giovedì 2 aprile 2015

Sara Banks

Sara Banks


Il servizio sociale e difficile da definire poiché:
-    è attivo in numerosi settori ed all’interno di ambiti diversi;
-  riguarda una pluralità di compiti;
-  persegue vari e differenti obiettivi.
L’assistente sociale é colui che opera per counselling, ossia una procedura di comunicazione diretta e di interazione faccia a faccia tra utente e assistente sociale, dove l’utente è aiutato a modificare o a tollerare alcuni aspetti di sé stessi o della situazione in cui si trova. Inoltre lavora alla pianificazione dei servizi socio-assistenziali, cioè progetta interventi che intendono risolvere o alleviare problemi esistenti e di prevenirlo sviluppo dei problemi sociali.
Ha a che fare con la morale, che riguarda le scelte individuali e che hanno a che fare con il buono/cattivo, giusto/sbagliato, e con l’etica, cioè lo studio della morale, e la dimensione collettiva.
Il valore nel contesto del servizio sociale, viene usato non come principi etici/morali.
E’ frequente che l’assistente sociale si trovi a dover risolvere un “dilemma etico”, una scelta tra due alternative ugualmente spiacevoli e in relazione al benessere umano ponte, dovendo decidere per l’alternativa meno spiacevole, ma pur sempre spiacevole.
E’ qui che risiedono fonti di stress per gli assistenti sociali; non soltanto nel dover operare difficili scelte decisioni, ma anche nell’assumersi responsabilità per la natura spiacevole degli esiti delle decisioni.
CAP.1
L’assunzione di decisioni morali comportano una decisione o un giudizio morale; che riguardano il benessere umano; comportano azione; che dovrebbe essere universalizzabile, cioè dovrebbe applicarsi a tutte le persone che si trovano nella stessa situazione.
Le decisioni legali e tecniche non  possono essere adottate senza ricorso all’etica, perché la legge non ci dice quello che “dobbiamo” fare, ma solo quello che “possiamo” fare; da legge riflette delle norme e dei valori anche non condivisibili (es. aborto).
La professione dell’assistente sociale ha tre aspetti:
  1. aspetto tecnico. La dimensione di competenza degli operatori o le attività che svolgono negli enti e quindi il capo tecnico (quello dell’ospedale di curare gli ammalati). Il compito tecnico dell’assistente sociale riguarda l’approccio di counselling o pianificazione sociale in rapporto a singoli, gruppi, comunità o che riguardano la ricerca.
  2. Aspetto giuridico-organizzativo. Ciò che attiene a tutte quelle attività organizzate e definite normativamente.
  3. Aspetto etico. Attiene alle scelte e alle responsabilità dell’operatore nelle dimensioni riguardanti i diritti, il benessere, la qualità della vita.
Aspetti etici: cercare di risolvere il caso.
Problemi etici: prendere la decisione migliore per quella persona.
Dilemmi etici: quando vi sono le alternative rispetto ad una problematicità che hanno valenza etica, scegliendo quella meno spiacevole.
Gli aspetti etici del servizio sociale sono relativi:
-          ai diritti ed al benessere individuali, c’è un conflitto tra tutela del benessere e della sicurezza dell’utente e il diritto stesso di operare autonomamente le proprie scelte;
-          ai diritti al benessere collettivo, la responsabilità dell’operatore nei confronti del proprio ente e dell’intera società. Deve decidere se l’interesse pubblico prevalga sul benessere dell’utente;
-          alle ineguaglianze e all’oppressione strutturale, di ineguaglianza e oggettività, la sua esistenza é tangibile, essa è dovuta ai meccanismi che generano la stratificazione. Mentre l’oppressione strutturale è attribuita all’inerzia di certi meccanismi.
Il servizio sociale può essere considerato come una professione umana, perché l’assistente sociale ha specifiche conoscenze ed abilità e deve godere della fiducia dell’utente per agire nei suoi interessi. La relazione tra assistente sociale e utente è asimmetrica, il primo ha più potere.
