’interruzione volontaria della gravidanza.
Queste leggi hanno definito le competenze del servizio sociale.
Anni ’80: Dopo la rivoluzione legislativa degli anni ’70 possiamo constatare la sua stasi per tutti gli anni ’80,ad eccezione di alcune che prevedono il decentramento degli interventi sociali e sanitari,infatti venne avviata la partecipazione degli utenti alla spesa sanitaria attraverso l’introduzione del Ticket, la razionalizzazione del management con la legge 111/91 che istituì la figura del manager il quale con pieni poteri quadrava i conti chiave prevelentamente aziendalistica.
Anche nel campo previdenziale si sentì la stessa esigenza a causa di un’estensione progressiva del sistema pensionistico, insieme a disparità conseguenti alle erogazioni monetarie.
I ogni modo di fronte a eccessivi costi, ormai insopportabili sulla spesa pubblica vennero adottati misure + severe, anche per quanto riguarda la sfera assistenziale a livello locale.
Anni ’90: Furono il decennio della razionalizzazione per mettere ordine in campi come la previdenza,’assistenza sociale e quella sanitaria.
Tra i principali provvedimenti possiamo ricordare alcuni come:
-          restrizione dei criteri di eleggibilità per ottenere prestazioni;
-         concentrazione e limitazione dei benefici ai gruppi sociali in difficoltà;
-         agevolazioni fiscali a sostegno della previdenza integrativa privata;
-         concentrazione delle opportunità per ottenere benefici: pensione a 65anni, calcolo contributivo e non retributivo ecc..
-         compartecipazione alla spesa pubblica;
-         progressiva aziendalizzazione dell’assistenza sanitaria: nomina del manager, integrazione socio-sanitaria,innesto di elementi privatistici.
-          Promozione di riconoscimento di funzioni pubbliche a soggetti del privato sociale: legge 266 e 381 che favorirono la trasformazione del welfare state in welfare mix;
-          Freni nell’assunzione nel settore pubblico.
Occorreva superare la logica della legge Crispi e modernizzare la disciplina di erogazione di assistenza e beneficenza, facendo riferimento agli art 2-3 della Costituzione La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili del’uomo sia come singolo e sia nelle sue forme sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento di doveri di solidarietà politica,economica e sociale; tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge..
Tuttavia mancava un processo riformatore diretto verso un sistema integrato di servizi e interventi, ma le principali leggi emanate negli anni ’90 furono
v  La legge 8 giugno 1990 n. 142 sulle autonomie locali,che volge a promuovere la partecipazione dei cittadini ed il diritto di accesso agli atti amministrativi;
v  la legge n. 241 del 7 agosto del 1990 “nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”;
v  legge 309 del 90 in materia di tossicodipendenza;
v  legge 216 del 91 a favore dei minori a rischio;
v  Il riconoscimento del terzo settore con la legge n. 266/91( volontariato) e la legge n. 381/91 (la disciplina delle cooperative sociali) ed il dlgs 486/97,porteranno alla creazione delle ONLUS;
v  è obbligo ricordare la legge 104/92,testo unico per la valutazione,riconoscimento e interventi a favore di soggetti portatori di handicap;
v  d.lgs 502 e 571 del 93 di riordino del sistema sanitario e socio sanitario;
v  legge 285 del 97 a favore dell’infanzia e dell’adolescenza;
v  la legge n. 59 del 15 marzo 1997 “delega del governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali per la riforma della pubblica amministrazione e per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”;
v  la legge n. 127 del 15 maggio del 1997 “misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”;
v  il decreto lgs. n. 112 del 31 marzo 1998 “conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali in materia di servizi alla persona ed alla comunità”.

Solo nel 2000,dopo 10 anni con la legge 328 si ha la riforma dei servizi sociali che pone le basi alla costruzione di un sistema integrato di interventi e di servizi sociali.


