Dalla legge Crispi alla 328/00 scenari di grandi trasformazioni nel campo dell’assistenza sociale
Quando si parla di legislazione
sociale si fa riferimento a norme alle quali la sfera del servizio sociale si
approccia con un allontanamento alla concezione assistenziale per avvicinarsi
ad una concezione mercantilistica.
Il concetto di “assistenza” in Italia è stato assente fino ai primi
anni del novecento ,nonostante fossero già presenti,tra il 1880 ed il 1886, le
problematiche che provocarono l erosione del tessuto sociale e delle reti di
solidarietà sociale e familiare. Le condizioni della popolazione del
mezzogiorno cominciarono ad essere denunciate e per esse si richiedeva l
intervento dello Stato. Le funzioni di assistenza continuarono ad essere svolte
maggiormente da istituzioni per lo più religiose,mentre lo Stato garantiva un’
assistenza limitata ad interventi di ricovero
in casi di indigenza e,dal 1904,anno in cui furono istituiti i manicomi,alla
reclusione dei soggetti considerati malati di mente nelle strutture
manicomiali. Lo Stato considerava la funzione sociale dell’ assistenza,come
provvedimenti atti a contenere le problematiche sociali con una logica di
controllo attraverso l’ istituzionalizzazione,in modo da mantenere un ordine
sociale più che mettere in atto provvedimenti volti ad eliminare il disagio
sociale,la povertà o le altre problematiche sociali.
Lo Stato interveniva solo dopo che le altre istituzioni di beneficenza
e le congregazioni di carità erano intervenute nei confronti del cittadino in
difficoltà, poiché era insita nella cultura sociale che assistenza e
beneficenza fossero connessi con lo spirito di solidarietà dell’uomo verso i
propri simili.
Il ruolo della Chiesa
La religione Cristiana pone
nell’amore e nella solidarietà verso il prossimo uno dei suoi cardini
fondamentali. Sorsero,cosi,per opera di ordini monastici le Opere di
Misericordia e le opere Pie che curavano l’ospitalità dei viandanti,l’assistenza
agli infermi,alle vedove,agli orfani ed agli ammalarti. La civiltà ebrea si
caratterizzava per l’assistenza di emarginazione,le uniche persone poste in
isolamenti erano i lebbrosi. La civiltà greca e la civiltà romana presentavano istituti
e modalità assistenziali come la limitazione del vagabondaggio ed il
mantenimento della pace sociale,anche se queste istituzioni erano sorte per
scopi politici.
La cultura medioevale obbligava i proprietari ad aiutare i bisognosi e
su ciò fondava la teoria della solidarietà sociale,garantendo ai poveri il
sostentamento da parte della collettività. L’assistenza ai poveri non era un
diritto ,ma si fondava sul concetto di carità. Il povero doveva essere aiutato
con le ricchezze in eccesso,nessuno si privava del necessario,ma il superfluo
era condiviso con gli altri,questa teoria viene definita della “ricchezza superflua”.
Prima della conversione di Costantino,solo la chiesa,offriva l’aiuto
pratico a sopportare le miserie della vita. Dopo la conversione di Costantino
la chiesa divenne religione di Stato e diffuse i suoi principi
ispiratori,l’amore e la carità,intesi come uguaglianza tra gli uomini ed unione
con Cristo. Si crearono,condizioni vantaggiose per svolgere l’attività
caritativa,i suoi possedimenti divennero legali e le proprietà crebbero a
dismisura grazie alle numerose donazioni. Costantino poco prima di morire ,donò
alla chiesa il palazzo del Laterano ,perché diventasse un centro di
carità,preposto sia alla distribuzione di danaro e di viveri che alla raccolta
delle offerte per i poveri. Iniziò cosi la collaborazione della chiesa con gli
organi politici ed amministrativi dello Stato,portando la chiesa a svolgere
funzioni di supplenza del potere pubblico. Cominciarono a sorgere istituzioni
specifiche,come asili ed ospizi,l’attività ecclesiastica assunse la
caratteristica di un vero e proprio fenomeno sociale. Aiutare i poveri divenne
il principale compito di monasteri,conventi ed abbazie ,che fornivano
protezione ,elemosina ,cibo e vestiti,ma non veniva fatto nulla per cambiare le
condizioni sociali del povero affinché tornasse ad essere autosufficiente. La
prima forma di organizzazione nel segno della carità cristiana fu l’istituzione
monastica di San Benedetto,ispirata alla regola dell’ospitalità “aperta a
tutti”. L’organizzazione dell’assistenza iniziò con San Gregorio Magno il quale
affermava che la carità cristiana è una virtù sociale. Quando egli divenne
pontefice,con il nome di GREGORIO 1,indirizzò ai bisognosi viveri e
l’ospitalità a turno ogni giorno nella mensa pontificia. Durante tutto il medio
evo i funerali dei sovrani e poi anche dei cittadini ricchi,oltre
all’elemosina,includeva lasciti a favore della chiesa come forma di redenzione
dai peccati della vita temporale. I fedeli venivano esortati ad esercitare la
carità con discrezione,era loro proibito ospitare un mendicante.
Successivamente furono divisi i poveri veri da quelli falsi, le leggi verso i
vagabondi volontari divennero rigide,i quali venivano fustigati e poi impiegati
per lavori pesanti,alimentati solo con pane e acqua. Nessuno si rese conto che
la soluzione della mendicità era nella modifica della struttura sociale ed
economica.
Nella lettura del 1500 i mendicanti e i vagabondi erano visti come una
minaccia all’ordine morale che furono obbligati ad indossare il distintivo di
mendicante questo fu il primo passo verso la stigmatizzazione pubblica. I
poveri erano ormai diventati un elemento di disturbo del tessuto sociale a cui
si trovò rimedio attraverso la loro rieducazione ad il forzato avviamento al
lavoro,fu cosi incentivato l’uso di pene ai lavori forzati in modo da
utilizzare forza-lavoro a costo bassissimo. L’ esigenza di un’assistenza
pubblica fu avvertita come una necessità,la soluzione più adatta sembrò essere
“la segregazione del povero” e il 1656 fu detto anno “del grande
internamento”,iniziò quella che viene chiamata la secolarizzazione
dell’assistenza,il principio ispiratore venne enunciato da Carlo di Borbone nel
1751 in occasione della fondazione del “generale albergo dei poveri”a Napoli: “qual zelo che nutre il nostro real animo per
la maggior felicità dello stato”.
Mentre l’età medioevale fu principalmente l’epoca della carità,l’età
moderna fu quella della beneficenza e dell’assistenza. La carità cristiana
presentava sicuramente dei meriti,ma anche numerose criticità perché si tendeva
a porre rimedi immediati ai mali che affliggevano gli uomini senza preoccuparsi
delle cause che li ponevano in essere e senza progettare alcun piano d’azione.
Riconoscimento del diritto all’assistenza
Uno dei primi teorizzatori “dei diritti del cittadini”fu Jean Jacques
Rousseau ,il quale affermò che gli uomini nascono liberi ed uguali, che
soltando il costituirsi della proprietà privata forma nella società la
disuguaglianza e l’asservimento dei poveri ai ricchi e che la soluzione a ciò
non è la distruzione della proprietà privata ,ma l’istituzione di uno stato
garante della libertà e dell’uguaglianza.
Nel tardo ‘700, inseguito alla rivoluzione francese ,si diffuse in
Europa l diritto dei poveri di non dover essere più affidati alle cure dei
privati,ma alle cure dello stato che avrebbe dovuto garantire loro assistenza.
Cominciò cosi a delinearsi un nuovo concetto,quello della “prevenzione della
povertà”. Emerse inoltre il concetto di “ carità legale” sostenuto da Cavour, dove il povero diviene soggetto di
diritto. Dopo l’avvento dell’unificazione,l’Italia si trovò in un momento molto
difficile con enormi problemi che favorirono la diffusione del brigantaggio,una
vera e propria guerra sociale,messa in atto dai contadini per le gravi
condizioni e come risposta alle imposizioni del nuovo stato nascente. L’unica
via di soluzione per molti fu l’emigrazione. Il giovane Stato per risanare le
imponenti difficoltà promulgò una serie di riforme,creò le prime e necessarie
sovrastrutture ,e pareggiò il bilancio economico. Il grave ritardo nel processo
di unificazione determinò nelle varie regioni una notevole differenza sia dalle
condizioni di vita che delle condizioni assistenziali e previdenziali. A tal
proposito fu varata una blanda legislazione finalizzata al controllo delle
istituzioni,ma non fu mai varata una legge che organizzasse tutte le strutture
assistenziali ,questo è il motivo per il quale ancora oggi nel nostro stato vi
è un panorama complicatissimo di strutture assistenziali,le quali coesistono
una affianco all’altra spesso sovrapponendosi.
La legge
Crispi 1890
La legge Crispi consacrò
un’assistenza pubblica autonoma che mirava a prevenire e eliminare situazioni
svantaggiose (la povertà), ma l’epoca in cui nacque la legge era caratterizzata
da un movimento operaio,che si rivolgeva a tutti i lavoratori, ma non
comprendeva quella fascia d popolazione emarginata dal tessuto sociale
(anziani,disoccupati,disabili ecc..).
Questo dualismo comportò la
creazione di due apparati assistenziale e previdenziale,e con la tendenza
sempre più marcata a proteggere il particolare con le risorse della
collettività.
Mentre il ceto industriale
chiedeva un governo più efficiente con una legislazione moderna aperta alle
nuove questioni sociali,quindi si crearono le “istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza” che permise la parziale laicizzazione delle opere di
beneficenza.
Come si vede lo Stato inizia ad
intervenire in cose che prima erano campo esclusivo del privato e della Chiesa.
La legge Crispi rese laica
l’assistenza e affermò che l’unica funzione dello Stato era ispettiva,
introdusse il nuovo concetto di giustizia legale e mantenne inalterata la loro
natura privatistica, demandando allo Stato la responsabilità dell’emarginazione
fisica, dei diseredati, degli inabili e dal 1904 anche dei malati mentali.