Il servizio sociale, come le professioni legali, ha un codice etico che ha lo scopo di proteggere l’utente dallo sfruttamento o dalla cattiva condotta del professionista. Il servizio sociale contribuisce all’assistenza (espressione dell’altruismo societario) e al controllo (rafforza le norme sociali); è sostenitore dei diritti individuali e il garante del bene comune.
Il servizio sociale fa parte di un sistema statale organizzato, ossia il welfare state che organizza e finanzia una serie di servizi sociali (istruzione, sanità, sicurezza sociale, edilizia pubblica, polizia, ecc.) per affrontare i sogni individuali e collettivi.
I sistemi di welfare sono collegati all’economia capitalista.
* elenca modelli di Andersen: liberale, corporativo, socialdemocratico.
Marshall nota che le tensioni interne al welfare capitalistico, danno i valori della giustizia sociale e dell’uguaglianza da un lato, e quelli dell’individualismo competitivo del mercato dall’altro; egli riconosce che lo scopo del welfare state non è rimuovere la disuguaglianza di reddito ma piuttosto sradicare la povertà.
O’ Condor sostiene che il welfare state a due funzioni contraddittorie nelle società capitaliste: accumulazione e legittimazione (dell’ordine sociale ed economico esistente).
Moon ritiene che il welfare state abbraccia il mercato, ma nello stesso tempo cerca di limitarlo e di controllarlo; concepisce la persona come agente responsabile, ma riconosce che molte condizioni individuali di vita sono dovute a situazioni che sfuggono al controllo personale.
E’ frequente il biasimo ed il senso di colpa nel servizio sociale.    
Franklin spiega che la stampa è solita affermare che gli assistenti sociali sono colpevoli per la situazione dei loro utenti.
E’ più semplice accusare un assistente sociale di aver mal operato che non sfatare ad esempio l’idea romantica della famiglia come un ambiente buono e solidale.
Al contrario Hollis e Howe sostengono che è giusto attribuire la responsabilità di cattivi esiti agli assistenti sociali anche se questi hanno agito nella maniera ritenuta migliore; perché hanno collegato il processo di presa di decisione alla sfera della morale.
Per H.H.é il risultato dell’azione o della decisione che classifica l’azione stessa o la decisione.
La “valutazione del rischio2 non è né scientifica né semplice, ma affermare che una azione è moralmente giusta o sbagliata, a seconda dei risultati ottenuti, è esagerato. L’assistente sociale dovrebbe sentire dispiacere, non colpa perché l’intervento pregiudica anche altri fattori e una miriade di variabili.
Gli assistenti sociali non si devono assumere la colpa di esiti negativi altrimenti ne risulteranno personalmente e professionalmente indeboliti e stressati , ne devono ritirarsi in “servizio sociale difensivo” (tecnico-giuridico). Devono decidere di accettare il rischio morale nell’affrontare i diletti etici.
Se l’assistente sociale ha pienamente riflettuto su tutti gli aspetti e preso una decisione per agire in maniera da evitare il risultato peggiore, egli ha agito in piena integrità morale.

I principi della relazione assistente sociale-utente; Biestek, non li enunciava come principi etici diversi, ma come principi per un’efficacia pratica professionale, strumentali agli obiettivi degli assistenti sociali per aiutare i clienti ed ottenere il migliore adattamento tra se e il loro ambiente.
1. Individuazione: riconoscimento dell’unicità della persona e non della situazione.
2. Importanza dell’espressione dei sentimenti: Il riconoscimento del bisogno dell’utente di esprimere liberamente i suoi sentimenti.
3. Controllo del coinvolgimento emozionale.
4. Accettazione: il riconoscimento dell’utente di accettarsi così come é.
5. Atteggiamento non giudicante: degli utente e dei loro comportamenti.
6. Autodeterminazione dell’utente: aiutare l’utente ad attivare il suo potenziale di autonomia.
7. Riservatezza: sull’informazioni concernenti l’utente.
Anche altri autori hanno stilato liste di principi e si nota che l’individualizzazione e l’autodeterminazione sono presenti in tutte le loro tesi; qualcuno inserisce anche il “rispetto della persona”, ma più che un principio e un prerequisito per altri; in quanto deriva dall’imperativo categorico di Kant “nella propria persona e in quella di qualsiasi altro non si veda unicamente uno strumento ma sempre anche un fine”. La persona è meritevole di rispetto semplicemente perché è una persona, indipendentemente che piaccia o meno o che si comporta male o meno.