la legge Quadro 328/00 e il sistema integrato di servizi sociali

A seguito dei numerosi interventi legislativi bisognava comunque creare un quadro unitario , le molte leggi nazionali e provvedimenti regionali hanno aiutato questa evoluzione verso un apparato unitario, ma restava ancora quell’atteggiamento caritativo che rischiava di dare continuità alla legge Crispi.
Gli anni 70 furono utili per affrontare la questione sociale da punto di vista istituzionale, attraverso anche la salvaguardia delle autonomie locali nello Stato, infatti il DPR 616/77 stabilì le competenze dello stato, delle Regioni e degli Enti locali (comuni e province) rispettando gli art 117 e 118 della cost.
La legge 142/90, la legge Bassanini 59/97, il Dlg.s 112/98 e la sistemazione del testo unico 267/00 completarono il quadro istituzionale per accogliere una Riforma sociale.
Ci furono diverse proposte di legge con precisione 12 che furono messe sotto il nome del deputato firmatario On Elsa Signorino, e fuorno convogliate in un'unica legge che venne varata 8 novembre del 2000, la Legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali 328.
La 328 è caratterizzata da 6 capi e 28 articoli:
  1. Al primo capo ripartito in 5 art vengono elecanti i principi generali e le finalità:
art.1 à venne sancito un sistema di protezione sociale attiva che offre autonomia e sviluppo ai cittadini che si trovano in condizioni di bisogno, attraverso un sistema integrato di servizi e prestazioni coinvolgendo enti pubblici,privati e della solidarietà sociale, i quali partecipano alla programmazione e gestione dei servizi a partire dai livelli essenziali di prestazioni assicurate a tutti;
art.2 à vengono individuati i destinatari degli interventi, ovvero tutti i cittadini,compresi extracomunitari;
art.3 à viene indicato il metodo per realizzare gli interventi, basato sulla programmazione, attuazione e verifica/ integrazione, concertazione e cooperazione;
art.4 à per realizzare ciò occorrono i finanziamenti erogati dallo Stato Regioni e Comuni;
art 5 à nell’incontro tra soggetti pubblici e privati viene riconosciuta maggiore importanza al terzo settore al quale viene affidato la gestione dei servizi.
  1. Al secondo capo si disciplinano gli assetti istituzionali e organizzativi del sistema di protezione sociale: i Comuni hanno il ruolo centrale con funzioni amministrative proprie, le Province affiancano i Comuni nei compiti di coordinamento e formazione, le Regioni hanno compiiti di programmazione coordinamento e indirizzo degli interventi oltre che quello di verifica, lo Stato definisce invece i livelli essenziali di intervento e la determinazione dei principi generali e obiettivi di politica sociale, attraverso l’emanazione del piano sociale nazionale, la determinazione delle professioni sociali e la ripartizione del fondo nazionale.
  2. il terzo capo contiene disposizioni di particolari interventi, con la compartecipazione di diversi enti, entrano in scena le ASL che insieme ai Comuni elaborano progetti mirati per disabili, anziani, centrando il ruolo della famiglia.
  3. il quarto capo si trovano gli strumenti che favoriscono l’integrazione dei servizi ovvero: il Piano sociale,quello nazionale predisposto dal Governo, quello regionale e quello locale. I piani costituiscono lo strumento per avviare progetti e definire le risorse per la spesa assistenziale.
  4. il capo quinto definisce le modalità di realizzazione del sistema integrato, mediante politiche e prestazioni coordinate, integrando servizi alla persona con eventuali risorse economiche e percorsi attivi mirati all’efficacia delle prestazioni. Inoltre viene assegnato alle regioni il compito di prevedere l’erogazione di prestazioni essenziali e garantire il segretariato sociale, il pronto intervento sociale,l’assistenza domiciliare, reddito di cittadinanza e redditometro.
  5. il capo sesto sono le disposizioni finali, dove viene disciplinata una Commissione nazionale di indagine sull’esclusione sociale e vengono definite le modalità di interveto su casi di povertà estrema.
Gli elementi costitutivi della legge 328/00 possono essere delineati sotto due profili:
-    profilo oggettivo, cioè le attività che costituiscono l’assistenza sociale all’interno delle politiche sociali, infatti con la legge 328 si conferma il D.lgs 112/98 fedele a sua volta al decentramento amministrativo avviato dalla legge 59/97 che riprese il provvedimento avviato nelgi anni 70 616/77 agganciato alla legge 142/90 “ tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura e l’interesse e promozione dello sviluppo e dei rispettivi territori sono ceduti alle autonomie locali.
   Il Dlgs 112/98 dedica un apposito capo ai servizi sociali, dove li identifica come quelle attività che si preoccupano della predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti o a pagamento, o prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare situazioni di bisogno e difficoltà che la persona incontra.
   La legge 328/00 avvia una sorta di passaggio da una concezione particolaristica dell’assistenza sociale ad una universalistica rivolta a tutti i cittadini.
-    profilo soggettivo, dove si trova una complessa interazione tra tutti i soggetti coinvolti,pubblici o privati.
Alla base di questa interazione si pongono il principio di decentramento amministrativo e dell’autonomia locale previsto nell’art 5 cost, dalla legge 59/97, 142/90, dlgs 267/00 o anche Testo Unico delle autonomie locali.
La legge dopo aver elencato i principi generali, richiama tutti i soggetti della comunità ad esercitare diritti e doveri  di solidarietà secondo il principio di sussidarietà in una logica di integrazione-cooperazione, infatti la programmazione e l’organizzazione compete al pubblico ma lui non è solo, bensì coinvolge gli organismi e i soggetti della solidarietà sociale, quindi c’è il riconoscimento di una comunità,come sede di mediazione tra bisogni e risposte, pronta ad affidarsi se necessario a diversi livelli, fino ad arrivare allo Stato.
La legge 328 concretizza un nuovo sistema di Welfare mix con un’accentuazione alle titolarità pubbliche ma anche al ruolo del comune,tuttavia la nuova legge è stata già in procinto di tramontare,poiché quasi in contemporanea venne riformato il titolo V della Costituzione,dove si trova l’art 117, che è alla base della legge quadro, quindi questo poteva compromettere il fine ultimo della novella legge.
Nella formulazione iniziale l’art 117 prescriveva alle regioni, per alcune materie tra cui socio-assistenziale, di emanare norme nei limiti della legge dello Stato; con la modifica del titolo V (norma costituzionale 3/01) lo stato ha ceduto alle regioni come materia esclusiva,tra le altre, l’assistenza e i servizi sociali, quindi gli enti emanano norme non + sotto i limiti di legge dello Stato, pertanto la 328 nn vincola + le regioni.
In ogni caso non tutte le disposizioni della 328 vengono messe in discussione,poiché il nuovo art 117 lascia tra le materie esclusive dello stato la determinazione dei livelli essenziali di prestazione.
Ulteriore aspetto da dover analizzare riguarda la distribuzione dei fondi perequativi previsti dall art 119, i quali vengono affidati dallo Stato, ma questo mette in risalto il rischio che tale funzione potrà compensare le differenziazioni regionali, però ci sono stati revisioni che hanno determinato una riduzione negli stanziamenti dei bilanci regionali e locali a favore dei servizi sociali.
In ogni caso il modello di welfare mix delineato dalla 328 dovrebbe rimanere intatto, ma molte regioni in previsione della riduzione di risorse finanziare potrebbero affidare l’erogazione dei servizi sociali a soggetti del terzo settore o privati e questo implicherebbe una notevole differenziazione tra le diverse regioni.

Ovviamente va sottolineato che la riforma del titolo V ha comunque i suo aspetti positivi, in termini di autonomia e opportunità di autogoverno, tutto ciò fa subentrare la logica di competizione tra territori per approvvigionarsi delle risorse,quindi questo richiede una grande responsabilità e competenza da parte delle dirigenze locali  e regionali.