Vennero emanate delle norme per regolare le attività
lavorative dei minori vietando il loro impiego al di sotto dei 12 anni, nel
1893 fu emanata una legge sull’obbligo di risarcimento in caso di infortunio
sul lavoro.
Nel periodo fascista la classe
politica vide come soluzione le problematiche sociali, “la conquista della
quarta sponda”, il modo che gli italiani non sarebbero emigrati in cerca di
fortuna rendendo evidente la loro miseria, ma evidenziando la loro forza di
colonizzatori.
Gli storici ritengono valide due
motivazioni alla base della legislazione sociale del periodo fascista:
un sincero desiderio di
risollevare le condizioni di vita del popolo italiano oppure l’intuizione da
parte del regime di un’arma di controllo delle masse: l’assistenzialismo.
Tra gli interventi legislativi
prodotti nel periodo fascista troviamo:
l’O.N.M.I. (opera nazionale per
la protezione della maternità dell’infanzia) che aveva come funzione: la
protezione e l’assistenza delle gestanti e delle madri bisognose o abbandonate,
dei lattanti e dei bambini appartenenti a famiglie che non potevano prestare
loro le cure necessarie, dei minorenni fisicamente o psichicamente più deboli.
O.N.M.I. diffuse le principali e
basilari norme igieniche, organizzava in concorso con gli altri enti opere di
profilassi antitubercolari nell’infanzia, vigilava inoltre sull’attuazione di
tutte le norme concernenti la tutela della maternità (RDL 22-3-34 n°654),
l’assistenza o la tutela degli illegittimi o degli abbandonati (RDL 8-5-27
n°798 e RDL 29-12-27 n°2822), la mutualità scolastica (L 3-1-29 n°17) e la
tutela della donna e del fanciullo (L 26-4-34 n°653).
Altra iniziativa per la gioventù
fu la creazione dell’opera nazionale Balilla, L 3-4-26 n°2247, ente morale per
l’assistenza e l’educazione fisica e morale della gioventù.
Il RD 30-12-23 n°284 istituì gli
E.C.A., enti comunali di assistenza, che avevano il compito di coordinare tutte
le attività pubbliche o private volte al soccorso degli indigenti, alla loro
cura, alla loro istruzione ed educazione o al loro cambiamento professionale.
Il RD 3-3-34 n°383 provvedeva al
riordino delle attività di assistenza materiale e sanitaria.
Furono istituiti diversi enti
previdenziali come: l’istituto nazionale fascista assicurazioni infortuni sul
lavoro (1933) ha dato origine all’attuale INAIL, l’istituto nazionale fascista
di previdenza sociale (1935) dal quale nacque l’INPS, l’ente per la mutualità
fascista (1943 da cui è sorto l’INAM, mentre si estende la gamma di interventi
assicurativi volti a privilegiare gli occupati.
Anni ’50: Il dualismo tra
previdenza e assistenza viene ad essere ribadito anche nell’art 38 della Carta Costituzionale ove viene ribadito
un sistema previdenziale per i lavoratori e un’assistenza per le classi più
indigenti.
Entra in campo per la prima volta
un aspetto importante che è quello sanitario che avvia una prima integrazione
socio-sanitaria, infatti all’art 32 si dice “la Repubblica tutela la salute
come diritto dell’individuo e garantisce le cure agli indigenti”.
Iniziano a crearsi forme di aiuto
e solidarietà verso le categorie più deboli che determinano,tuttavia una
eccessiva frammentazione che crearono non ben pochi impedimenti, infatti questi
impedirono un riordino equilibrato del sistema pensionistico uscito compromesso
dalla guerra. Quindi ogni proposta che rivedesse un discorso universalistico
trovò opposizione da parte di quelli che vivevano in condizioni più favorevoli,
in + continuavano ad accentuarsi le divaricazioni tra agricoltura e
industria,tr anord e sud,grandi impresse e piccole, che diedero una spinta ad
avviare provvedimenti che però erano caratterizzati da una visione
individualistica da un lato e dall’altro una visione collettivistica.
In questa confusione si sentì
l’esigenza di una nuova figura professionale che fu l’assistente sociale che
aveva il compito di affermare un’idea di diritti e doveri del vivere
comunitario, allontanandosi dalle funzioni istituzionali, sia in materia di
assistenza che sanitaria.
Anni ’60: L’avvento del
centro sinistra col governo Fanfani nel 1962 determinò una serie di aspettative
che misero in aatto politiche a favore delle categorie + svantaggiate.
Fu il decennio delle pensioni (sociali
1965,di anzianità 1969) della riforma ospedaliera,il decennio in cui l’economia
e le politiche sociali produssero i loro effetti, ponendo maggiore attenzione
verso le maglie + deboli del tessuto sociale oltre che per i lavoratori.
Ma tutto ciò avvenne in un clima
che viaggiava a doppia velocità diversificata non solo da un punto di vista
geografico ma anche economico, inizia a prospettarsi un orizzonte con nuove
politiche sociali,nuovi programmi e metodi che si concentrano sull’analisi dei
bisogni, partecipazione, superamento dell’emarginazione e globalità dei
servizi.
Anni ’70: Il percorso storico del servizio sociale è sovrapponibile allo sviluppo del welfare state,entrambi sono
stati realizzati per il raggiungimento delle norme di benessere contenute nelle
costituzioni.
Negli anni ’70 vi fu un fiorire di legislazioni sociali che
crearono la struttura portante del welfare state in Italia,si possono
annoverare alcune leggi fondamentali,come:
- La legge
281 del 1970,che istitui le regioni a statuto ordinario dando corpo al
decentramento con il trasferimento delle competenze assistenziali dallo
stato alle regioni;
- Il
provvedimento centrale a parte il DPR 9 del 1972, che pure trasferiva alle
regioni deleghe importani, fu la Legge 382/75 che delegava il Governo a
emanare gli atti utili a completare il traferimento delle funzioni alle
regioni, in effetti ci fu una vera e propria svolta: da un lato c’era
un’estenzione a tutti i cittadini nei servizi sanitari e assistenziali
(regioni); dall’altro una copertura ai soli lavoratori nel campo
previdenziale e pensionistico (stato);
- Il DPR 616
del 1977,che segnò il passaggio da un sistema frammentario,basato
sull’esistenza di una pluralità di enti ,ad un assetto organico che
individua nelle regioni il riferimento programmatico di coordinamento e di
controllo e nei Comuni la sede di gestione dei servizi,nell’assistenza
pubblica restano le competenze di carattere amministrativo e civile.
Lo Stato,è responsabile dell’indirizzo e della
programmazione della politica sociale e dell’erogazione delle pensioni sociale
attraverso l’INPS.
Con il DPR 616 del 1977 si sostanziano i nuovi principi di
politica sociale:l’Universalità delle prestazioni,come erogazione dei servizi a
tutti i cittadini a prescindere dallo stato di bisogno, la Territorialità ,come
ambito per la gestione e l’integrazione dei servizi,con esso al servizio
sociale vengono attribuite tutte le attività che attengono alla predisposizione
ed all’erogazione di servizi gratuiti o a pagamento. In seguito con la legge n.
135 e la legge n. 142 del1990 “ordinamento delle autonomie locali”,pubblicata
sulla G.U. del 12-06-90, si sono riordinate le competenze a livello degli enti
locali,per cui la regione ha il compito di determinare gli obiettivi generali
della programmazione economico-sociale e territoriale ripartendo le risorse
destinate agli enti locali.
Negli anni dal 1970 al 1978 furono emanate leggi
importantissime:
- La legge
n.1204 del ’71 sulla tutela delle lavoratrici madri ampliata poi con la
legge n. 903 del ’77 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in
materia di lavoro,è stata questa una legge rivoluzionaria che è stata
varata in Italia per prima in Europa;
- La legge n.
1044 del 71 istituiva degli asili nido;
- La legge n.
151 del ‘ 75 riforma del diritto di famiglia;
- La legge n.
354 del ’75 norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle
misure limitative della libertà;
- La legge n.
405 del ‘ 75 sui consultori familiari;
- La legge n.
685 del ’75 sulla disciplina degli stupefacenti e sulla prevenzione, la
cura e la riabilitazione degli stati di tossicodipendenza;
- La legge n.
833 del ’78 riforma sanitaria;
- La legge n.
180 del ‘ 78 riforma dell’assistenza psichiatrica e chiusura dei manicomi;
- La legge n.
194 del ‘ 78 tutela sulla maternità e infanzia e sull’interruzione
volontaria della gravidanza.
Queste leggi hanno definito le competenze del servizio
sociale.
Anni ’80: Dopo la rivoluzione legislativa
degli anni ’70 possiamo constatare la sua stasi per tutti gli anni ’80,ad
eccezione di alcune che prevedono il decentramento degli interventi sociali e
sanitari,infatti venne avviata la partecipazione degli utenti alla spesa
sanitaria attraverso l’introduzione del Ticket, la razionalizzazione del
management con la legge 111/91 che istituì la figura del manager il quale con
pieni poteri quadrava i conti chiave prevelentamente aziendalistica.
Anche nel campo previdenziale si sentì la stessa esigenza a
causa di un’estensione progressiva del sistema pensionistico, insieme a
disparità conseguenti alle erogazioni monetarie.
I ogni modo di fronte a eccessivi costi, ormai
insopportabili sulla spesa pubblica vennero adottati misure + severe, anche per
quanto riguarda la sfera assistenziale a livello locale.
Anni ’90: Furono il decennio della razionalizzazione per mettere ordine in
campi come la previdenza,’assistenza sociale e quella sanitaria.
Tra i principali provvedimenti possiamo ricordare alcuni
come:
-
restrizione dei criteri di eleggibilità per ottenere prestazioni;
-
concentrazione e limitazione dei benefici ai gruppi sociali in
difficoltà;
-
agevolazioni fiscali a sostegno della previdenza integrativa
privata;
-
concentrazione delle opportunità per ottenere benefici: pensione a
65anni, calcolo contributivo e non retributivo ecc..