Gli studiosi del servizio sociale negli anni ’80 hanno ritenuto che tali principi fossero ampi e generali e quindi interpretabili in tanti modi.
La Banks negli anni ‘ 90 elenca 4 principi fondamentali:
  1. Il rispetto e la promozione dei diritti dell’individuo all’autodeterminazione: negativa (lasciare che qualcuno faccia come desidera) e positiva. L’assistente sociale deve tenere conto anche di altri soggetti implicati nella situazione perciò non è sempre moralmente corretto promuovere i diritti dell’utente a scapito di quelli di altri.
  2. La Promozione del benessere: i bisogni fondamentali nella buona qualità della vita sono legati alla cultura e alla realtà storica.
  3. L’uguaglianza: in senso di eliminare lo svantaggio e garantire uguale accesso ai servizi, uguali opportunità, uguaglianza dei risultati sono ma non di trattamento.
  4. La giustizia distributiva: equa collocazione dei beni disponibili, in relazione ai diritti esistenti, al merito e al bisogno.           
I valori, le conoscenze e le abilità sono correlate:
Le conoscenze sono di due tipi:
a)      conoscere “cosa e perché” (conoscenze teoriche);
b)      conoscere “come” (conoscenze pratiche).
Entrambe essenziali e con connotazioni valoriali.
Un assistente sociale competente deve essere riflessivo, cioè consapevole dei valori societari, professionali e personali, inoltre deve sempre adottare un atteggiamento critico circa il proprio operato; dovrebbe essere anche impegnato, cioè conoscere la prassi (in funzione di riflessione e di azione).
Un’azione priva di giudizi di valore é tecnica, viene negata la propria responsabilità; la riflessione senza l’azione genera “mentalismo” e l’azione senza la riflessione “l’attivismo”, ambedue vuoti.
-          Ideologia. Sistema di credenze relative alla natura degli esseri umani che condiziona il loro modo di vivere.
-          Prospettiva. Una particolare visione del mondo.
-          Teoria. Spiegazione o comprensione di alcuni aspetti; sistema teorico che si riferisce a nessi di causa ed effetto sono generalizzazioni esplicative.
-          Modello. Classificazione descrittiva.
-          Tecnica o abilità. La capacità pratica di fare qualcosa.
I ruoli e i compiti affidati all’assistente sociale sono diversi, pertanto non è possibile trovare uno scopo o una finalità unica, cioè sviluppare un corpo unificato di conoscenze.
Anche perché nel servizio sociale le teorie di varie discipline accademiche e professionali sono state importate e modificate (sociologiche e psicologiche, modelli, metodi e tecniche).
Molti operatori tendono a basarsi su una “saggezze empirica”cioè una raccolta di pezzi di teorie mescolati con l’esperienza “teoria- pratica”. Però c?é da dire che molte teorie fuori dal loro contesto possono essere male interpretate o inappropriate.
Payne distingue tra:
  1. teorie generaliste, cioè generalizzabili a tutta la pratica del casework (psicodinamica, comportamentista, ecologico-sistematica e cognitiva).
  2. Teorie applicative, offrono idee generali che sono applicabili alle specifiche situazioni o problemi.
  3. Teorie specifiche,  offrono concetti e tecniche che avvantaggiano gli assistenti sociali indipendentemente dalla teoria di riferimento utilizzata.
  4. Teorie prospettiche, offrono un modo di considerare il mondo (radicale, umanista e esistenziale).
Sono numerose le terapie, i modelli e gli approcci sviluppati nel servizio sociale che hanno origine dalla teorie psicanalitica. Si considerano due concetti fondamentali il determinismo psichico (i comportamenti derivano da processi di pensiero interno alle persone) e l’inconscio.
Il servizio sociale comportamentista si concentra sul comportamento osservabile  e utilizza teorie dell’apprendimento per analizzare e modificare il comportamento.
