ETICA DEL LAVORO E RESPONSABILITà SOCIALE
Dal latino rispondere-sposare
È la risposta che l’individuo, la società dà a
determinate considerazioni. Si necessità si una responsabilità sociale, perchè
l’economia andando ad incidere nel sistema sociale va a creare delle
problematiche di tipo economico e quindi sociale.
Il welfare State nasce in
Inghilterra nel 1600 per rispondere alle problematiche della povertà attraverso
le POOR LOW. Se esiste la ricchezza esiste la povertà cioè la mancanza di
ricchezza, che vuol dire non solo la mancanza di un bene ma anche
l’impossibilità di partecipare alla vita sociale.
Alla comprensione dei problemi che
si presentano può contribuire la riflessione di A.Sen che ha legato povertà, bisogni,
libertà, capacità e responsabilità, poiché i beni primari costituiscono mezzi
per la libertà, ma non possono rappresentare la libertà a causa delle
differenze tra gli esseri umani per quanto riguarda le loro capacità di
trasformare beni primari nella libertà di perseguire i propri obiettivi. Ad es.
un’uguale dotazione di beni primari può rendere le persone con invalidità
fisiche meno libere di perseguire il loro benessere.
Il lavoro costituisce parte
essenziale della libertà, che qualifica la condizione di povertà, Sen è in
grado di fornire un criterio di qualificazione della povertà spostando
l’attenzione dai beni primari alle capacità e alle libertà, e quindi si può
dare una diversa valutazione delle disuguaglianze sociali.
Questo spostamento è rilevante per
la scelta dei criteri che stabiliscono l’esistenza di stati di privazione o
povertà, in altre parole considerare la povertà in termini di basso reddito o
in termini di un’insufficienza di libertà.
La “teoria dei funzionamenti” di
cui parla Amartya Sen, sostiene che i funzionamenti sono le possibilità degli
individui di entrare nelle diverse sfere della società, vale a dire la
possibilità di sviluppo basandosi sulle possibilità di scelta dell’individuo,
lì dove impedimenti fisici o condizioni economiche impediscono lo sviluppo di
una persona interviene lo Stato ad eliminare gli ostacoli.
Sul terreno delle politiche del
lavoro si realizza l’incontro necessario tra la responsabilità sociale e la
responsabilità personale, in una prospettiva etica non lontana da quella di
Tocqueville.
Nel Memoire sur le pauperisme
(pauperismo=problema della povertà) pubblicato nel 1835, negli anni della prima
rivoluzione industriale,opponendo la mancanza dei mezzi di sussistenza la
diffusione del lavoro salariato come mezzo per procurarsi un reddito adeguato.
Sul pauperismo sarebbe tornato nel
1843 con la Lettre
sur le pauperisme en Normandie, si presentava al momento dell’esplosione della
questione sociale, cioè sulla base della diffusa opinione che la povertà fosse
dannosa per la convivenza sociale,per lo sviluppo della democrazia e per la
società.
La novità introdotta da
Tocqueville riguarda la percezione della povertà non come povertà assoluta
determinata da un quadro socio-economico tradizionale, ma come povertà da
contestualizzare in relazione alle nuove forme dell’economia contemporanea e
all’insorgere di nuovi bisogni.
Secondo T. l’essere umano nasce
con alcuni bisogni e altri li produce, ma i primi sono connessi ai bisogni
primari e i secondi alle abitudine e all’educazione.
Anticamente gli uomini avevano
esclusivamente bisogni naturali, ma con l’estendersi delle facoltà di
godimento,sono nati alcuni piaceri divenuti necessari.
L’uomo civilizzato, dunque, è più
esposto alle vicissitudini del fato rispetto all’uomo selvaggio, poiché al
secondo capita di tanto in tanto mentre al primo in ogni momento.