l’attuazione della legge 328/00 in Campania

La regione Campania è stata la prima a dare attuazione alle disposizioni della legge 328/00, da un lato c’era l’esigenza di un cambiamento culturale nei processi di rappresentazione, nei linguaggi e nelle relazioni; dall’altro c’era la necessità di fare i conti con una realtà territoriale legata al concetto della solidarietà assistenziale.
Due sono stati i provvedimento che hanno dato avvio in Campania all’attuazione della 328, deliberati dalla Giunta regionale:
N° 1824: ripartisce il territorio regionale in ambiti territoriali costituiti dai vari Comuni per creare un sistema locale di servizi sociali che coincidono con i distretti sanitari dell’ASL di riferimento;
N° 1826: detta le linee guida che indicano metodi e contenuti, le regole alle quali devono riferirsi per la definizione dei Piani di Zona sociali.
Infatti per la definizione dei piani di zona, la regione Campania si è rifatto alle disposizioni della legge quadro, le prime linee guida furono emanate nel 2002 e hanno costituito l’ossatura di quelle successive.
Le linee guida sono definite idee-forza che prevedono Welfare di responsabilità, diritti di cittadinanza, sicurezza,inclusione,partecipazione,coprogettazione,pianificazione,politiche integrate,sviluppo del territorio,contrasto alle povertà ecc.. sono questi i presupposti sui quali è dovuta costruirsi la nuova programmazione sociale.
Il piano di zona è un piano regolatore di strutture, servizi e interventi di carattere sociale e socio-sanitario in un certo ambito territoriale (52 sono i distretti sanitari).
Le linee guida hanno offerto una sequenza di tempi e modalità di percorso:
·               ambito territoriale: area geografica all’interno della quale vengono programmati e realizzati nuovi sistemi di politiche sociali;
·               coordinamento istituzionale: organismo cardine che predispone il Piano di zona, facevano parte i sindaci dei comuni aderenti, infatti l’onere della prima convocazione venne affidato al sindaco del comune con maggiori abitanti, ed è stato chiamato a prendere diverse decisioni fondamentali. In più il comune capofila stabilisce tempi e modalità e approva il Piano compreso i raccordi coi soggetti della solidarietà sociale presenti nel territorio, ed infine la quota finanziaria con la quale si realizza il piano;
·               ufficio di Piano: è il soggetto esecutore delle decisioni politiche  assunte dal Coordinamento, ed è costituito dal personale distaccato dai singoli comuni;
·               protocollo di intesa: è il primo atto ufficiale sottoscritto dai membri del Coordinamento e sancisce la volontà di procedura del Piano nel rispetto delle linee guida. Il protocollo d intesa è ratificato da ogni Comune e inviato al Comune capofila che lo trasmette la Regione che a sua volta lo verifica e in caso positiva avvia il finanziamento;
·               gruppo di piano: è il motore originario del processo,nel quale si sono riuniiti su decisione del coordinamento, tutti i soggetti della realtà territoriale per rivelare le condizioni di bisogn e assicurare risposte.
I passaggi compiuti dal Coordinamento istituzionale e dal gruppo di piano sono mirati alla definizione del piano:
  • la base conoscitiva:  riguarda la fase di raccolta dei dati e le informazioni per effettuare una diagnosi del territorio e quindi: aspetti morfologici,economici occupazionali,dati demografici,i servizi esistenti per le aeree (minori,anziani,disabili previsti dalla 328), la mappa dei progetti in atto, la mappa dei soggetti che partecipano;
  • la costruzione delle risposte: è la fase cruciale per stabilire cosa realizzare e come per raggiungere risultati efficaci ed efficienti. Ogni progetto parte da obietti volti a risultati attesi, delinea le azioni da compiere e le risorse,i soggetti e i destinatari, i tempi, le modalità,gli strumenti ed infine verifica e valutazione;
  • la stesura del piano: è importante in questa fase assicurare le modalità di gestione, relativi strumenti, in particolare la durata, il sistema di monitoraggio e di valutazione;
  • l’approvazione e presentazione: dopo la serie di fasi segue l’approvazione del piano e la sua trasmissione al comune capofila, la procedura di approvazione,sancita nell’art 19 della 328/00, è consentita nella trascrizione di un programma tra soggetti che hanno partecipato alla definizione di esso;
  • l’accordo di programma: disciplinato dall’art 34 della 267/00, è uno strumento che conferisce vincolo di obbligatorietà per gli enti che hanno sottoscritto, ottenuta l’approvazione, il piano può avere effetto attraverso l’utilizzo delle risorse, costituite dal fondo nazionale,regionale e dal POR;
  • valutazione e verifica: essa è caratterizzata da quella conclusica,preventiva e quella in corso d’opera.
La redazione del Piano di Zona del 2007/2009 Regione Campania
Il piano di zona della regione campania è stato redatto attraverso due fasi:
  1. ha coinciso con la stesura del primo pezzo, la programmazione integrata ASL e comuni, e la definizione del relativo quadro finanziario;
  2. ha riguardato la definizione del piano, compreso le strategie relative agli interventi, con l’articolazione dell’assetto istituzionale,gestionale e finanziario. Questa fase si conclude con la sottoscrizione dell’accordo tra gli enti partecipanti al coordinamento istituzionale.
La stesura del Piano 2007-2009, importante con il nuovo piano di zona non tralasciare la conoscenza dei bisogni del territorio, rafforzare il coinvolgimento di tutti gli attori locali e rivolgersi ai beneficiari direttamente.
  1. CONVOCAZIONE DEL COORDINAMENTO ISTITUZIONALE PER DARE MANDATO ALL’UFFICIO DI PIANO PER LA REDAZIONE DEL PIANO;
  2. RIUNIONE TRA IL COORDINAMENTO ISTITUZIONALE E DELL’UFFICIO DI PIANO PER LA VALUTAZIONE DEI RISULTATI PRECEDENTI (VERIFICA);
  3. ATTIVAZIONE DEI SOGGETTI COINVOLTI: ORGANIZZAZIONI SINDACALI, TERZO SETTORE ECC.. (CONFRONTO)
  4. RIUNIONI TRA COORDINAMENTO ISTITUZIONALE E UFFICIO DI PIANO PER LA DEFINIZIONE DEL PIANO D’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA (COSTRUZIONE DELLE RISPOSTE);
  5. SOTTOSCRIZIONE DEL PROTOCOLLO D’INTESA TRA COMUNI E ASL;
  6. RIUNIONI DEL COORDINAMENTO IST. E UFFICIO DI PIANO PER RIELABORARE I RISULTATI;
  7. ADOZIONE DEL TESTO FINALE DEL PIANO E SOTTOSCRIZIONE DI APPOSITO ACCORDO DI PROGRAMMA;
  8. SOTTOSCRIZIONE DELL’ACCORDO DI PROGRAMMA TRA COMUNE CAPOFILA E ASL;
  9. DEFINIZIONE DEL QUADRO FINANZIARIO A SOSTEGNO DEGLI INTERVENTI PROGRAMMATI.
La quota che ogni comune deve impegnare nel proprio bilancio da spendere solo per gli interventi previsti nel apino di zona, è confermata per un minimo di 5 € per abitante.
Tale fondo si aggiunge a quelli già stanziati anche quelli previsti dalla Regione Campani e dal fondo Nazionale, nonché quelli delle ASL per la componente socio-sanitaria e del POR.
Anche la valutazione del piano segue un impianto dettato dalla legge e assorbita dalla riforma del titolo V della Costituzione, ci sono dunque tre livelli di competenze, regionale, provinciale e zonale.

La valutazione non solo prescritta, ma deve essere interattiva e dialogica, capace di coinvolgere tutti i soggetti,con interviste, focus-group per cogliere le aspettative della gente e constatare i risultati.