Queste teorie vengono criticate per il loro eccessivo meccanicismo.
Le teorie cognitiviste si riferiscono all’attività mentale delle persone e affermano che il comportamento non sia diretto dal tentativo bensì dalle direttive esterne o inconscio (approccio soggettivista).
Le teorie sistematiche hanno le loro origini nella teoria biologica di Bertalanffy secondo cui tutti gli organismi sono sistemi, composte di sottosistemi (sistema sociale-famiglia).
Pincus e Minahan sostengono che le persone dipendono da sistemi per una vita soddisfacente, cosicché il servizio sociale deve intervenire su networks.
Inoltre distinguono il sistema cliente (persona che “chiama”), sistema agente di cambiamento (il servizio sociale), sistema obiettivo (persona che cerca di cambiare per raggiungere i suoi obiettivi).
I vari approcci radicali hanno in comune la critica non delle tradizionali teorie del servizio sociale e dei metodi classici, che tendono a puntare sul cambiamento degli individui piuttosto che sul cambiamento delle strutture sociali, ma considerano l’utente come “essere sociale”.
Le prospettive umanistico-esistenti riguardano il senso dato al mondo dagli individui.
Carl Rogers si interessa nella relazione tra operatore e utente sostenendo che l’approccio dovrebbe essere non direttivo, non giudicante, empatico e che l’operatore dovrebbe avere una considerazione incondizionate positiva dell’utente; enfatizza l’unicità di ciascun individuo e la ricerca autonoma della crescita personale.
Alcune teorie e prospettive non appaiono compatibili con i valori tradizionali del servizio sociale.
La maggior parte delle teorie e degli approcci (es. la teoria psicodinamica) su basati su un approccio “scientifico”, considerando l’utente come un oggetto che deve essere cambiato, non come una persona che deve essere sempre rispettata.
Le teorie e le prospettive più prossime ai tradizionali valori del servizio sociale sono quelle umanistiche e cognitive.
Gli utenti vengono visti come persone in difficoltà e quindi meno capaci di assumere decisioni razionali; ma c’è da dire che gli assistenti sociali agiscono spesso all’interno delle limitazioni della legge, della politica dell’ente, dei tempi e delle risorse limitate e delle procedure burocratiche che sono più consone a trattare l’utente come un caso e non come una persona.
Hollis sostiene che le spiegazioni intenzionali e soggettive del comportamento sono primarie  e sono utilizzate fino a quando queste interpretazioni reggono; oltre rimane quella parte che viene interpretata in base al caso.
Non è incompatibile per gli assistenti sociali considerare alcune persone come incapaci di azione razionale e auto determinata e contemporaneamente rispettarle come agenti razionali e auto determinanti.
L’assistente sociale dovrebbe privilegiare una teoria che tenga conto delle contraddizioni e considerare che l’azione può essere data ragioni interne e cause esterne, perché gli esseri umani vivono all’interno di una struttura sociale, che non si basa su i singoli individui ma su una società.
Quindi l’individuo non ha una identità in sé stesso, ma in relazione agli altri.
A livello pratico significa riconoscere il contesto su cui si basano i valori relativi al benessere collettivo e al controllo sociale, tendendo ad incoraggiare l’integrazione sociale e capendo che bisogna relazionarsi ed empatizzarsi con l’utente.

L’esistenza di un codice deontologico è strettamente legata alla nozione di professionalità.
La professione è tale se ha un valore e una utilità sociale in base allo sviluppo economico e sociale, e quindi determina una situazione di mercato.
La pratica della professione deve avere:
-          una teoria sistematica di base;
-          una autorità riconosciuta dalla clientela e dal gruppo professionale;
-          un codice deontologico che regoli le relazioni dei professionisti con gli utenti e i colleghi;
-          una cultura professionale sostenuta da associazioni professionali;
-          un servizio che vada a vantaggio della collettività;
-          la presenza di una formazione e di un tirocinio;
-          un esame abilitante all’attività.
Il servizio sociale non è in grado di soddisfare questi requisiti e così è stato collocato tra le “semiprofessioni”.