-
compartecipazione alla spesa pubblica;
-
progressiva aziendalizzazione dell’assistenza sanitaria: nomina
del manager, integrazione socio-sanitaria,innesto di elementi privatistici.
-
Promozione
di riconoscimento di funzioni pubbliche a soggetti del privato sociale: legge
266 e 381 che favorirono la trasformazione del welfare state in welfare mix;
-
Freni
nell’assunzione nel settore pubblico.
Occorreva superare la logica
della legge Crispi e modernizzare la disciplina di erogazione di assistenza e
beneficenza, facendo riferimento agli art 2-3 della Costituzione La Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili del’uomo sia come singolo e sia
nelle sue forme sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
l’adempimento di doveri di solidarietà politica,economica e sociale; tutti i
cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge..
Tuttavia mancava un processo
riformatore diretto verso un sistema integrato di servizi e interventi, ma le
principali leggi emanate negli anni ’90 furono
v La legge 8 giugno 1990 n. 142
sulle autonomie locali,che volge a promuovere la partecipazione dei cittadini
ed il diritto di accesso agli atti amministrativi;
v la legge n. 241 del 7 agosto del
1990 “nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi”;
v legge 309 del 90 in materia di
tossicodipendenza;
v legge 216 del 91 a favore dei
minori a rischio;
v Il riconoscimento del terzo
settore con la legge n. 266/91( volontariato) e la legge n. 381/91 (la
disciplina delle cooperative sociali) ed il dlgs 486/97,porteranno alla
creazione delle ONLUS;
v è obbligo ricordare la legge
104/92,testo unico per la valutazione,riconoscimento e interventi a favore di
soggetti portatori di handicap;
v d.lgs 502 e 571 del 93 di
riordino del sistema sanitario e socio sanitario;
v legge 285 del 97 a favore
dell’infanzia e dell’adolescenza;
v la legge n. 59 del 15 marzo 1997
“delega del governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed
agli enti locali per la riforma della pubblica amministrazione e per la riforma
della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”;
v la legge n. 127 del 15 maggio del
1997 “misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei
procedimenti di decisione e di controllo”;
v il decreto lgs. n. 112 del 31
marzo 1998 “conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali
in materia di servizi alla persona ed alla comunità”.
Solo nel 2000,dopo 10 anni con la legge 328 si ha la
riforma dei servizi sociali che pone le basi alla costruzione di un sistema integrato
di interventi e di servizi sociali.
la legge Quadro 328/00 e il sistema integrato di
servizi sociali
la legge Quadro 328/00 e il sistema integrato di
servizi sociali
A seguito dei numerosi interventi
legislativi bisognava comunque creare un quadro unitario , le molte leggi
nazionali e provvedimenti regionali hanno aiutato questa evoluzione verso un
apparato unitario, ma restava ancora quell’atteggiamento caritativo che
rischiava di dare continuità alla legge Crispi.
Gli anni 70 furono utili per
affrontare la questione sociale da punto di vista istituzionale, attraverso
anche la salvaguardia delle autonomie locali nello Stato, infatti il DPR 616/77
stabilì le competenze dello stato, delle Regioni e degli Enti locali (comuni e
province) rispettando gli art 117 e 118 della cost.
La legge 142/90, la legge
Bassanini 59/97, il Dlg.s 112/98 e la sistemazione del testo unico 267/00
completarono il quadro istituzionale per accogliere una Riforma sociale.
Ci furono diverse proposte di
legge con precisione 12 che furono messe sotto il nome del deputato firmatario
On Elsa Signorino, e fuorno convogliate in un'unica legge che venne varata 8
novembre del 2000, la Legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato
di interventi e servizi sociali 328.
La 328 è caratterizzata da 6 capi
e 28 articoli:
- Al primo capo ripartito in 5 art vengono elecanti i
principi generali e le finalità:
art.1 à venne sancito un
sistema di protezione sociale attiva che offre autonomia e sviluppo ai
cittadini che si trovano in condizioni di bisogno, attraverso un sistema
integrato di servizi e prestazioni coinvolgendo enti pubblici,privati e della
solidarietà sociale, i quali partecipano alla programmazione e gestione dei
servizi a partire dai livelli essenziali di prestazioni assicurate a tutti;
art.2 à vengono individuati i
destinatari degli interventi, ovvero tutti i cittadini,compresi
extracomunitari;
art.3 à viene indicato il
metodo per realizzare gli interventi, basato sulla programmazione, attuazione e
verifica/ integrazione, concertazione e cooperazione;
art.4 à per realizzare ciò
occorrono i finanziamenti erogati dallo Stato Regioni e Comuni;
art 5 à nell’incontro tra
soggetti pubblici e privati viene riconosciuta maggiore importanza al terzo
settore al quale viene affidato la gestione dei servizi.
- Al secondo capo si disciplinano gli assetti
istituzionali e organizzativi del sistema di protezione sociale: i Comuni
hanno il ruolo centrale con funzioni amministrative proprie, le Province
affiancano i Comuni nei compiti di coordinamento e formazione, le Regioni
hanno compiiti di programmazione coordinamento e indirizzo degli
interventi oltre che quello di verifica, lo Stato definisce invece i
livelli essenziali di intervento e la determinazione dei principi generali
e obiettivi di politica sociale, attraverso l’emanazione del piano sociale
nazionale, la determinazione delle professioni sociali e la ripartizione
del fondo nazionale.
- il terzo capo contiene disposizioni di particolari
interventi, con la compartecipazione di diversi enti, entrano in scena le
ASL che insieme ai Comuni elaborano progetti mirati per disabili, anziani,
centrando il ruolo della famiglia.
- il quarto capo si trovano gli strumenti che
favoriscono l’integrazione dei servizi ovvero: il Piano sociale,quello
nazionale predisposto dal Governo, quello regionale e quello locale. I
piani costituiscono lo strumento per avviare progetti e definire le
risorse per la spesa assistenziale.
- il capo quinto definisce le modalità di
realizzazione del sistema integrato, mediante politiche e prestazioni
coordinate, integrando servizi alla persona con eventuali risorse
economiche e percorsi attivi mirati all’efficacia delle prestazioni.
Inoltre viene assegnato alle regioni il compito di prevedere l’erogazione
di prestazioni essenziali e garantire il segretariato sociale, il pronto
intervento sociale,l’assistenza domiciliare, reddito di cittadinanza e
redditometro.
- il capo sesto sono le disposizioni finali, dove
viene disciplinata una Commissione nazionale di indagine sull’esclusione
sociale e vengono definite le modalità di interveto su casi di povertà
estrema.
Gli elementi costitutivi della
legge 328/00 possono essere delineati sotto due profili:
-
profilo oggettivo, cioè le attività che
costituiscono l’assistenza sociale all’interno delle politiche sociali, infatti
con la legge 328 si conferma il D.lgs 112/98 fedele a sua volta al
decentramento amministrativo avviato dalla legge 59/97 che riprese il
provvedimento avviato nelgi anni 70 616/77 agganciato alla legge 142/90 “ tutte
le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura e l’interesse e
promozione dello sviluppo e dei rispettivi territori sono ceduti alle autonomie
locali.
Il Dlgs 112/98 dedica un apposito capo ai
servizi sociali, dove li identifica come quelle attività che si preoccupano
della predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti o a pagamento, o
prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare situazioni di bisogno e
difficoltà che la persona incontra.
La
legge 328/00 avvia una sorta di passaggio da una concezione particolaristica
dell’assistenza sociale ad una universalistica rivolta a tutti i cittadini.
-
profilo soggettivo, dove si trova una complessa
interazione tra tutti i soggetti coinvolti,pubblici o privati.
Alla base di
questa interazione si pongono il principio di decentramento amministrativo e
dell’autonomia locale previsto nell’art 5 cost, dalla legge 59/97, 142/90, dlgs
267/00 o anche Testo Unico delle autonomie locali.
La legge dopo
aver elencato i principi generali, richiama tutti i soggetti della comunità ad
esercitare diritti e doveri di
solidarietà secondo il principio di sussidarietà in una logica di
integrazione-cooperazione, infatti la programmazione e l’organizzazione compete
al pubblico ma lui non è solo, bensì coinvolge gli organismi e i soggetti della
solidarietà sociale, quindi c’è il riconoscimento di una comunità,come sede di
mediazione tra bisogni e risposte, pronta ad affidarsi se necessario a diversi
livelli, fino ad arrivare allo Stato.
La legge 328 concretizza un nuovo
sistema di Welfare mix con un’accentuazione alle titolarità pubbliche ma anche
al ruolo del comune,tuttavia la nuova legge è stata già in procinto di
tramontare,poiché quasi in contemporanea venne riformato il titolo V della
Costituzione,dove si trova l’art 117, che è alla base della legge quadro,
quindi questo poteva compromettere il fine ultimo della novella legge.
Nella formulazione iniziale l’art
117 prescriveva alle regioni, per alcune materie tra cui socio-assistenziale,
di emanare norme nei limiti della legge dello Stato; con la modifica del titolo
V (norma costituzionale 3/01) lo stato ha ceduto alle regioni come materia
esclusiva,tra le altre, l’assistenza e i servizi sociali, quindi gli enti
emanano norme non + sotto i limiti di legge dello Stato, pertanto la 328 nn
vincola + le regioni.
In ogni caso non tutte le
disposizioni della 328 vengono messe in discussione,poiché il nuovo art 117
lascia tra le materie esclusive dello stato la determinazione dei livelli
essenziali di prestazione.
Ulteriore aspetto da dover
analizzare riguarda la distribuzione dei fondi perequativi previsti dall art
119, i quali vengono affidati dallo Stato, ma questo mette in risalto il
rischio che tale funzione potrà compensare le differenziazioni regionali, però
ci sono stati revisioni che hanno determinato una riduzione negli stanziamenti
dei bilanci regionali e locali a favore dei servizi sociali.
In ogni caso il modello di
welfare mix delineato dalla 328 dovrebbe rimanere intatto, ma molte regioni in
previsione della riduzione di risorse finanziare potrebbero affidare l’erogazione
dei servizi sociali a soggetti del terzo settore o privati e questo
implicherebbe una notevole differenziazione tra le diverse regioni.