Ma T. lega la povertà alla nuova
condizione dell’indigente, meritevoli solo di Workhouses previste in
Inghilterra, il popolo della nuova società è un lavoratore meritevole del suo
salario,condannato all’indigenza della sua povertà, egli,pertanto riconduce il
problema della responsabilità sociale, sostenendo che il povero deve
rivendicare il diritto al lavoro per non essere umiliato, ma anche la società
politica deve saper rispondere al bisogno assicurando lavoro.
Esistono due tipi di beneficenza:
uno di orientamento cristiano sostiene che l’uomo deve essere aiutato ad
alleviare il suo male, l’altro di orientamento protestante, sostiene che la
società stessa ad occuparsi delle avversità dei suoi membri e a provvedere
all’attenuazione delle loro sofferenze.
T. è favorevole alla carità perchè
crea legami comunitari, ma la critica perchè essa deprime la dignità personale
promuovendo la passività invece del diritto al lavoro.
Un secolo dopo T. Beveridge pone
basi sulla questione della responsabilità pubblica nei confronti della povertà
e del lavoro, sottolineando l incidenza sociale e politica dei due aspetti del
problema, etico, sociale ed economico.
Il problema della povertà assume
il profilo della responsabilità sociale dell’intera comunità e risponde alle
aspirazioni degli indigenti a lavoro come diritto e all’assistenza come
caratteri essenziali dell’azione dello stato.
In Italia Giorgio La Pira affronta nel dopo guerra
la questione della povertà riallacciandosi alla politica sociale keynesiana dell’occupazione
e all’impostazione prospettate da
Beveridge.
Egli sostiene che il bisogno, le
malattie, l’ignoranza devono essere considerati come nemici comuni,inoltre egli
entrerà in contrasto con Luigi Sturzo che possiamo definire liberale mentre La Pira vuole promuovere l
intervento dello stato,quindi il lavoro non è solo una dimensione etica, ma
prima di essere produzione è realizzazione,generando pertanto un disagio
esistenziale.
Su queste basi viene fondata l
etica del lavoro, che non riguarda solo l uscita dalla povertà attraverso l
autosufficienza economica ma la collocazione sociale.
Ciò che salda il ragionamento di
T. a quello di B. è la convinzione che con la rivoluzione industriale la
povertà non è più inamovibile in forza delle scarse risorse distribuibili, ma è
invece la sottrazione da parte di pochi ad altri esseri umani “i lavoratori”di
beni e strumenti “il lavoro” che potrebbero far uscire dalla povertà se
equamente distribuiti.
La precarietà sociale ed economica
che accompagna il lavoratore introduce un paradosso: da un lato il lavoro
svolto perde la sua qualità per assumere la funzione di strumento per
procurarsi un reddito, dall’altro la nascita di un’area sociale contraddistinta
dal non lavoro o dall’insufficienza di reddito.
La vera novità è manifestata nel
caso del working poors, lavoratori non precari, ma segnati da redditi
insufficienti,Sen propone che si consideri come ad es. una persona che non sia
povera,debba spendere gran parte de reddito per curarsi può diventare povera a
causa della poca libertà che ha di conseguire apprezzabili functioning.
Di fronte alla diffusione del
lavoro mal pagato l’elevazione dei livelli di erogazione assistenziale deve
fare i conti con la cautela e occorre ,dunque, privilegiare l azione sindacale
e l innalzamento dei salari.
Un efficace workfare renderebbe
evidente che il diritto al lavoro è anche dovere di cercarlo e di praticarlo.
La povertà è data dalla condizione
dell’occupato che è condannato all’esclusione sociale, si pensi agli immigrati
privi di beni essenziali.
Ispirandosi al nesso tra diritto e
responsabilità, riproponendo la questione della partecipazione civile di B. la
responsabilità non è un dovere ma un diritto.
Una soluzione per ridurre la
povertà tra i lavoratori potrebbe essere quella di definire approcci ad
obbiettivi multipli che migliorassero il reddito, la qualità del lavoro, ma che
fossero anche sensibili allo sviluppo del patrimonio individuale e delle
famiglie.
R.M.
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