la legge regionale per la dignità e la cittadinanza sociale

La regione campani  ha varato una propria legge sui servizi sociali N° 11/07 “Legge per la dignità e la cittadinanza sociale” che ambisce a raggiungere l’opinione pubblica ai diversi livelli di giudiziose ed espressione.
Pur potendo la Regione Campania ribaltare la normativa statale,c’è stata la scelta unanime per assumere la 328/0 come modello di fondo.
11/07 si divide in 9 titoli e 59 art: TITOLO 1 vengono enunciati i principi generali e le finalità del sistema integrato di servizi con criteri di universalità, dove si sancisce priorità ai casi + estremi.
La legge individua i soggetti titolari del diritto ad erogare le prestazioni,indica le diverse tipologie di servizi e gli strumenti utili per la programmazione,ovvero la ripartizione in ambiti territoriali,il piano sociale regionale e il piano di zona;
TITOLO 2 indica i sogg. del sistema integrato di servizi, differenziandoli in pubblici e privati, alla regione vengono affidate funzioni di programmazione,coordinamento e indirizzo alle politiche sociali, alle province (gli stessi enunciati dalla 328) vengono affidati compiti quali la ricognizione dei bisogni in un ambito territoriale,l’attivazione di un sistema informativo, ai comuni, nel rispetto del principio di sussidarietà, si conferma la realizzazione del sistema integrato.
Inoltre la legge istituisce il Coordinamento istituzionale come motore del Piano di Zona,mentre la Consulta regionale delle autonomie locali esprime pareri consultivi alla Giunta regionale sui problemi di attualità.
Negli art successivi vengono definiti gli organismi del terzo settore che operano nella programmazione e gestione di servizi sociali,e viene riconosciuta funzione sociale sia agli organismi che operano in maniera informale (famiglie ecc..) sia ai soggetti privati a scopo di lucro.
TITOLO 3 disciplina gli strumenti di programmazione,coordinamento e attuazione delle politiche sociali. I piani di zona dovranno realizzare, sulla base delle indicazioni della regione, attività sociali e socio-sanitarie ritenute utili e per la loro attuazione viene disciplinato l’Ufficio di Piano che esegue le decisioni del Coordinamento istituzionale.
Il segretariato sociale viene ad essere istituito, per agevolare l’accesso ai servizi e fornire le informazioni, connesso c’è la porta unitaria di accesso, che filtra, orienta e trasmette infatti in relazione a questi organismi negli ultimi articoli viene previsto il Sistema Informativo (banca dati allestita dai comuni, dei bisogni e servizi attivati) e la Carta dei Servizi (indica le prestazioni offerte).
TITOLO 4 vengono specificate le aree di intervento, dalla responsabilità familiare alle misure di contrasto delle dipendenze, dalle politiche a favore degli anziani agli interventi per i disabili ecc…
TITOLO 5 riservato all'integrazione socio-sanitaria e vengono definiti  i principi che riconducono ad unità gli interventi di natura sociale e sanitaria per soddisfare i bisogni.
TITOLO 6 regola la partecipazione al sistema di servizi istituendo un apposito albo comprendendo anche chi non vi può partecipare ad es associazioni di volontariato, in + il piano sociale regionale definisce i sistemi di valutazione relativi ai risultati conseguiti.
TITOLO 7 disciplina gli strumenti di garanzia e controllo del sistema integrato di servizi, si disciplina da un lato una vera e propria azione sostitutiva nei confronti degli enti che non adempiano ai doveri, dall'altro viene istituito l’Ufficio di tutela degli utenti che solleciterà, in caso di reclamo,gli erogatori delle prestazioni.
TITOLO 8 regola le modalità di utilizzo delle risorse, Fondo sociale regionale, che ricopre i livelli essenziali di assistenza sociale previste a livello locale e accanto verranno inseriti i fondi dei singoli comuni.
TITOLO 9 riguarda le abrogazioni di norme precedenti e la cessazione degli effetti all'entrata in vigore dei regolamenti di attuazione.

Le conferme della 328/00 vengono confermati i punti centrali della 328,infatti la legge 11/07 conferma: il carattere dell’universalismo selettivo, cioè gli interventi sono destinati a tutti ma si stabiliscono priorità alle fasce + deboli riporta il concetto di persona; la tutela della famiglia, che assume un ruolo di protagonista nella formazione e cura della persona, con relazioni di mutuo-aiuto e associazionismo; il concetto di Welfare locale che conferma il decentramento previsto dal Dlgs 112/98 che ripartisce tra Regione (programmazione),Provincia (accompagnamento) e Comuni (titolarità dei servizi) le diverse funzioni, ma viene inserito anche il terzo settore e il privato sociale e si parla di corresponsabilità intrecciando,appunto la responsabilità istituzionale con quella comunitaria; la protezione sociale che supera la concezione assistenzialistica e guadagna la scena il concetto di rete che diventa un modello nel quale si fondano i principi di coordinamento,integrazione,concertazione e cooperazione, quindi si parla di reti di servizi, reti di soggetti,reti di responsabilità; il metodo di sistema che si basa su un insieme di interventi che utilizzano una metodologia nuova che parte dalla rilevazione dei bisogni,riconosca la operatività delle risposte e verifichi la qualità dei risultati, infatti i comuni costituiscono coordinamento integrazione con i servizi sanitari,dell’istruzione delle politiche del lavoro ec..e istituiscono un sistema unitario di servizi dove la programmazione e la gestione diviene una rete unitaria. Altra novità della legge da inserire nel metodo di sistema è il monitoraggio; l’occupazione che si rafforzerà camminando di pari passo con il miglioramento delle condizioni di vita e la formazioni di nuovi professioni (operatori geriatrici,assistenti sociali,mediatori familiari,ecc) che affiancheranno le amministrazioni pubbliche; il fondo sociale regionale unico che viene istituito con la sanità, accanto alle risorse ordinarie degli enti,che mirerà ad azioni quali contrasto alla povertà,misure contro le dipendenze,sostegno ai minori ecc..; il piano di zona sociale che si configura come piano regolatore de servizi sociali all'interno del quale i comuni coi distretti sanitari, rilevano i bisogni e ne danno risposta, individuerà le metodologie e le strategie per avviare l’integrazione.

I rafforzamenti la legge regionale specifica alcuni aspetti strutturali: il coordinamento istituzionale che rappresenta un ruolo centrale d un Piano di Zona, svolge la funzione di decidere su tutta la programmazione ed è costituito da i sindaci dei Comuni e il presidente provinciale, adotta il piano di zona,definisce i rapporti tra i soggetti,istituisce l’Ufficio di piano,approva i regolamenti e verifica la qualità. Viene dunque integrato con la presenza del Direttore generale dell’ASL; l’ufficio di piano che esegue le decisioni del coordinamento, acquisisce ora funzioni + gestionali,cioè supporto al coordinamento e ai gruppi di lavoro, segreteria,amministrazioni,gestione finanza,programmazione e gestione delle attività formative, programmazione e coordinamento delle attività integrate,monitoraggio,valutazione dei servizi ecc..; il sistema informativo sociale che viene richiesto a ogni ambito territoriale, infatti è finalizzato ad avvicinare i cittadini agli interventi e i servizi per specificare gli obiettivi informativi, i target,i canali di comunicazione,i soggetti, le risorse finanziarie,i criteri di riferimento per la selezione dei progetti ecc..; la carta dei servizi ha lo scopo di fornire ai cittadini-utenti, un’informazione completa dei servizi offerti sul territorio e quindi si specifica la natura dei servizi,i livelli essenziali,gli strumenti di tutela, le azioni di miglioramento della qualità ecc.. i comuni devono infatti garantire l’adozione della carta servizi e devono farlo con tutti gli altri enti aderenti ad un accordo di programma per la presentazione del piano; la porta unitaria di accesso riguarda lo strumento responsabile dell’erogazione e quindi gli uffici di cittadinanza sociale, per la diffusione dell informazioni, gli uffici di segretariato sociale per l’erogazione dei servizi di ascolto e il rilevamento attraverso le antenne sociali delle difficoltà maggiori presenti sul territorio, viene infine istituita una Unità di valutazione integrata socio-sanitaria,gestita assieme alle ASL con il compito di valutare i casi e inviarli alla rete dei servizi .
La valorizzazione dei profili professionali, il rafforzamento di un sistema di regole, la garanzia di trasparenza e il rispetto della qualità, costituiranno una frontiera più avanzata di interpretazione della legge 328/00.     

Le innovazioni: la legge regionale prevede delle innovazioni: si inizia a colmare il dislivello tra sistema sanitario e sociale per assicurare servizi che non siano solo riparativi, ma che svolgono anche una funzione di protezione, in sostanza affermare il diritto soggettivo a beneficiare di alcune prestazioni. La legge inchioda la regione e gli enti locali a garantire entro 2 anni la copertura finanziaria dei livelli essenziali di assistenza sociale a livello territoriale. Un balzo in avanti rispetto alla 328/00 riguarda il limite delle risorse economiche e la necessità di subordinare l’erogazione dei servizi,anche quelli essenziali, alla disponibilità delle risorse finanziarie. Nasce dunque il diritto esigibile a ottenere prestazioni,purchè siano ben indicate le cifre finanziarie.