Ovviamente va sottolineato che la
riforma del titolo V ha comunque i suo aspetti positivi, in termini di
autonomia e opportunità di autogoverno, tutto ciò fa subentrare la logica di
competizione tra territori per approvvigionarsi delle risorse,quindi questo
richiede una grande responsabilità e competenza da parte delle dirigenze
locali e regionali.
l’attuazione della legge 328/00 in Campania
La regione Campania è stata la
prima a dare attuazione alle disposizioni della legge 328/00, da un lato c’era
l’esigenza di un cambiamento culturale nei processi di rappresentazione, nei
linguaggi e nelle relazioni; dall’altro c’era la necessità di fare i conti con
una realtà territoriale legata al concetto della solidarietà assistenziale.
Due sono stati i provvedimento
che hanno dato avvio in Campania all’attuazione della 328, deliberati dalla
Giunta regionale:
N° 1824: ripartisce il territorio
regionale in ambiti territoriali costituiti dai vari Comuni per creare un
sistema locale di servizi sociali che coincidono con i distretti sanitari
dell’ASL di riferimento;
N° 1826: detta le linee guida che
indicano metodi e contenuti, le regole alle quali devono riferirsi per la
definizione dei Piani di Zona sociali.
Infatti per la definizione dei
piani di zona, la regione Campania si è rifatto alle disposizioni della legge quadro, le prime linee guida furono emanate nel
2002 e hanno costituito l’ossatura di quelle successive.
Le linee guida sono definite
idee-forza che prevedono Welfare di responsabilità, diritti di cittadinanza,
sicurezza,inclusione,partecipazione,coprogettazione,pianificazione,politiche
integrate,sviluppo del territorio,contrasto alle povertà ecc.. sono questi i
presupposti sui quali è dovuta costruirsi la nuova programmazione sociale.
Il piano di zona è un piano
regolatore di strutture, servizi e interventi di carattere sociale e
socio-sanitario in un certo ambito territoriale (52 sono i distretti sanitari).
Le linee guida hanno offerto una
sequenza di tempi e modalità di percorso:
·
ambito territoriale: area
geografica all’interno della quale vengono programmati e realizzati nuovi
sistemi di politiche sociali;
·
coordinamento istituzionale:
organismo cardine che predispone il Piano di zona, facevano parte i sindaci dei
comuni aderenti, infatti l’onere della prima convocazione venne affidato al
sindaco del comune con maggiori abitanti, ed è stato chiamato a prendere diverse
decisioni fondamentali. In più il comune capofila stabilisce tempi e modalità e
approva il Piano compreso i raccordi coi soggetti della solidarietà sociale
presenti nel territorio, ed infine la quota finanziaria con la quale si
realizza il piano;
·
ufficio di Piano: è il soggetto
esecutore delle decisioni politiche
assunte dal Coordinamento, ed è costituito dal personale distaccato dai
singoli comuni;
·
protocollo di intesa: è il primo
atto ufficiale sottoscritto dai membri del Coordinamento e sancisce la volontà
di procedura del Piano nel rispetto delle linee guida. Il protocollo d intesa è
ratificato da ogni Comune e inviato al Comune capofila che lo trasmette la
Regione che a sua volta lo verifica e in caso positiva avvia il finanziamento;
·
gruppo di piano: è il motore
originario del processo,nel quale si sono riuniiti su decisione del
coordinamento, tutti i soggetti della realtà territoriale per rivelare le
condizioni di bisogn e assicurare risposte.
I passaggi compiuti dal
Coordinamento istituzionale e dal gruppo di piano sono mirati alla definizione
del piano:
- la base conoscitiva: riguarda la fase di raccolta dei dati e
le informazioni per effettuare una diagnosi del territorio e quindi:
aspetti morfologici,economici occupazionali,dati demografici,i servizi
esistenti per le aeree (minori,anziani,disabili previsti dalla 328), la
mappa dei progetti in atto, la mappa dei soggetti che partecipano;
- la costruzione delle risposte: è la
fase cruciale per stabilire cosa realizzare e come per raggiungere risultati
efficaci ed efficienti. Ogni progetto parte da obietti volti a risultati
attesi, delinea le azioni da compiere e le risorse,i soggetti e i
destinatari, i tempi, le modalità,gli strumenti ed infine verifica e
valutazione;
- la stesura del piano: è importante in
questa fase assicurare le modalità di gestione, relativi strumenti, in
particolare la durata, il sistema di monitoraggio e di valutazione;
- l’approvazione e presentazione: dopo
la serie di fasi segue l’approvazione del piano e la sua trasmissione al
comune capofila, la procedura di approvazione,sancita nell’art 19 della
328/00, è consentita nella trascrizione di un programma tra soggetti che
hanno partecipato alla definizione di esso;
- l’accordo di programma: disciplinato
dall’art 34 della 267/00, è uno strumento che conferisce vincolo di
obbligatorietà per gli enti che hanno sottoscritto, ottenuta
l’approvazione, il piano può avere effetto attraverso l’utilizzo delle
risorse, costituite dal fondo nazionale,regionale e dal POR;
- valutazione e verifica: essa è caratterizzata da quella conclusica,preventiva e quella in corso d’opera.
La redazione del Piano di
Zona del 2007/2009 Regione Campania
Il piano di zona della regione
campania è stato redatto attraverso due fasi:
- ha coinciso con la stesura del primo pezzo, la
programmazione integrata ASL e comuni, e la definizione del relativo
quadro finanziario;
- ha riguardato la definizione del piano, compreso le
strategie relative agli interventi, con l’articolazione dell’assetto
istituzionale,gestionale e finanziario. Questa fase si conclude con la
sottoscrizione dell’accordo tra gli enti partecipanti al coordinamento
istituzionale.
La stesura del Piano 2007-2009,
importante con il nuovo piano di zona non tralasciare la conoscenza dei bisogni
del territorio, rafforzare il coinvolgimento di tutti gli attori locali e
rivolgersi ai beneficiari direttamente.
- CONVOCAZIONE DEL COORDINAMENTO ISTITUZIONALE PER
DARE MANDATO ALL’UFFICIO DI PIANO PER LA REDAZIONE DEL PIANO;
- RIUNIONE TRA IL COORDINAMENTO ISTITUZIONALE E
DELL’UFFICIO DI PIANO PER LA VALUTAZIONE DEI RISULTATI PRECEDENTI
(VERIFICA);
- ATTIVAZIONE DEI SOGGETTI COINVOLTI: ORGANIZZAZIONI
SINDACALI, TERZO SETTORE ECC.. (CONFRONTO)
- RIUNIONI TRA COORDINAMENTO ISTITUZIONALE E UFFICIO
DI PIANO PER LA DEFINIZIONE DEL PIANO D’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA
(COSTRUZIONE DELLE RISPOSTE);
- SOTTOSCRIZIONE DEL PROTOCOLLO D’INTESA TRA COMUNI E
ASL;
- RIUNIONI DEL COORDINAMENTO IST. E UFFICIO DI PIANO
PER RIELABORARE I RISULTATI;
- ADOZIONE DEL TESTO FINALE DEL PIANO E
SOTTOSCRIZIONE DI APPOSITO ACCORDO DI PROGRAMMA;
- SOTTOSCRIZIONE DELL’ACCORDO DI PROGRAMMA TRA COMUNE
CAPOFILA E ASL;
- DEFINIZIONE DEL QUADRO FINANZIARIO A SOSTEGNO DEGLI INTERVENTI PROGRAMMATI.
La quota che ogni comune deve
impegnare nel proprio bilancio da spendere solo per gli interventi previsti nel
apino di zona, è confermata per un minimo di 5 € per abitante.
Tale fondo si aggiunge a quelli
già stanziati anche quelli previsti dalla Regione Campani e dal fondo
Nazionale, nonché quelli delle ASL per la componente socio-sanitaria e del POR.
Anche la valutazione del piano
segue un impianto dettato dalla legge e assorbita dalla riforma del titolo V
della Costituzione, ci sono dunque tre livelli di competenze, regionale,
provinciale e zonale.
La valutazione non solo
prescritta, ma deve essere interattiva e dialogica, capace di coinvolgere tutti
i soggetti,con interviste, focus-group per cogliere le aspettative della gente
e constatare i risultati.
la legge regionale per la dignità e la
cittadinanza sociale
Le conferme della 328/00 vengono confermati i punti
centrali della 328,infatti la legge 11/07 conferma: il carattere dell’universalismo selettivo, cioè gli
interventi sono destinati a tutti ma si stabiliscono priorità alle fasce +
deboli riporta il concetto di persona; la tutela della famiglia, che
assume un ruolo di protagonista nella formazione e cura della persona, con
relazioni di mutuo-aiuto e associazionismo; il concetto di Welfare locale che
conferma il decentramento previsto dal Dlgs 112/98 che ripartisce tra Regione
(programmazione),Provincia (accompagnamento) e Comuni (titolarità dei servizi)
le diverse funzioni, ma viene inserito anche il terzo settore e il privato
sociale e si parla di corresponsabilità intrecciando,appunto la responsabilità
istituzionale con quella comunitaria; la protezione sociale che supera la concezione
assistenzialistica e guadagna la scena il concetto di rete che diventa un
modello nel quale si fondano i principi di
coordinamento,integrazione,concertazione e cooperazione, quindi si parla di
reti di servizi, reti di soggetti,reti di responsabilità; il metodo di sistema che si
basa su un insieme di interventi che utilizzano una metodologia nuova che parte
dalla rilevazione dei bisogni,riconosca la operatività delle risposte e
verifichi la qualità dei risultati, infatti i comuni costituiscono
coordinamento integrazione con i servizi sanitari,dell’istruzione delle
politiche del lavoro ec..e istituiscono un sistema unitario di servizi dove la
programmazione e la gestione diviene una rete unitaria. Altra novità della
legge da inserire nel metodo di sistema è il monitoraggio; l’occupazione che si
rafforzerà camminando di pari passo con il miglioramento delle condizioni di
vita e la formazioni di nuovi professioni (operatori geriatrici,assistenti sociali,mediatori familiari,ecc) che affiancheranno le amministrazioni
pubbliche; il
fondo sociale regionale unico che viene istituito con la sanità, accanto alle
risorse ordinarie degli enti,che mirerà ad azioni quali contrasto alla povertà,misure contro le dipendenze,sostegno ai minori ecc..; il piano di zona sociale che si
configura come piano regolatore de servizi sociali all'interno del quale i
comuni coi distretti sanitari, rilevano i bisogni e ne danno risposta,
individuerà le metodologie e le strategie per avviare l’integrazione.