I limiti sono la mancanza di uno stabile colpo di conoscenze, la non esclusività dell’abilità, il non riconoscimento giuridico in tutti i Paesi ed infine l’aria di competenza non è ben definita.
Quindi bisogna affermare che le professioni hanno bisogno di un codice deontologico che identifichi  e stabilisca giuridicamente i diritti e doveri, nonché le competenze della professione.
Millerson divide la condotta professionale in:-
a)      pratica professionale, che si riferisce all’adozione di onorari e rimborsi spese, contratti standar, in ragione di una corretta concorrenza;
b)      etica professionale, che si riferisce alle direttive morali che guidano la relazione tra il professionista e gli altri.
I codici normalmente fanno riferimento a temi riguardanti la persona e l’autodeterminazione, la promozione della giustizia sociale e l’indennità professionale; altri codici invece offrono anche un orientamento sul modo di agire.
Millerson individua come fattori principale che portano alla necessità di  un codice deontologico:
  1. Ambito di attività. Non istituzionalizzato e ha bisogno dell’orientamento.
  2. Natura dell’attività. Se l’attivita è basata su una azione fiduciaria tra professionista e utente.
  3. Tecniche operative. Se le tecniche sono complesse.
  4. Comprensione tecnica da parte degli utenti.
  5. Contratto con l’utente. Aperta a possibili abusi legali, un codice protegge i professionisti e gli utenti.
  6. Responsabilità verso l’utente. La richiama il codice.
Il servizio sociale ha elaborato un codice etico perché:
aspira ad essere una propensione a pieno titolo, quindi un maggiore riconoscimento sociale;
per generare un senso di identità comune, il codice è un fattore unificante.
Da una comparazione dei vari codici deontologici i punti maggiormente condivisi sono:
-          il rispetto per l’unicità di valore del singolo individuo;
-          autodeterminazione dell’utente;
-          giustizia sociale;
-          l’integrità professionale.
Tutti i codici danno risalto alla “integrità professionale”, per affermare l’impegno di membri della professione ad agire in maniera conforme alla loro competenza e al loro status sociale e consolidano le regole e le procedure dell’ente per il quale sono stati emanati.
I temi scarsamente trattati sono:
- i conflitti tra i vari obblighi (verso i clienti, superiori, colleghi e società);
- i requisiti professionali;
- l’accesso dell’utente agli atti amministrativi che lo riguardano;
- gli onorari e tariffari;
- procedure amministrative per i reclami;
- le investigazioni sulle violazioni del codice;
- le sospensioni dell’attività o l’istruzione della società.
L’istituzione di un Albo serve a proteggere il pubblico e a rafforzare la reputazione del servizio sociale.
La funzione di un codice deontologico all’interno delle strutture burocratiche e di aumentare il grado di autonomia degli operatori.
Alcuni autori hanno identificato una serie di imitazione dei codici deontologici:
-          implicano un’etica comune a tutti gli operatori;
-          molti aspetti non sono esprimibili in termini di regole o doveri;
-          i codici tendono ad essere esclusivi di una professione, mentre i servizi socio-sanitari sono erogati da equipe multi disciplinari;
-           considerano unicamente la relazione operatore utente;
-          presuppongono un consenso sui valori.

Secondo Feinberg i diritti sono una pretesa giustificata a cui corrisponde un dovere; e considerano i “diritti umani” come una “ proclamazione di diritti”, cioè di pretese che dovrebbero essere giustificate.
Esistono diritti negativi (libertà) e diritti positivi (pretesa nei confronti di qualcun altro);
il diritto legale é una giustificata presa in virtù della legge (diritto di voto);
il diritto morale è una pretesa giustificata da un codice morale.
Diritti giustificati assoluti (non qualificati) e diritti condizionati (qualificati);
diritti universali (applicabili a tutti senza eccezione) e diritti particolari (applicabili ad una categoria limitata di soggetti).