Altra novità riguarda la creazione di una governance di sistema nelle integrazioni, sia a livello locale che regionale, infatti si parla di un sistema di relazioni ricondotte alla progettazione,definizione, approvazione dei diversi interventi sociali e socio-sanitari, che vengono prese a pari titolo senza forma gerarchica (a differenza del concetto di government). Quindi si opta per un’integrazione orizzontale caratterizzata da un organo politico di governo (il coordinamento ist.), un territorio, un supporto tecnico (ufficio di piano), regole di governance, il ruolo della comunità e le risorse umane e finanziarie.
A rafforzare la partecipazione di tutti, la legge interviene con 2 punti, l’Ufficio di tutela (assicura il rispetto delle regole) e il Commissario ad acta (interviene in sostituzione di quegli enti locali che sono inadempienti).
La legge regionale da ampio spazio al terzo settore nella fase di programmazione ed attuazione degli interventi, infatti viene istituita la consulta regionale del terzo settore per avviare qualsiasi provvedimento di attuazione della legge stessa ed infine l’istituzione di un albo regionale.
Tuttavia non ha senso la progettazione se non vi è un sistema di valutazione e verifica, quindi nella legge viene contemplato il monitoraggio e viene valutato l’efficacia dei percorsi e l’impatto sulla popolazione.
Per quanto riguarda l’integrazione socio-sanitaria la nuova legge sostiene che i comuni,responsabili delle azioni sociali e alle ASL,degli interventi sanitari,sono uffici comuni (porta unica di accesso) e attraverso la diagnosi dei singoli casi e la progettazione,giungono alla soluzione dei problemi dei cittadini.
Altro tema importante affrontato dalla nuova legge riguarda quello delle pari opportunità che rileva ancora oggi contraddizione, pertanto ogni ambito dovrà assicurare il rispetto delle pari opportunità in tutte le aree d’intervento.
Il documento strategico regionale per la politica di coesione sociale 2007-2013 approvato dalla giunta regionale della Campania e i conseguenti Programmi Operativi contendono alcuni punti basilari alle indicazioni dell’unione europea:
-          viene creato il piano regionale per ricondurre ad un interazione e unitarietà dell’azione svolta;
-          si definisce un programma di sviluppo della regione che farà perno sull'integrazione dei vari strumenti di programmazione unificati in un unico ambito territoriale.

le aree di intervento

Il sistema integrato di servizi ed interventi sciali viene declinato dalla legge in diverse aree di intervento:
famiglia/minori
vengono stabiliti precisi percorsi indirizzati a famiglie con molteplici problemi e a promuovere la loro responsabilità, in particolare l’accompagnamento alle famiglie con problemi giudiziari.
Affido à i servizi di affido familiare richiedono un impegno + specifico, quindi il provvedimento regionale partendo dalla consapevolezza che l’affido ha sempre trovato difficoltà a decollare, ha tracciato dei punti operativi: classificazione delle tipologie di affido. Formazione degli affidatari,organizzazione di servizi in rete,anagrafe delle famiglie affidatarie, sostegno alla famiglia di origine e quella affidataria.
Adozione à relativamente all’adozione la legge fornisce le informazioni e gli orientamento affinché i minori vengono tutelati e salvaguardati. Per questo vengono forniti percorsi formativi,azioni integrate tra servizi per l’adozione e enti autorizzati.
La regione campania ha varato un programma di adozione sociale che risponde alle finalità di aggredire il disagio sociale alla nascita, individuando i bambini a rischio.
Dispersione scolastica à si insiste molto anche sulla dispersione scolastica che deve essere contrastata con interventi di formazione professionale, per i minori vengono avviati 2 interventi: la deistituzionalizzazione e contrastare l’abuso e il maltrattamento.
Servizi della giustizia minorile à al fine di una pianificazione degli interventi sulle tematiche riguardanti i minori ci si ricollega al centro giustizia minorile, la regione suggerisce: servizi a sostegno alla genitorialità, centri per la famiglia,consultori pedagogici,  incentivazione dell’affidamento di minori con grave disagio, sostegno alle famiglie con figli con cure particolari, interventi a favore delle donne in difficoltà, attività e sapzi per adolescenti, servizi di prima infanzia,servizi a minori maltrattati ecc.. 
Disabili:le direttive regionali per l’inclusione sociale favoriscono la tutela delle persone disabili e le loro famiglie si creano quindi:
-          Servizi di orientamento ed informazione attraverso il segretariato sociale, che fornisce informazione ai disabili e alle loro famiglie sui servizi offerti, inoltre raccoglie le informazioni ed elabora progetti d intervento nei quali vige la collaborazione al monitoraggio del territorio da parte dell’Ufficio di Piano.
-          Aiuto alla persona e assistenza domiciliare, un servizio che si articola in relazione ai dati forniti dai progetti individuali e dovrà essere offerto in maniera flessibile sia per gli orari che per le prestazioni.
-          Centri diurni, ubicati n strutture pubbliche o private, dove si svolgono attività socio-educative e di mantenimento terapeutico-riabilitativo.
-          Centri residenziali, che sono servizi a carattere sociale e volti ad offrire accoglienza a tempo pieno e prevedono un max d 6-8 posti letto, tale da favorire l’intreccio di relazioni con il mondo esterno. È fondamentale la collaborazione delle famiglie degli ospiti per una graduale acquisizione di autonomia e distacco dalla famiglia.
La nuova legge promuove un ruolo di maggiore collaborazione tra enti e organi della scuola per dare forza a processi di integrazione scolastica e questo potrà garantire il diritto allo studio ad alunni con disabilità, in modo particolare quella psichica.
Anziani:la legge punta una visione positiva dell’anziano visto che nel territorio c’è assenza di strutture residenziali a gestione pubblica per anziani e intanto la popolazione anziani cresce di + . Per questo si è attivat al’assistenza domiciliare integrata, ma sono ancora pochi i servizi di teleassistenza e telesoccorso, di area sociale e di sostegno alla famiglia.
La legge ci offre una serie di obiettivi per valorizzare l’anziano e quindi: attivazione di reti per garantire la domiciliarità dell’anziano solo; osservatori della condizione dell’anziano; valorizzazione del ruolo delle consulte per anziani; promozione di sedi dell’università della terza età; rimozione di ogni ostacolo che impedisce l’accesso ai servizi.
È possibile attivare anche altri interventi quali: assistenza economica, assistenza domicialire per anziani che vivono soli, assistenza domiciliare integrata, creazione di centri sociali, residenze sanitarie assistenziali finalizzate a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie e assistenziali e realizzazioni di case famiglie.
Contrasto alla povertà:nel 2004 prende avvio in Campania il reddito di cittadinanza, disciplinato dalla legge regionale 2/04 (350 euro mensili x 12 mesi) rivolto alle famiglie con 5000 euro di reddito annuo, al quale si aggiungono anche altre forme di prestazioni quali: la gratuità dei libri, accesso a percorsi di recupero scolastico, priorità nelle politiche di contrasto dell’emergenza abitativa,facilitazioni tariffarie per i trasporti.
Immigrati: è un area che richiede grande attenzione,infatti la legge si fa carico di questa emergenza per fa fronte alla domanda sempre crescente di: opportunità lavorative, servizi di prima accoglienza, tutela legale,servizi sanitari, segretariato ssociale,formazione professionale,insegnamento della lingua ecc..
Dipendenze:di fronte all’aumento di consumo di sostanze stupefacenti , a legge ha riservato attenzione particolare a questo fenomeno. Tutela della salute educativa di strada, progetti volti all'inserimento lavorativo diventano efficienti se si crea un sistema integrato tra i diversi soggetti che sono chiamati a fare la loro parte.
Persone detenute: la legge ha voluto dedicare un interno articolo prescrivendo che le azioni di accompagnamento, specialmente per le donne detenute con bambini, devono essere inseriti nel Piano di sociale.