Le innovazioni: la legge regionale prevede delle
innovazioni: si inizia a colmare il dislivello tra sistema sanitario e sociale
per assicurare servizi che non siano solo riparativi, ma che svolgono anche una
funzione di protezione, in sostanza affermare il diritto soggettivo a
beneficiare di alcune prestazioni. La legge inchioda la regione e gli enti
locali a garantire entro 2 anni la copertura finanziaria dei livelli essenziali
di assistenza sociale a livello territoriale. Un balzo in avanti rispetto alla
328/00 riguarda il limite delle risorse economiche e la necessità di
subordinare l’erogazione dei servizi,anche quelli essenziali, alla
disponibilità delle risorse finanziarie. Nasce dunque il diritto esigibile a
ottenere prestazioni,purchè siano ben indicate le cifre finanziarie.
le aree di intervento
la legge regionale per la dignità e la
cittadinanza sociale
La regione campani ha varato una propria legge sui servizi
sociali N° 11/07 “Legge per la dignità e la cittadinanza sociale” che ambisce a
raggiungere l’opinione pubblica ai diversi livelli di giudiziose ed
espressione.
Pur potendo la Regione Campania
ribaltare la normativa statale,c’è stata la scelta unanime per assumere la
328/0 come modello di fondo.
11/07 si divide in 9 titoli
e 59 art: TITOLO 1 vengono enunciati i principi generali e le finalità
del sistema integrato di servizi con criteri di universalità, dove si sancisce
priorità ai casi + estremi.
La legge individua i soggetti
titolari del diritto ad erogare le prestazioni,indica le diverse tipologie di
servizi e gli strumenti utili per la programmazione,ovvero la ripartizione in
ambiti territoriali,il piano sociale regionale e il piano di zona;
TITOLO 2 indica i sogg. del
sistema integrato di servizi, differenziandoli in pubblici e privati, alla
regione vengono affidate funzioni di programmazione,coordinamento e indirizzo
alle politiche sociali, alle province (gli stessi enunciati dalla 328) vengono
affidati compiti quali la ricognizione dei bisogni in un ambito
territoriale,l’attivazione di un sistema informativo, ai comuni, nel rispetto
del principio di sussidarietà, si conferma la realizzazione del sistema
integrato.
Inoltre la legge istituisce il
Coordinamento istituzionale come motore del Piano di Zona,mentre la Consulta
regionale delle autonomie locali esprime pareri consultivi alla Giunta
regionale sui problemi di attualità.
Negli art successivi vengono
definiti gli organismi del terzo settore che operano nella programmazione e gestione
di servizi sociali,e viene riconosciuta funzione sociale sia agli organismi che
operano in maniera informale (famiglie ecc..) sia ai soggetti privati a scopo di
lucro.
TITOLO 3 disciplina gli
strumenti di programmazione,coordinamento e attuazione delle politiche
sociali. I piani di zona dovranno realizzare, sulla base delle indicazioni
della regione, attività sociali e socio-sanitarie ritenute utili e per la loro
attuazione viene disciplinato l’Ufficio di Piano che esegue le decisioni del
Coordinamento istituzionale.
Il segretariato sociale viene ad
essere istituito, per agevolare l’accesso ai servizi e fornire le informazioni,
connesso c’è la porta unitaria di accesso, che filtra, orienta e trasmette
infatti in relazione a questi organismi negli ultimi articoli viene previsto il
Sistema Informativo (banca dati allestita dai comuni, dei bisogni e servizi
attivati) e la Carta dei Servizi (indica le prestazioni offerte).
TITOLO 4 vengono
specificate le aree di intervento, dalla responsabilità familiare alle misure
di contrasto delle dipendenze, dalle politiche a favore degli anziani agli
interventi per i disabili ecc…
TITOLO 5 riservato all'integrazione socio-sanitaria e vengono definiti i principi che riconducono ad unità gli
interventi di natura sociale e sanitaria per soddisfare i bisogni.
TITOLO 6 regola la
partecipazione al sistema di servizi istituendo un apposito albo comprendendo
anche chi non vi può partecipare ad es associazioni di volontariato, in + il
piano sociale regionale definisce i sistemi di valutazione relativi ai
risultati conseguiti.
TITOLO 7 disciplina gli
strumenti di garanzia e controllo del sistema integrato di servizi, si
disciplina da un lato una vera e propria azione sostitutiva nei confronti degli
enti che non adempiano ai doveri, dall'altro viene istituito l’Ufficio di
tutela degli utenti che solleciterà, in caso di reclamo,gli erogatori delle
prestazioni.
TITOLO 8 regola le
modalità di utilizzo delle risorse, Fondo sociale regionale, che ricopre i
livelli essenziali di assistenza sociale previste a livello locale e accanto verranno inseriti i fondi dei singoli comuni.
TITOLO 9 riguarda le
abrogazioni di norme precedenti e la cessazione degli effetti all'entrata in
vigore dei regolamenti di attuazione.
Le conferme della 328/00 vengono confermati i punti
centrali della 328,infatti la legge 11/07 conferma: il carattere dell’universalismo selettivo, cioè gli
interventi sono destinati a tutti ma si stabiliscono priorità alle fasce +
deboli riporta il concetto di persona; la tutela della famiglia, che
assume un ruolo di protagonista nella formazione e cura della persona, con
relazioni di mutuo-aiuto e associazionismo; il concetto di Welfare locale che
conferma il decentramento previsto dal Dlgs 112/98 che ripartisce tra Regione
(programmazione),Provincia (accompagnamento) e Comuni (titolarità dei servizi)
le diverse funzioni, ma viene inserito anche il terzo settore e il privato
sociale e si parla di corresponsabilità intrecciando,appunto la responsabilità
istituzionale con quella comunitaria; la protezione sociale che supera la concezione
assistenzialistica e guadagna la scena il concetto di rete che diventa un
modello nel quale si fondano i principi di
coordinamento,integrazione,concertazione e cooperazione, quindi si parla di
reti di servizi, reti di soggetti,reti di responsabilità; il metodo di sistema che si
basa su un insieme di interventi che utilizzano una metodologia nuova che parte
dalla rilevazione dei bisogni,riconosca la operatività delle risposte e
verifichi la qualità dei risultati, infatti i comuni costituiscono
coordinamento integrazione con i servizi sanitari,dell’istruzione delle
politiche del lavoro ec..e istituiscono un sistema unitario di servizi dove la
programmazione e la gestione diviene una rete unitaria. Altra novità della
legge da inserire nel metodo di sistema è il monitoraggio; l’occupazione che si
rafforzerà camminando di pari passo con il miglioramento delle condizioni di
vita e la formazioni di nuovi professioni (operatori geriatrici,assistenti sociali,mediatori familiari,ecc) che affiancheranno le amministrazioni
pubbliche; il
fondo sociale regionale unico che viene istituito con la sanità, accanto alle
risorse ordinarie degli enti,che mirerà ad azioni quali contrasto alla povertà,misure contro le dipendenze,sostegno ai minori ecc..; il piano di zona sociale che si
configura come piano regolatore de servizi sociali all'interno del quale i
comuni coi distretti sanitari, rilevano i bisogni e ne danno risposta,
individuerà le metodologie e le strategie per avviare l’integrazione.
I rafforzamenti la
legge regionale specifica alcuni aspetti strutturali: il coordinamento
istituzionale che rappresenta un ruolo centrale d un Piano di Zona, svolge
la funzione di decidere su tutta la programmazione ed è costituito da i sindaci
dei Comuni e il presidente provinciale, adotta il piano di zona,definisce i
rapporti tra i soggetti,istituisce l’Ufficio di piano,approva i regolamenti e
verifica la qualità. Viene dunque integrato con la presenza del Direttore
generale dell’ASL; l’ufficio di piano che esegue le decisioni del
coordinamento, acquisisce ora funzioni + gestionali,cioè supporto al
coordinamento e ai gruppi di lavoro, segreteria,amministrazioni,gestione
finanza,programmazione e gestione delle attività formative, programmazione e
coordinamento delle attività integrate,monitoraggio,valutazione dei servizi
ecc..; il sistema informativo sociale che viene richiesto a ogni ambito
territoriale, infatti è finalizzato ad avvicinare i cittadini agli interventi e
i servizi per specificare gli obiettivi informativi, i target,i canali di
comunicazione,i soggetti, le risorse finanziarie,i criteri di riferimento per
la selezione dei progetti ecc..; la carta dei servizi ha lo scopo di
fornire ai cittadini-utenti, un’informazione completa dei servizi offerti sul
territorio e quindi si specifica la natura dei servizi,i livelli essenziali,gli
strumenti di tutela, le azioni di miglioramento della qualità ecc.. i comuni
devono infatti garantire l’adozione della carta servizi e devono farlo con tutti
gli altri enti aderenti ad un accordo di programma per la presentazione del
piano; la porta unitaria di accesso riguarda lo strumento responsabile
dell’erogazione e quindi gli uffici di cittadinanza sociale, per la diffusione
dell informazioni, gli uffici di segretariato sociale per l’erogazione dei
servizi di ascolto e il rilevamento attraverso le antenne sociali delle
difficoltà maggiori presenti sul territorio, viene infine istituita una Unità
di valutazione integrata socio-sanitaria,gestita assieme alle ASL con il
compito di valutare i casi e inviarli alla rete dei servizi .