Clark e Asquith incrociano questi diritti e ottengono 4 combinazioni:
-        diritti universali assoluti. Applicabili incondizionatamente a chiunque. (Essere trattati come un fine);
-          diritti universali qualificati. Applicabili a chiunque, eccetto chi escludono per criteri validi;
-          diritti particolari assoluti. Applicabili a chi fa parte di certe categorie (accesso alle risorse sociali per le quali si possiedono i requisiti previsti);
-          diritti particolari qualificati. Applicabili in presenza di determinati requisiti, tipici del servizio sociale.
I suddetti diritti universali si riferiscono alla persona in generale e non all’utente nello specifico.
Tra gli anni 70 e 80 i clienti sono considerati come cittadini. Il termine “cittadino” è più ristretto del termine “persone”, in quanto si focalizza solo sul ruolo civico; questo approccio aumenta i doveri degli assistenti sociali nei confronti degli utenti, nonostante vengano visti in maniera riduttiva. Perché l’essere cittadino comporta e i diritti di cittadinanza, ma spesso gli utenti del servizio sociale non possono avere o esercitare tali diritti (politici, civili, sociali).
Gli assistenti sociali hanno un notevole potere discrezionale poiché non ci sono regole chiare o procedure sul modo di erogare le prestazioni, pertanto per i cittadini é difficile appellarsi contro la prestazione ricevuta.
Marshall afferma che il diritto di reclamo aiuta a tenere viva l’idea che l’erogazione dell’assistente non è un atto di beneficenza, ma è la soddisfazione di un diritto.
Tra gli anni 80 e 90 l’utente viene considerato più come “consumatore”, è un ulteriore restringimento della concezione della persona titolare dei diritti universali. Si enfatizza la scelta, gli utente devono poter scegliere tra i servizi offerti, secondo un ottica capitalistica. Ma nella relazione di S.S.. La prestazione ricevuta da un utente non è frutta di una sua scelta o di una relazione tra liberi cittadini, bensì tra gli operatori dell’ente che eroga che eroga la prestazione che poi andrà a capo di un utente.
Oggi assistiamo ad un nuovo professionismo ed ad un nuovo consumerismo.
Il nuovo consumerismo è antiprofessionismo per contrastare il potere dei gruppi professionali; pretendete che l’assistente sociale sia come un perno per l’erogazione dei servizi in base a criteri standar determinati.
Il nuovo professionismo cerca di conservare un certo status e il potere alla professione rendendolo compatibile con una maggiore attenzione ai diritti degli utenti.
Anche se non sono nettamente separati, detta il nuovo professionismo, che prevede procedure di corso, stipula il contratto tra utente e operatore, il nuovo consumerismo riafferma alcuni valori tradizionali (autodeterminazione).
Oggi c’é la tendenza a coinvolgere gli utenti nella progettazione di un intervento. Nuovo è il care manager (community care) che valuta i bisogni e coordina l’intervento, infatti l’assistente sociale ha un ruolo differente dalla struttura che eroga l’assistenza.
I diritti bisogni del singolo utente si troveranno spesso in conflitto con le politiche dell’ente.
L’advocacy è una pratica  tesa ad abilitare gli utente affinché diventino capaci di articolare i propri bisogni e di far valere il rispetto dei propri diritti. Quando gli utenti non sono in grado sarà il loro patrocinatore a salvaguardare gli interessi della persona.
A partire dagli anni ‘ 80 si è mirato al coinvolgimento dell’utente. Vista la tendenza degli enti locali
di portare i servizi più vicini ai cittadini (decentralizzazione), si è creata una maggiore sensibilità ai bisogni e promossa una maggiore partecipazione della popolazione locale e degli utenti alla pianificazione e all’erogazione dei servizi.
L’empowerement consiste nell’incoraggiare persone e gruppi ad aumentare il proprio potere e ad agire nei loro interessi, enfatizzando la partecipazione degli utenti alla progettazione dell’intervento; è visto come un elemento della lotta contro le oppressioni.
Questo approccio suggerisce di abilitare le persone a vivere una migliore qualità della vita nel mondo in cui si trovano non a cambiare le circostanze.

I doveri “diretti” sono inerenti al ruolo dell’assistente sociale; mentre quelli “indiretti” sono inerenti alla particolare funzione svolta dall’assistente sociale.