L’individuazione dei livelli essenziali costituisce un importante strumento per l’integrazione sei servizi sciali esso riguarda una elencazione di servizi che un ente è tenuto ad erogare a quelle aree prima elencate,ma purtroppo la definizione di tali livelli non si è ancora avuta, nel frattempo ogni regione sta legiferando in materia sociale.


l’integrazione socio-sanitaria tra enti locali e ASL

La regione campania con la delibera 6467 del 31.12.02 iniziò a fare chiarezza nel tema dell’aiuto alla persona.
I soggetti che vengono chiamati ad operare sono gli enti locali e le aziende sanitarie locali e due sono i provvedimenti legislativi il Dlgs 229/99 e la legge 328//00, completati da altri due atti DPCM 14.02.01 e DPCM 29.11.01 che si servono del Programma di Attività Territoriale e del Piano di Zona.
Le linee guida e la legge regionale permise ad ASL e comuni, rappresentati nei coordinamenti ist. Di redigere una programmazione socio-sanitaria che doveva ovviamente rispettare la legge regionale e le linee guida.
La programmazione inoltre doveva tenere presente le prestazioni definite livelli essenziali di assistenza e cioè le prestazioni domiciliari, socio-riabilitative in strutture semi residenziali per disabili, anche quelli privi di sostegno familiare o malati di mente, di recupero anziani, prestazioni di cura per le fasi di lunga assistenza residenziale per affetti di AIDS.
Il concetto di integrazione socio-sanitaria viene ad essere esplicato prima nel Dlgs 229/99, che appunto definisce l’integrazione socio-sanitaria come le attività atte a soddisfare mediante percorsi assistenziali, bisogni di salute della persona che richiedono prestazioni sanitarie; e poi con la legge 328/00, che fa una differenziazione tra:
-          prestazioni sanitarie di rilevanza sociale, cioè attività finalizzate alla promozione della salute,alla prevenzione,individuazione e rimozione, esse sono di competenza delle aziende sanitarie locali e a carico delle stesse, vengono inserite in progetti personalizzati e sono erogati in regime ambulatoriale,domiciliare o strutture residenziali o semi-residenziali;
-           le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè le attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno con problemi di disabilità. Sono di competenza dei comuni che provvedono al loro finanziamento negli ambiti previsti dalla legge regionale. Le prestazioni sono prestate con partecipazione alla spesa da parte dei cittadini;
Qui la linea di demarcazione si fa meno distinguibile poiché c’è un’elevata integrazione e quindi il DPCM 14.02.01 “atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie” fissa i criteri di finanziamento da caricare alle ASL o Comuni, in questo caso ne stabilisce la titolarità alle ASL e la competenza finanziaria viene affidata sia al fondo assistenziale che sanitario.
- le prestazioni socio-sanitarie a elevata integrazione sanitaria caratterizzate da una particolare rilevanza sanitaria aree materno-infantile,anziani,handicap ecc.. esse sono assicurate dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria. Sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico del fondo sanitario, vengono erogate in regime ambulatoriale domiciliare o in strutture residenziali o semi-residenziali (riguardanti funzioni psico-fisiche,fasi estensive di lunga assistenza).
Le prestazioni caratterizzate da fase intensive, cioè di breve durata e definita,corrisponde la piena attribuzione degli oneri al comparto sanitario, nella fase estensiva di medio o prolungato periodo intervengono finanziariamente la sanità e l’assistenza, nella fase di lunga assistenza sarà l’assistenza a sopporta gran parte degli oneri.
Si pone dunque l’interrogativo nel caso della prestazioni nelle quali non si possono scindere le componenti assistenziali e sanitarie, di chi decide quali prestazioni erogare, appunto ne risponde il DPCM 29.11.01, che definisce i livelli essenziali di assistenza con riferimento all'integrazione socio-sanitaria, sono dunque di competenza delle ASL, accanto a quelle sanitarie, anche le prestazioni sanitarie di rilevanza sociale.
Ai provvedimenti legislativi nazionali, Dlgs 229/00 legge 328/00, DPCM 24.02.01 e DPCM 29.11.01 si aggiunge l’art 3 della legge 229/99 che sancisce che le regioni disciplinano le modalità e i criteri mediante i quali i comuni e le aziende sanitarie garantiscono l’integrazione, individuando gli strumento e gli atti.
I vari provvedimenti delineano alcuni passaggi importanti, innanzitutto nel distretto sanitario dovranno agire in piena integrazione sia il programma delle attività territoriali (definire i bisogni primari) che il piano di zona (definire le strategie di risposta).
I distretti sanitari   devono definire il programma di integrazione nel programma delle attività territoriali che verrà presentato ai sindaci dei comuni del coordinamento ist. Per un parere sulla parte sanitaria; mentre i piani di zona dovranno definire il loro programma di integrazione che dovrà essere approvato con accordo di programma sottoscritto dal direttore generale dell’ASL.
Per dare forza e legittimità è opportuno che si crei:
-          una integrazione istituzionale e quindi attivare gli strumenti previsti dal decreto legislativo 267/00, creare cioè forme associative quali, Convenzioni,Consorzi, Aziende,Unioni, nelle quali si auspica anche la presenza di ASL relativamente ai servizi socio-sanitari;
-          una integrazione gestionale, l’apporto di organismi unitari che insieme ad altri enti, sono in grado di rilevare i bisogni, promuovere la formazione,monitorare gli interventi, valutare l’efficacia e l’efficienza;
     -          una integrazione finanziaria.

le forme di governo del piano di zona sociale

Tutta la complessa architettura del Piano deve essere governata con strumenti che garantiscono la corretta attuazione e gestione, che riguardano sia le modalità di associarsi,che le diverse forme di gestione dei servizi.