La valorizzazione dei profili
professionali, il rafforzamento di un sistema di regole, la garanzia di
trasparenza e il rispetto della qualità, costituiranno una frontiera più avanzata
di interpretazione della legge 328/00.
Le innovazioni: la legge regionale prevede delle
innovazioni: si inizia a colmare il dislivello tra sistema sanitario e sociale
per assicurare servizi che non siano solo riparativi, ma che svolgono anche una
funzione di protezione, in sostanza affermare il diritto soggettivo a
beneficiare di alcune prestazioni. La legge inchioda la regione e gli enti
locali a garantire entro 2 anni la copertura finanziaria dei livelli essenziali
di assistenza sociale a livello territoriale. Un balzo in avanti rispetto alla
328/00 riguarda il limite delle risorse economiche e la necessità di
subordinare l’erogazione dei servizi,anche quelli essenziali, alla
disponibilità delle risorse finanziarie. Nasce dunque il diritto esigibile a
ottenere prestazioni,purchè siano ben indicate le cifre finanziarie.
Altra novità riguarda la
creazione di una governance di sistema nelle integrazioni, sia a livello locale
che regionale, infatti si parla di un sistema di relazioni ricondotte alla progettazione,definizione,
approvazione dei diversi interventi sociali e socio-sanitari, che vengono prese
a pari titolo senza forma gerarchica (a differenza del concetto di government). Quindi si opta per un’integrazione orizzontale caratterizzata da
un organo politico di governo (il coordinamento ist.), un territorio, un
supporto tecnico (ufficio di piano), regole di governance, il ruolo della comunità e le risorse umane e finanziarie.
A rafforzare la partecipazione di
tutti, la legge interviene con 2 punti, l’Ufficio di tutela (assicura il
rispetto delle regole) e il Commissario ad acta (interviene in sostituzione di
quegli enti locali che sono inadempienti).
La legge regionale da ampio
spazio al terzo settore nella fase di programmazione ed attuazione degli
interventi, infatti viene istituita la consulta regionale del terzo settore per
avviare qualsiasi provvedimento di attuazione della legge stessa ed infine
l’istituzione di un albo regionale.
Tuttavia non ha senso la
progettazione se non vi è un sistema di valutazione e verifica, quindi nella
legge viene contemplato il monitoraggio e viene valutato l’efficacia dei
percorsi e l’impatto sulla popolazione.
Per quanto riguarda
l’integrazione socio-sanitaria la nuova legge sostiene che i
comuni,responsabili delle azioni sociali e alle ASL,degli interventi
sanitari,sono uffici comuni (porta unica di accesso) e attraverso la diagnosi
dei singoli casi e la progettazione,giungono alla soluzione dei problemi dei
cittadini.
Altro tema importante affrontato
dalla nuova legge riguarda quello delle pari opportunità che rileva ancora oggi
contraddizione, pertanto ogni ambito dovrà assicurare il rispetto delle pari
opportunità in tutte le aree d’intervento.
Il documento strategico regionale
per la politica di coesione sociale 2007-2013 approvato dalla giunta regionale
della Campania e i conseguenti Programmi Operativi contendono alcuni punti
basilari alle indicazioni dell’unione europea:
-
viene creato il piano regionale per ricondurre ad un
interazione e unitarietà dell’azione svolta;
-
si definisce un programma di sviluppo della regione che
farà perno sull'integrazione dei vari strumenti di programmazione unificati in
un unico ambito territoriale.
le aree di intervento
Il sistema integrato di servizi
ed interventi sciali viene declinato dalla legge in diverse aree di intervento:
famiglia/minori
vengono stabiliti precisi
percorsi indirizzati a famiglie con molteplici problemi e a promuovere la loro
responsabilità, in particolare l’accompagnamento alle famiglie con problemi
giudiziari.
Affido à
i servizi di affido familiare richiedono un impegno + specifico, quindi il
provvedimento regionale partendo dalla consapevolezza che l’affido ha sempre
trovato difficoltà a decollare, ha tracciato dei punti operativi: classificazione
delle tipologie di affido. Formazione degli affidatari,organizzazione di
servizi in rete,anagrafe delle famiglie affidatarie, sostegno alla famiglia di
origine e quella affidataria.
Adozione à
relativamente all’adozione la legge fornisce le informazioni e gli orientamento
affinché i minori vengono tutelati e salvaguardati. Per questo vengono forniti
percorsi formativi,azioni integrate tra servizi per l’adozione e enti
autorizzati.
La regione campania ha varato un
programma di adozione sociale che risponde alle finalità di aggredire il
disagio sociale alla nascita, individuando i bambini a rischio.
Dispersione scolastica à
si insiste molto anche sulla dispersione scolastica che deve essere contrastata
con interventi di formazione professionale, per i minori vengono avviati 2
interventi: la deistituzionalizzazione e contrastare l’abuso e il
maltrattamento.
Servizi della giustizia
minorile à
al fine di una pianificazione degli interventi sulle tematiche riguardanti i
minori ci si ricollega al centro giustizia minorile, la regione
suggerisce: servizi a sostegno alla genitorialità, centri per la
famiglia,consultori pedagogici,
incentivazione dell’affidamento di minori con grave disagio, sostegno
alle famiglie con figli con cure particolari, interventi a favore delle donne
in difficoltà, attività e sapzi per adolescenti, servizi di prima
infanzia,servizi a minori maltrattati ecc..
Disabili:le
direttive regionali per l’inclusione sociale favoriscono la tutela delle
persone disabili e le loro famiglie si creano quindi:
-
Servizi di orientamento ed informazione
attraverso il segretariato sociale, che fornisce informazione ai disabili e
alle loro famiglie sui servizi offerti, inoltre raccoglie le informazioni ed
elabora progetti d intervento nei quali vige la collaborazione al monitoraggio
del territorio da parte dell’Ufficio di Piano.
-
Aiuto alla persona e assistenza domiciliare, un
servizio che si articola in relazione ai dati forniti dai progetti individuali
e dovrà essere offerto in maniera flessibile sia per gli orari che per le
prestazioni.
-
Centri diurni, ubicati n strutture pubbliche o
private, dove si svolgono attività socio-educative e di mantenimento
terapeutico-riabilitativo.
-
Centri residenziali, che sono servizi a
carattere sociale e volti ad offrire accoglienza a tempo pieno e prevedono un
max d 6-8 posti letto, tale da favorire l’intreccio di relazioni con il mondo
esterno. È fondamentale la collaborazione delle famiglie degli ospiti per una
graduale acquisizione di autonomia e distacco dalla famiglia.
La nuova legge promuove un ruolo
di maggiore collaborazione tra enti e organi della scuola per dare forza a
processi di integrazione scolastica e questo potrà garantire il diritto allo
studio ad alunni con disabilità, in modo particolare quella psichica.
Anziani:la legge
punta una visione positiva dell’anziano visto che nel territorio c’è assenza di
strutture residenziali a gestione pubblica per anziani e intanto la popolazione
anziani cresce di + . Per questo si è attivat al’assistenza domiciliare integrata,
ma sono ancora pochi i servizi di teleassistenza e telesoccorso, di area
sociale e di sostegno alla famiglia.
La legge ci offre una serie di
obiettivi per valorizzare l’anziano e quindi: attivazione di reti per garantire
la domiciliarità dell’anziano solo; osservatori della condizione dell’anziano;
valorizzazione del ruolo delle consulte per anziani; promozione di sedi
dell’università della terza età; rimozione di ogni ostacolo che impedisce
l’accesso ai servizi.
È possibile attivare anche altri
interventi quali: assistenza economica, assistenza domicialire per anziani che
vivono soli, assistenza domiciliare integrata, creazione di centri sociali,
residenze sanitarie assistenziali finalizzate a fornire accoglimento,
prestazioni sanitarie e assistenziali e realizzazioni di case famiglie.
Contrasto alla povertà:nel
2004 prende avvio in Campania il reddito di cittadinanza, disciplinato dalla
legge regionale 2/04 (350 euro mensili x 12 mesi) rivolto alle famiglie con
5000 euro di reddito annuo, al quale si aggiungono anche altre forme di
prestazioni quali: la gratuità dei libri, accesso a percorsi di recupero
scolastico, priorità nelle politiche di contrasto dell’emergenza
abitativa,facilitazioni tariffarie per i trasporti.
Immigrati: è un
area che richiede grande attenzione,infatti la legge si fa carico di questa
emergenza per fa fronte alla domanda sempre crescente di: opportunità
lavorative, servizi di prima accoglienza, tutela legale,servizi sanitari,
segretariato ssociale,formazione professionale,insegnamento della lingua ecc..
Dipendenze:di
fronte all’aumento di consumo di sostanze stupefacenti , a legge ha riservato
attenzione particolare a questo fenomeno. Tutela della salute educativa di
strada, progetti volti all'inserimento lavorativo diventano efficienti se si
crea un sistema integrato tra i diversi soggetti che sono chiamati a fare la
loro parte.
Persone detenute: la
legge ha voluto dedicare un interno articolo prescrivendo che le azioni di
accompagnamento, specialmente per le donne detenute con bambini, devono essere
inseriti nel Piano di sociale.
L’individuazione dei livelli
essenziali costituisce un importante strumento per l’integrazione sei servizi
sciali esso riguarda una elencazione di servizi che un ente è tenuto ad erogare
a quelle aree prima elencate,ma purtroppo la definizione di tali livelli non si
è ancora avuta, nel frattempo ogni regione sta legiferando in materia sociale.
l’integrazione socio-sanitaria tra enti locali e
ASL
l’integrazione socio-sanitaria tra enti locali e
ASL
La regione campania con la
delibera 6467 del 31.12.02 iniziò a fare chiarezza nel tema dell’aiuto alla
persona.
I soggetti che vengono chiamati
ad operare sono gli enti locali e le aziende sanitarie locali e due sono i provvedimenti legislativi il Dlgs 229/99 e la legge 328//00, completati da
altri due atti DPCM 14.02.01 e DPCM 29.11.01 che si servono del Programma di
Attività Territoriale e del Piano di Zona.