L’assistente sociale ha doveri nei confronti dell’ente, della professione e della società, doveri morali e doveri legali.
Il dovere di riservatezza può venir meno in caso di grave pericolo per l’utente o altri.
L’assistente sociale si trova ad operare delle scelte ove vi è una conflittualità tra i doveri, dove non subito si può orientare una scelta, ma nel futuro il codice morale dell’operatore determinerà l’azione moralmente più corretta.
Non ci può essere una separazione tra personale e professionale, ma neppure una funzione.
Considerando che il servizio sociale è un ambito particolare nel quale certi comportamenti sono più appropriati e determinati e i doveri devono essere adempiuti (es. aborto).
Negli anni recenti ci sono numerosi manuali procedurali e la costruzione di parametri per definire livelli di rischio che potrebbero causare un disagio. In questo modo si rischia che il ruolo principale diventi quello della sorveglianza e della raccolta di dati , piuttosto che intervenire “ terapeuticamen-
te” sulla famiglia; mentre la funzione da dover svolgere e di controllo sociale, assistenza e aiuto.
In definitiva le decisioni riguardanti il tipo di servizio da erogare dipende dalle risorse e dalle decisioni politiche oltre che etiche. L’economia e l’efficienza spesso vengono anteposte alle preferenze particolari e ai bisogni degli utenti.
I doveri richiesti da parte dell’ente vengono descritti in maniera sempre più dettagliata, ciò comporta l’esercizio di una “pratica difensiva” o burocratica.
L’ottica burocratica si centra sul ruolo e sulla responsabilità giuridica e incoraggia una separazione tra vita personale e vita professionale, esonerando gli operatori dipendenti dal fare ricorso alle morali personali.
L’assistente sociale in una burocrazia può scegliere di essere:
-          operatore difensivo. Seguire procedure alla lettera e adempiere i doveri definiti dall’ente e dalla legge (funzionari o tecnici). I valori personali e quelli dell’ente tendono ad essere separati;
-          operatore riflessivo. Considerando maggiormente nei propri valori, integrando conoscenze, valori, abilità e tecniche. C’è il riconoscimento che i valori personali  e quelli dell’ente possono trovarsi in conflitto e che l’operatore ha la responsabilità morale di assumere delle decisioni per dirimere questi conflitti.

 Occorre che l’assistente  sociale sviluppi una capacità di riflettere criticamente; questo modus operandi è più efficace che imparare delle procedure o acquisire competenze, permette di prevenire sensi di colpa e confusione.
C’è bisogno di una riflessione “nella” e “sulla” azione.
Gli operatori sviluppano strategie, tecniche e risposte abitudinari per affrontare differenti tipi di situazioni, attingendo principalmente dall’esperienza acquisita e dalla comprensione intuitiva. Alcune cose per gli operatori inesperti daranno dilemmi, mentre per gli operatori esperti sarà un caso che ha richiesto una scelta o decisioni morali.
Le ansie sono dovute a:
-          mancanza di preparazione e di conoscenze rispetto alla nuova situazione;
-          mancanza di consapevolezza circa il ruolo e le funzioni che svolge l’assistente sociale;
-          scarsa conoscenza delle regole connesse ai ruoli;
-          non si coglie la complessità della situazione oppure viene percepita, ma ritenuta insopportabile.
Nondimeno anche gli operatori più esperti si trovano a dover fronteggiare dei dilemmi etici e trovano sensi di colpa rispetto alle scelte e alle azioni che intraprendono. Cioè legittimo se il cattivo esito è dato da un insufficiente riflessione.
Il senso di colpa si prova quando un assistente sociale sente di non aver agito nel miglior interesse dell’utente e soprattutto se il caso abbia un esito negativo. Ci possono anche essere degli operatori che non provano sensi di colpa rispetto ad un esito negativo perché hanno tenuto fede ad un principio rinunciabile (casi rari).
Ci sono operatori che si sentono in colpa per aver violato un principio e altri che non provano sensi di colpa perché posto in ordine di importanza i propri principi.
R.M. 








                                                                             

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