Le forme associative

Le linee guida regionali indicano 3 possibilità, che sono disciplinate nel Dlgs 267/00, testo unico sugli enti locali, e agli art 30,31,32 ci parla appunto del:
convenzione,stipulato tra gli enti locali ha funzioni determinate, prevede inoltre la possibilità di costituire uffici comuni ai quali vengono affidati funzioni pubbliche al posto degli enti che sottoscrivono.
La convenzione deve essere approvata con delibera di ciascuno organo consiliare e avere le finalità dell’intesa, i servizi,le funzioni e l’amministrazione capofila alla quale affidare il coordinamento delle attività.
Trattandosi dei Piani di Zona bisogna comprendere chi può partecipare alla convenzione, appunto l’art stabilisce che possono farlo comuni,province,città metropolitane,comunità montane e unioni di comuni, però questa definiscine sembra tagliare fuori le aziende sanitarie.
La cassazione stabilì nel 1996 che l’ASL, pur diventando un entità aziendale strumentale della regione, può operare localmente, pertanto si può fare appunto una distinzione tra gli enti locali: enti locali territoriale, ovvero comuni,province ecc.. ed enti locali istituzionali, quali le ASL, dotate di natura giuridica pubblica e competenza locale.
La convenzione ha il compito di individuare i criteri per selezionare l’ente capofila, la durata dell’accordo, la definizione delle forme di consultazione,le dotazioni di risorse umane e strumentali,la definizione dei rapporti finanziari, le funzioni del comune capofila, del coordinamento ist, e dell’ufficio di piano nonché le regole di un eventuale recesso dei soggetti che sottoscrivono.
Il consorzio è un modello + strutturato disciplinato dall’art 31 e prevede la gestione associata di 1 o + servizi e l’esercizio associato di funzioni.
Il consorzio si forma nel momento in cui si approva la convenzione che definisce le modalità e le competenze degli organi consortili, lo statuto invece è lo strumento utile per dotare il consorzio di una potestà di darsi regole del proprio assetto strutturale.
Gli organi del consorzio sono, il consiglio di amministrazione, l’organo dei revisori e l’assemblea, composta dai rappresentanti degli enti associati nella persona del sindaco.
Possono partecipare al consorzio, gli enti locali, gli enti pubblici (ASL) e la sua costituzione esige un iter particolare ovvero, bisogna procedere prima con la stesura dello statuto farlo approvare,definire la convenzione e approvarla e stipulare la costituzione per atto pubblico dinanzi al notaio.
L’unione di comuni disciplinato dall’art 32 viene definito l’insieme di enti costituiti da + comuni allo scopo di esercitare una pluralità di funzioni congiuntamente.

Le forme di gestione dei servizi

Le forme di gestione dei servizi sono 2 e possono essere realizzate dagli enti raggruppatatisi in forme associate sia in economia che in concessione a terzi:
in economia è il caso dei servizi di limitate dimensioni, occorre l’intervento dell’ente titolare del servizio, attraverso alcuni strumenti nel rispetto dello statuto e dei regolamenti.
In concessione a terzi è il caso di servizi che per la loro complessità o per ragioni economiche,l’ente locale, deicide di affidarli a terzi che possono riguardare si organismi interni all'ente stesso che esterni.
Quelli che appartengono all’ente sono:
-          istituzione art 114 Dlgs 267/00 non ha alcuna autonomia giuridica, né uno statuto, ma risponde in tutto, determina le finalità approva atti fondamentali, esercita vigilanza e verifica dei risultati. A governa l’istituzione c’è il consiglio di amministrazione, un presidente e un direttore, esso è però espressione di un solo ente. Nel caso del piano di zona si determinano continui atti di delega con specifici apporti di risorse e quindi per evitare problemi tra i soggetti associati si richiede un’apposita convenzione.
-          Azienda speciale regolata dall art 114 che ha personalità giuridica, autonomia statuaria e organizzativa a differenza dell’istituzione.
-          Società per azioni o di capitali è un organismo a capitale pubblico costituito dagli enti titolari del servizio con la partecipazione di altri soggetti. Si tratta di una forma di gestione che assicura la maggiore autonomia imprenditoriale e getionale.
Gli enti nell'attuazione di un servizio sociale hanno diverse possibilità di scelta dello strumenti di gestione.
L’affidamento del servizio a soggetti del terzo settore è disciplinato dal DPCM 14.03.01 ma già nel 1991 il legislatore aveva posto l’attenzione su 2 entità del terzo settore, il volontariato e la cooperazione sociale, aveva infatti approvato la legge 266/91 e 381/91 che disciplinavano il non-profit, si aggiungerà + tardi 383/00 che regolava le attività delle associazioni di promozione sociale e terzo settore.
Con la 328 si aggiunge il riconoscimento del ruolo, della rilevanza economica e sociale dei soggetti del terzo settore, quest ultimo partecipa alla programmazione, progettazione del sistema integrato dei servizi sociali e vengono incentivati mediante sistemi di affidamento dei servizi.
Possiamo quindi dedurre che l’assenza di fini lucri e eventuali profitti reinvestiti nelle stesse attività da modo di convivenza con un attività di impresa volta a perseguire i fini di solidarietà.
La 328/00 rinvia una serie di regole e indirizzi da rispettare, infatti la regione campania con la delibera 1079/02 ha delineato alcuni punti fermi a cui i comuni devono attenersi nella selezione dei terzi soggetti, anzitutto conta la competenza e l’esperienza ma anche l’offerta economicamente più vantaggiosa.
L’acquisizione e l’affidamento dei servizi sono regolate da alcune disposizioni legislative:
l’evidenza pubblica è disciplinata dal Dlgs 163/06 che recepisce alcune direttive comunitarie in materia di appalti e affidamenti pubblici di servizi esse si applicano se l’importo previsto per l’attuazione,supera i 211000 euro; il decreto contempla le procedure aperte nelle quali ogni impresa presenta l’offerta, le procedure ristrette alle quali  partecipano solo le imprese invitate, il dialogo competitivo nel quale l’appaltante avvia un dialogo con i candidati, le procedure negoziate nelle quali l’amministrazione aggiudicatrice consulta le imprese e negozia i termini di contratto in qst ultimo caso il dpr 384/01 disciplina le modalità delle spese per acquisire beni o servizi da parte dello stato, tuttavia le soglie finanziare possono essere applicate anche a enti non statali come i comuni.
I comuni tramite regolamenti disciplinano i rapporti con i fornitori iscritti in un elenco e disposti a offrire quei servizi richiesti secondo le condizioni concordate.