Le linee guida e la legge
regionale permise ad ASL e comuni, rappresentati nei coordinamenti ist. Di
redigere una programmazione socio-sanitaria che doveva ovviamente rispettare la
legge regionale e le linee guida.
La programmazione inoltre doveva
tenere presente le prestazioni definite livelli essenziali di assistenza e cioè
le prestazioni domiciliari, socio-riabilitative in strutture semi residenziali per disabili, anche quelli privi di sostegno familiare o malati di mente, di
recupero anziani, prestazioni di cura per le fasi di lunga assistenza
residenziale per affetti di AIDS.
Il concetto di integrazione
socio-sanitaria viene ad essere esplicato prima nel Dlgs 229/99, che appunto
definisce l’integrazione socio-sanitaria come le attività atte a soddisfare
mediante percorsi assistenziali, bisogni di salute della persona che richiedono
prestazioni sanitarie; e poi con la legge 328/00, che fa una differenziazione
tra:
-
prestazioni sanitarie di rilevanza sociale,
cioè attività finalizzate alla promozione della salute,alla
prevenzione,individuazione e rimozione, esse sono di competenza delle aziende
sanitarie locali e a carico delle stesse, vengono inserite in progetti
personalizzati e sono erogati in regime ambulatoriale,domiciliare o strutture
residenziali o semi-residenziali;
-
le
prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè le attività del sistema
sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno con
problemi di disabilità. Sono di competenza dei comuni che provvedono al loro
finanziamento negli ambiti previsti dalla legge regionale. Le prestazioni sono
prestate con partecipazione alla spesa da parte dei cittadini;
Qui la linea di demarcazione
si fa meno distinguibile poiché c’è un’elevata integrazione e quindi il DPCM
14.02.01 “atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie” fissa i criteri di finanziamento da caricare alle ASL o Comuni,
in questo caso ne stabilisce la titolarità alle ASL e la competenza finanziaria
viene affidata sia al fondo assistenziale che sanitario.
- le prestazioni socio-sanitarie a elevata
integrazione sanitaria caratterizzate da una particolare rilevanza
sanitaria aree materno-infantile,anziani,handicap ecc.. esse sono assicurate
dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di assistenza
sanitaria. Sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico del fondo
sanitario, vengono erogate in regime ambulatoriale domiciliare o in strutture
residenziali o semi-residenziali (riguardanti funzioni psico-fisiche,fasi
estensive di lunga assistenza).
Le prestazioni caratterizzate da
fase intensive, cioè di breve durata e definita,corrisponde la piena
attribuzione degli oneri al comparto sanitario, nella fase estensiva di medio o
prolungato periodo intervengono finanziariamente la sanità e l’assistenza,
nella fase di lunga assistenza sarà l’assistenza a sopporta gran parte degli
oneri.
Si pone dunque l’interrogativo
nel caso della prestazioni nelle quali non si possono scindere le componenti
assistenziali e sanitarie, di chi decide quali prestazioni erogare, appunto ne
risponde il DPCM 29.11.01, che definisce i livelli essenziali di assistenza con
riferimento all'integrazione socio-sanitaria, sono dunque di competenza delle
ASL, accanto a quelle sanitarie, anche le prestazioni sanitarie di rilevanza
sociale.
Ai provvedimenti legislativi
nazionali, Dlgs 229/00 legge 328/00, DPCM 24.02.01 e DPCM 29.11.01 si aggiunge
l’art 3 della legge 229/99 che sancisce che le regioni disciplinano le modalità
e i criteri mediante i quali i comuni e le aziende sanitarie garantiscono
l’integrazione, individuando gli strumento e gli atti.
I vari provvedimenti delineano
alcuni passaggi importanti, innanzitutto nel distretto sanitario dovranno agire
in piena integrazione sia il programma delle attività territoriali (definire i
bisogni primari) che il piano di zona (definire le strategie di risposta).
I distretti sanitari devono definire il programma di integrazione
nel programma delle attività territoriali che verrà presentato ai sindaci dei
comuni del coordinamento ist. Per un parere sulla parte sanitaria; mentre i
piani di zona dovranno definire il loro programma di integrazione che dovrà
essere approvato con accordo di programma sottoscritto dal direttore generale
dell’ASL.
Per dare forza e legittimità è
opportuno che si crei:
-
una integrazione istituzionale e quindi attivare
gli strumenti previsti dal decreto legislativo 267/00, creare cioè forme
associative quali, Convenzioni,Consorzi, Aziende,Unioni, nelle quali si auspica
anche la presenza di ASL relativamente ai servizi socio-sanitari;
-
una integrazione gestionale, l’apporto di
organismi unitari che insieme ad altri enti, sono in grado di rilevare i bisogni,
promuovere la formazione,monitorare gli interventi, valutare l’efficacia e
l’efficienza;
- una integrazione finanziaria.
le forme di governo del piano di zona sociale
Tutta la complessa architettura
del Piano deve essere governata con strumenti che garantiscono la corretta
attuazione e gestione, che riguardano sia le modalità di associarsi,che le
diverse forme di gestione dei servizi.
Le forme associative
Le linee guida regionali indicano
3 possibilità, che sono disciplinate nel Dlgs 267/00, testo unico sugli enti
locali, e agli art 30,31,32 ci parla appunto del:
convenzione,stipulato tra
gli enti locali ha funzioni determinate, prevede inoltre la possibilità di
costituire uffici comuni ai quali vengono affidati funzioni pubbliche al posto
degli enti che sottoscrivono.
La convenzione deve essere
approvata con delibera di ciascuno organo consiliare e avere le finalità
dell’intesa, i servizi,le funzioni e l’amministrazione capofila alla quale
affidare il coordinamento delle attività.
Trattandosi dei Piani di Zona
bisogna comprendere chi può partecipare alla convenzione, appunto l’art
stabilisce che possono farlo comuni,province,città metropolitane,comunità
montane e unioni di comuni, però questa definiscine sembra tagliare fuori le
aziende sanitarie.
La cassazione stabilì nel 1996
che l’ASL, pur diventando un entità aziendale strumentale della regione, può
operare localmente, pertanto si può fare appunto una distinzione tra gli enti
locali: enti locali territoriale, ovvero comuni,province ecc.. ed enti locali
istituzionali, quali le ASL, dotate di natura giuridica pubblica e competenza
locale.
La convenzione ha il compito di
individuare i criteri per selezionare l’ente capofila, la durata dell’accordo,
la definizione delle forme di consultazione,le dotazioni di risorse umane e
strumentali,la definizione dei rapporti finanziari, le funzioni del comune
capofila, del coordinamento ist, e dell’ufficio di piano nonché le regole di un
eventuale recesso dei soggetti che sottoscrivono.
Il consorzio è un modello
+ strutturato disciplinato dall’art 31 e prevede la gestione associata di 1 o +
servizi e l’esercizio associato di funzioni.
Il consorzio si forma nel momento
in cui si approva la convenzione che definisce le modalità e le competenze
degli organi consortili, lo statuto invece è lo strumento utile per dotare il
consorzio di una potestà di darsi regole del proprio assetto strutturale.
Gli organi del consorzio sono, il
consiglio di amministrazione, l’organo dei revisori e l’assemblea, composta dai
rappresentanti degli enti associati nella persona del sindaco.
Possono partecipare al consorzio,
gli enti locali, gli enti pubblici (ASL) e la sua costituzione esige un iter
particolare ovvero, bisogna procedere prima con la stesura dello statuto farlo
approvare,definire la convenzione e approvarla e stipulare la costituzione per atto pubblico dinanzi al notaio.
L’unione di comuni
disciplinato dall’art 32 viene definito l’insieme di enti costituiti da +
comuni allo scopo di esercitare una pluralità di funzioni congiuntamente.
Le forme di gestione dei servizi
Le forme di gestione dei servizi
sono 2 e possono essere realizzate dagli enti raggruppatatisi in forme associate
sia in economia che in concessione a terzi:
in economia è il caso dei
servizi di limitate dimensioni, occorre l’intervento dell’ente titolare del
servizio, attraverso alcuni strumenti nel rispetto dello statuto e dei
regolamenti.
In concessione a terzi è
il caso di servizi che per la loro complessità o per ragioni economiche,l’ente
locale, deicide di affidarli a terzi che possono riguardare si organismi
interni all'ente stesso che esterni.
Quelli che appartengono all’ente
sono:
-
istituzione art 114 Dlgs 267/00 non ha alcuna autonomia
giuridica, né uno statuto, ma risponde in tutto, determina le finalità approva
atti fondamentali, esercita vigilanza e verifica dei risultati. A governa
l’istituzione c’è il consiglio di amministrazione, un presidente e un
direttore, esso è però espressione di un solo ente. Nel caso del piano di zona
si determinano continui atti di delega con specifici apporti di risorse e
quindi per evitare problemi tra i soggetti associati si richiede un’apposita
convenzione.
-
Azienda speciale regolata dall art 114 che ha
personalità giuridica, autonomia statuaria e organizzativa a differenza dell’istituzione.
-
Società per azioni o di capitali è un organismo a
capitale pubblico costituito dagli enti titolari del servizio con la
partecipazione di altri soggetti. Si tratta di una forma di gestione che
assicura la maggiore autonomia imprenditoriale e getionale.
Gli enti nell'attuazione di un
servizio sociale hanno diverse possibilità di scelta dello strumenti di
gestione.
L’affidamento del servizio a
soggetti del terzo settore è disciplinato dal DPCM 14.03.01 ma già nel 1991 il
legislatore aveva posto l’attenzione su 2 entità del terzo settore, il
volontariato e la cooperazione sociale, aveva infatti approvato la legge 266/91
e 381/91 che disciplinavano il non-profit, si aggiungerà + tardi 383/00 che
regolava le attività delle associazioni di promozione sociale e terzo settore.
Con la 328 si aggiunge il
riconoscimento del ruolo, della rilevanza economica e sociale dei soggetti del
terzo settore, quest ultimo partecipa alla programmazione, progettazione del
sistema integrato dei servizi sociali e vengono incentivati mediante sistemi di
affidamento dei servizi.
Possiamo quindi dedurre che
l’assenza di fini lucri e eventuali profitti reinvestiti nelle stesse attività
da modo di convivenza con un attività di impresa volta a perseguire i fini di
solidarietà.
La 328/00 rinvia una serie di
regole e indirizzi da rispettare, infatti la regione campania con la delibera
1079/02 ha delineato alcuni punti fermi a cui i comuni devono attenersi nella
selezione dei terzi soggetti, anzitutto conta la competenza e l’esperienza ma
anche l’offerta economicamente più vantaggiosa.
L’acquisizione e l’affidamento
dei servizi sono regolate da alcune disposizioni legislative:
l’evidenza pubblica
è disciplinata dal Dlgs 163/06 che recepisce alcune direttive comunitarie in
materia di appalti e affidamenti pubblici di servizi esse si applicano se
l’importo previsto per l’attuazione,supera i 211000 euro; il decreto contempla le
procedure aperte nelle quali ogni impresa presenta l’offerta, le
procedure ristrette alle quali
partecipano solo le imprese invitate, il dialogo competitivo nel
quale l’appaltante avvia un dialogo con i candidati, le procedure negoziate
nelle quali l’amministrazione aggiudicatrice consulta le imprese e negozia i
termini di contratto in qst ultimo caso il dpr 384/01 disciplina le modalità
delle spese per acquisire beni o servizi da parte dello stato, tuttavia le
soglie finanziare possono essere applicate anche a enti non statali come i
comuni.
I comuni tramite regolamenti
disciplinano i rapporti con i fornitori iscritti in un elenco e disposti a
offrire quei servizi richiesti secondo le condizioni concordate.
L’accreditamento e l’autorizzazione
L’accreditamento è una
modalità recente nella scelta del soggetto a cui affidare un servizio, esso
avviene ssu base di alcuni requisiti e accredita i soggetti che sono in grado
di corrispondervi.
L’accreditamento è un istituto
preso in prestito dal sistema sanitario che cn il Dlgs229/99 ne aveva
disciplinato per i servizi e le strutture sanitarie, ma esse vengono estese con
il DPCM 14.02.01 alle strutture e prestazioni socio-sanitarie.
Accreditamento sanitario è
rilasciato dalla regione nel rispetto della qualifica specifica, delle
funzionalità e della verifica dei risultati, nonché del coinvolgimento degli
operatori professionali.
Tuttavia l’accreditamento si
differenzia dall’autorizzazione, poiché quest ultima rappresenta il
primo livello per l’esercizio delle attività sanitarie e cerca di assicurare
standard minimi,qualità delle prestazioni,evitare abusi di attività, cioè
consente al soggetto di realizzare una struttura o esercitare un’attività e
mettersi sul mercato, mentre l’accreditamento è + selettivo.
Con la 328 e la legge regionale
l’autorizzazione e l’accreditamento vengono previsti anche per i servizi
sociali, in pratica lo stato garantisce i requisiti mini, poi le regioni
definisce i criteri.
Infatti la regione definisce:
-
i criteri per l’autorizzazione e l’accreditamento;
- istituzione di registri dei soggetti autorizzati;
-
la definizione dei requisiti di qualità;
-
la definizione dei criteri per la concessione dei
titoli
-
la definizione dei criteri per la determinazione del
concorso degli utenti;
-
la predisposizione del finanziamento;
-
la determinazione dei criteri per la definizione delle
tariffe che i comuni devono corrispondere ai soggetti;
Ricorso a figure professionali esterne
Per programmare e realizzare un
piano di zona presuppone l’esigenza di avvalersi di risorse professionali
riguardanti sia incarichi di consulenza che collaborazione a progetto.
Per gli incarichi di
consulenza il Dlgs 165/01 recita che le amministrazioni pubbliche possono
conferire incarichi ad esperti con competenze determinando la durata il luogo e
l’oggetto della collaborazione.
Mentre per i collaboratori a
progetto scatta la coordinazione e la continuità, infatti il Dlgs 165/01 e
267/03 la collaborazione avviene quando l’ente per la realizzazione di
un’attività ha bisogno di una prestazione esterna.
Legge regionale
Anche per quanto riguardano le
disposizioni regionali possiamo ricondurre l’impianto a due elementi:
elemento oggettivo: per
dare soluzione al mondo del disagio, non ci sono prestazioni assistenziali
ma un vero e proprio sistema di servizi e interventi integrati che sono rivolti
a tutti.
L’obiettivo del benessere
sociale, le risposte ai bisogni attraverso un sistema di protezione a rete,
consacra una concezione di welfare delle corresponsabilità, perché viene
sorretto da diverse titolarità, ma viene riconosciuta sempre una priorità nei
confronti dei bisogni + gravi.
Il cittadino non è visto solo
come utente e la sua famiglia è vista anche come un importante risorsa, e il
primo anello della rete di sostegno al bisogno, infatti nella programmazione
viene promossa la partecipazione attiva, i livelli essenziali di prestazione,
la formazione di ogni forma associativa e in + si dà la possibilità di
connettere le politiche sociali con quelle dello sviluppo.
Questo può avvenire attraverso il
Piano di zona,accordi di programma,convenzioni e forme di accreditamento, gli
operatori a dovranno individuare le problematiche e affrontarle,,
intervenire sulla base della metodologia di lavoro per progetti, delle priorità
politiche e gli cittadini e le loro famiglie dovranno contribuire alle spese
per il loro funzionamento sulla base dei criteri prefissati.
Elemento soggettivo: enti
locali,comuni, province, regioni e stato, secondo il principio di sussidarietà
verticale in base al quale le responsabilità pubbliche devono incombere sulle
autorità più vicine ai cittadini e quindi il Comune gode, grazie anche a una
evoluzione istituzionale avutasi con la legge 142/90, di una notevole
flessibilità, infatti le convenzioni,consorzi e unione di comuni gli permettono
di attraversare processi di auto-organizzazione differenziati nei vari
territori.
La regione invece, programma,
coordina e indirizza gli interventi sociali e controlla e verifica la loro
attuazione, mentre lo stato adotta definisce i requisiti minimi strutturali.
Importante è anche il ruolo
svolto dalla comunità locale, attraverso organismi di rappresentanza,rete anche
informale, formazioni sociali come il volontariato e il terzo settore.
La legge regionale ci fa capire
che il rapporto tra pubblico e privato va in direzione di una partnership che
non si ferma alla collaborazione di una compravendita di servizi, ma diventa
concertazione continua.
Uno strumento valutativo in grado
di promuovere, assieme agli strumenti di programmazione e gestione,processi di
analisi e di ri-orientamento e miglioramento è senz altro il bilancio
sociale delle attività.
Esso viene definito su più
livelli: il bilancio della vita interna dell’organizzazione o dell’ente, e
quello delle all'esterno.
Il bilancio sociale dà modo di
rendere valutazioni di altri obiettivi come quello ad es. di come dare forme di
occupazione dignitoso e legale a soggetti + svantaggiati, a differenza del
bilancio economico che si rifà al profitto.
le politiche sociali nel POR campania 2007-2013
R.M.
le politiche sociali nel POR campania 2007-2013
Tra le risorse finanziarie per
sostenere il sistema integrato di servizi svolge un ruolo importante i fondi
dell’Unione Europea, indirizzati nei programmi operativi delle diverse regioni
POR.
Quello della campania avviato nel
2000 si è riproposto e sono stati avviati diversi finanziamenti che hanno
inciso sulla realizzazione di strutture sociali e possibili servizi da avviare.
Il POR è stato declinato
attraverso un documento attuativo chiamato Complemento di Programmazione nel
quale vi sono definiti i dettagli organizzativi e gestionali.
Gli obiettivi sono quelli di un
abbattimento della disoccupazione e del disagio sociale, ed è per questo che si
parla di Progetto Integrato per eliminare la frammentazione degli interventi.
Il POR ha individuato diverse
tipologie di progetti integrati :
progetti integrati territoriali,
che integrano diversi settori di intervento dello stesso territorio;
progetti integrati tematici, che
integrano diverse attività riferite allo stesso tema;
piani di zona sociali.
Il nuovo POR 2007-2013 include un
Piano di Zona che risponde alla concentrazione (sede dove si raccoglie il
sistema di interventi); integrazione (le politiche sociali si incrociano con
quelle di sviluppo); concertazione (viene garantito il coinvolgimento dei
diversi attori locali); dove c’è bisogno della legittimazione negli atti di
quanto dichiarato; 52 accordi di programma per ogni ambito territoriale; 550
delibere di consiglio comunale che hanno ratificato l’accordo; 200milioni annui
per la gestione ordinaria di servizi sociali.
La regione campania dpo aver
adottato il documento strategico regionale, ha approvato Programmi Operativi che sono fondi di
finanziamento FSE (fondo sociale europeo) e il FSRE (fondo europeo per lo
sviluppo regionale) suddivisi in Assi.
Il primo il POR-FSE l’asse III
Inclusione Sociale garantisce sostegno a tutti i cittadini in ogni fase del
ciclo di vita, in particolare ai + poveri.
Gli obiettivi operativi sono:
-
sviluppare l’inserimento lavorativo e sociale;
-
sostenere l’azione nelle aree urbane degradate;
-
sostenre l’uscita da condizioni di povertà;
-
contrastare forme di discriminazione;
-
rafforzare la cultura delle pari opportunità;
-
diminuire l’abbandono scolastico;
-
promuovere cittadinanza attiva;
-
promuovere l’inclusione sociale
ci si aspetta da questo asse un
rafforzamento del welfare e inclusione sociale della regione.
Nel secondo invece POR-FERS,
troviamo l’asse III benessere sociale e qualità della vita.
Si affiancano ai due progetti
operativi un paino di sviluppo regionale riservato alle aree rurali in cui sono
previsti servizi essenziali alle persone che vivono in territori rurali e ha lo
scopo di garantire miglioramenti di condizioni di vita e favorire attività
sociali in quelle aree a rischio di emarginazione.
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