L’accreditamento e l’autorizzazione

L’accreditamento è una modalità recente nella scelta del soggetto a cui affidare un servizio, esso avviene ssu base di alcuni requisiti e accredita i soggetti che sono in grado di corrispondervi.
L’accreditamento è un istituto preso in prestito dal sistema sanitario che cn il Dlgs229/99 ne aveva disciplinato per i servizi e le strutture sanitarie, ma esse vengono estese con il DPCM 14.02.01 alle strutture e prestazioni socio-sanitarie.
Accreditamento sanitario è rilasciato dalla regione nel rispetto della qualifica specifica, delle funzionalità e della verifica dei risultati, nonché del coinvolgimento degli operatori professionali.
Tuttavia l’accreditamento si differenzia dall’autorizzazione, poiché quest ultima rappresenta il primo livello per l’esercizio delle attività sanitarie e cerca di assicurare standard minimi,qualità delle prestazioni,evitare abusi di attività, cioè consente al soggetto di realizzare una struttura o esercitare un’attività e mettersi sul mercato, mentre l’accreditamento è + selettivo.
Con la 328 e la legge regionale l’autorizzazione e l’accreditamento vengono previsti anche per i servizi sociali, in pratica lo stato garantisce i requisiti mini, poi le regioni definisce i criteri.
Infatti la regione definisce:
-          i criteri per l’autorizzazione e l’accreditamento;
-          istituzione di registri dei soggetti autorizzati;
-          la definizione dei requisiti di qualità;
-          la definizione dei criteri per la concessione dei titoli
-          la definizione dei criteri per la determinazione del concorso degli utenti;
-          la predisposizione del finanziamento;
-          la determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i comuni devono corrispondere ai soggetti;

Ricorso a figure professionali esterne

Per programmare e realizzare un piano di zona presuppone l’esigenza di avvalersi di risorse professionali riguardanti sia incarichi di consulenza che collaborazione a progetto.
Per gli incarichi di consulenza il Dlgs 165/01 recita che le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi ad esperti con competenze determinando la durata il luogo e l’oggetto della collaborazione.
Mentre per i collaboratori a progetto scatta la coordinazione e la continuità, infatti il Dlgs 165/01 e 267/03 la collaborazione avviene quando l’ente per la realizzazione di un’attività ha bisogno di una prestazione esterna.

Legge regionale

Anche per quanto riguardano le disposizioni regionali possiamo ricondurre l’impianto a due elementi:
elemento oggettivo: per dare soluzione al mondo del disagio, non ci sono prestazioni assistenziali ma un vero e proprio sistema di servizi e interventi integrati che sono rivolti a tutti.
L’obiettivo del benessere sociale, le risposte ai bisogni attraverso un sistema di protezione a rete, consacra una concezione di welfare delle corresponsabilità, perché viene sorretto da diverse titolarità, ma viene riconosciuta sempre una priorità nei confronti dei bisogni + gravi.
Il cittadino non è visto solo come utente e la sua famiglia è vista anche come un importante risorsa, e il primo anello della rete di sostegno al bisogno, infatti nella programmazione viene promossa la partecipazione attiva, i livelli essenziali di prestazione, la formazione di ogni forma associativa e in + si dà la possibilità di connettere le politiche sociali con quelle dello sviluppo.
Questo può avvenire attraverso il Piano di zona,accordi di programma,convenzioni e forme di accreditamento, gli operatori a dovranno individuare le problematiche e affrontarle,, intervenire sulla base della metodologia di lavoro per progetti, delle priorità politiche e gli cittadini e le loro famiglie dovranno contribuire alle spese per il loro funzionamento sulla base dei criteri prefissati.
Elemento soggettivo: enti locali,comuni, province, regioni e stato, secondo il principio di sussidarietà verticale in base al quale le responsabilità pubbliche devono incombere sulle autorità più vicine ai cittadini e quindi il Comune gode, grazie anche a una evoluzione istituzionale avutasi con la legge 142/90, di una notevole flessibilità, infatti le convenzioni,consorzi e unione di comuni gli permettono di attraversare processi di auto-organizzazione differenziati nei vari territori.
La regione invece, programma, coordina e indirizza gli interventi sociali e controlla e verifica la loro attuazione, mentre lo stato adotta definisce i requisiti minimi strutturali.
Importante è anche il ruolo svolto dalla comunità locale, attraverso organismi di rappresentanza,rete anche informale, formazioni sociali come il volontariato e il terzo settore.
La legge regionale ci fa capire che il rapporto tra pubblico e privato va in direzione di una partnership che non si ferma alla collaborazione di una compravendita di servizi, ma diventa concertazione continua.
Uno strumento valutativo in grado di promuovere, assieme agli strumenti di programmazione e gestione,processi di analisi e di ri-orientamento e miglioramento è senz altro il bilancio sociale delle attività.
Esso viene definito su più livelli: il bilancio della vita interna dell’organizzazione o dell’ente, e quello delle all'esterno.

Il bilancio sociale dà modo di rendere valutazioni di altri obiettivi come quello ad es. di come dare forme di occupazione dignitoso e legale a soggetti + svantaggiati, a differenza del bilancio economico che si rifà al profitto. 

le politiche sociali nel POR campania 2007-2013

Tra le risorse finanziarie per sostenere il sistema integrato di servizi svolge un ruolo importante i fondi dell’Unione Europea, indirizzati nei programmi operativi delle diverse regioni POR.
Quello della campania avviato nel 2000 si è riproposto e sono stati avviati diversi finanziamenti che hanno inciso sulla realizzazione di strutture sociali e possibili servizi da avviare.
Il POR è stato declinato attraverso un documento attuativo chiamato Complemento di Programmazione nel quale vi sono definiti i dettagli organizzativi e gestionali.
Gli obiettivi sono quelli di un abbattimento della disoccupazione e del disagio sociale, ed è per questo che si parla di Progetto Integrato per eliminare la frammentazione degli interventi.
Il POR ha individuato diverse tipologie di progetti integrati :
progetti integrati territoriali, che integrano diversi settori di intervento dello stesso territorio;
progetti integrati tematici, che integrano diverse attività riferite allo stesso tema;
piani di zona sociali.
Il nuovo POR 2007-2013 include un Piano di Zona che risponde alla concentrazione (sede dove si raccoglie il sistema di interventi); integrazione (le politiche sociali si incrociano con quelle di sviluppo); concertazione (viene garantito il coinvolgimento dei diversi attori locali); dove c’è bisogno della legittimazione negli atti di quanto dichiarato; 52 accordi di programma per ogni ambito territoriale; 550 delibere di consiglio comunale che hanno ratificato l’accordo; 200milioni annui per la gestione ordinaria di servizi sociali.
La regione campania dpo aver adottato il documento strategico regionale, ha approvato  Programmi Operativi che sono fondi di finanziamento FSE (fondo sociale europeo) e il FSRE (fondo europeo per lo sviluppo regionale) suddivisi in Assi.
Il primo il POR-FSE l’asse III Inclusione Sociale garantisce sostegno a tutti i cittadini in ogni fase del ciclo di vita, in particolare ai + poveri.
Gli obiettivi operativi sono:
-          sviluppare l’inserimento lavorativo e sociale;
-          sostenere l’azione nelle aree urbane degradate;
-          sostenre l’uscita da condizioni di povertà;
-          contrastare forme di discriminazione;
-          rafforzare la cultura delle pari opportunità;
-          diminuire l’abbandono scolastico;
-          promuovere cittadinanza attiva;
-          promuovere l’inclusione sociale
ci si aspetta da questo asse un rafforzamento del welfare e inclusione sociale della regione.
Nel secondo invece POR-FERS, troviamo l’asse III benessere sociale e qualità della vita.
Si affiancano ai due progetti operativi un paino di sviluppo regionale riservato alle aree rurali in cui sono previsti servizi essenziali alle persone che vivono in territori rurali e ha lo scopo di garantire miglioramenti di condizioni di vita e favorire attività sociali in quelle aree a rischio di emarginazione.
R.M.
Le nuove frontiere del sociale Dalla legge 328/00 alla legge regionale della Campania per la dignità sociale, Gargiulo, Ed. Aracne

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