Il Servizio Sociale rientra nell'Assistenza Sociale, intendendo quest’ ultima l’insieme delle misure attuate in un sistema di welfare state per garantire ai cittadini di uno stato, il diritto al mantenimento di un minimo tenore di vita.
Mentre la previdenza è tradizionalmente legata allo status professionale, l’assistenza riguarda più genericamente tutti gli individui in condizioni di bisogno, a prescindere dalla loro capacità contributiva.
Un pò di storia...
Fino al XVII sec. in tutto il mondo, l’attività assistenziale era
riservata alle iniziative caritatevoli e di beneficenza a opera di filantropi o
associazioni religiose, non veniva, certo,organizzata dallo Stato, poiché era
la famiglia che doveva prendersi cura dei suoi membri.
Tuttavia l’idea di creare un contesto politico-sociale in cui
stare bene è antica.
Fino alla fine dell’800 lo Stato badava a che non intervenissero turbamenti
esterni tali da impedire il cittadino di poter provvedere alla propria vita nel
miglior modo possibile.
Nelle società di organizzazioni familiari di tipo aggregato,
condizioni sociali sfavorevoli o disuguaglianze venivano compensate dalla
famiglia stessa, il patrimonio era considerato un dato sociale e non
individuale, che serviva al mantenimento di tutta la famiglia, coloro che
perdevano l’accesso a tale rete, esisteva la tutela di tipo religioso.
Il diritto dello Stato di garantire il benessere è un concetto
acquisito da poco, con la rivoluzione industriale emerse la questione sociale,
poiché anche chi aveva un lavoro, gli operai, non riuscivano a ricavare un
reddito sufficiente per uscire dalla miseria.
Dopo i primi interventi legislativi, contro i rischi d’infortunio
e a favore delle donne e dei bambini, fu nella Germania di Bismark a prendere l’avvio lo stato sociale, nella convinzione che il lavoratore ha una funzione
sociale.
Connessioni con la Sociologia...
Una delle discipline che prende in considerazione l’assistenza
sociale e il servizio sociale è la sociologia con i suoi padri fondatori Emile
Durkheim e Marx Weber.
La sociologia è lo studio delle interazioni sociali all'interno dei gruppi e fra gruppi e la sua analisi riguarda gruppi di ordine decrescente
per dimensione e complessità partendo dalle società e includendo dunque anche i
servizi sociali.
Per Durkheim il problema dell’ordine è quel
problema centrale della sociologia, egli individua un nesso tra forme divisione
del lavoro e forme della solidarietà sociale.
Per D. esistono due forme
diverse di solidarietà :
- quella che si genera tra uguali solidarietà meccanica, caratterizza le società, in cui ogni individuo è autosufficiente e si aggrega agli altri in maniera meccanica, senza che incida sulla forza di coesione della comunità.
- e quella che si genera tra diversi solidarietà organica, che si verifica nei sistemi sociali moderni, è caratterizzata dal fatto che ogni individuo svolge in essi una mansione specifica indispensabile per la sopravvivenza di tutti.
Nelle società moderne il
vincolo di solidarietà è di natura interna, è fondato sui nessi
d’interdipendenza tra le varie funzioni e professioni.
Fonti Bibliografiche:
Tra l’altro non sempre la
divisione del lavoro genera solidarietà, ma può condurre anche a condizioni di
anomia ( assenza di norme o disordine normativo) e per far fronte a questo D. invoca
la rivitalizzazione degli ordinamenti delle corporazioni professionali, capaci
di ristabilire vincoli di natura morale.
Per Max Weber oggetto e scopo
delle scienze storico-sociali è la comprensione oggettiva dell’agire sociale,
cioè dotato di senso.
La spiegazione causale
consiste nell'isolare, in una situazione storica determinata, un campo di
possibilità,mostrando le condizioni che hanno reso possibile la decisione, la
sociologia deve costatare i fatti.
Ma la grande teorizzazione di
Weber è quella che pone il conflitto al centro dell’analisi sociale.
A differenza di Marx, per
Weber il conflitto non si riduce alla lotta di classe.
Esse nascono dalla
contrapposizione di interessi economici.
Determinante per stabilire
l’esito del conflitto è quindi il potere di mercato, che dipende dalla capacità
di una classe di monopolizzare l’offerta della risorsa scambiata.
Ma la sfera economica non è
l’unica nella quale si manifesta il conflitto,si collocano anche le sfere della
politica, del diritto, della religione,dell’onore e del prestigio.
I conflitti che si
manifestano in una sfera si ripercuotono e possono estendersi anche alle altre.
Il conflitto è per Weber la
sua condizione normale.
Esso non conduce alla
disgregazione, ma alla creazione di strutture istituzionali (ordinamenti
sociali) che svolgono la funzione di regolazione del conflitto.
Infine in Weber non c’è un
esito finale, il conflitto genera sia ordine sia mutamento.
L’ordine è l’assetto delle
istituzioni che regolano temporaneamente il conflitto;
il mutamento trasforma le
istituzioni esistenti o dà vita a nuove istituzioni.
La società è l’insieme di
istituzioni e conflitti, mentre gli attori sociali si muovono in essa.
uno sguardo verso il futuro...
Secondo alcune teorie
sociologiche il servizio sociale è in gran parte la conseguenza dell’evoluzione
sociale.
Il servizio sociale faceva
parte della nuova società industriale complessa, e la sua funzione è quella di
mitigare gli effetti del disgregarsi della comunità, e nello stesso tempo far
fronte ai cambiamenti sociali e all'adattamento alle nuove condizioni sociali.
Si possono delineare
importanti campi della conoscenza sociologica dai quali derivano i contributi
più fecondi per il servizio sociale.
La prima di
queste aree riguarda i dati di cui gli assistenti sociali hanno bisogno per
comprendere il cliente nel contesto del suo ambiente socio-culturale:
l’influenza della sua famiglia della classe sociale, della cultura,sui suoi
atteggiamenti verso i propri problemi e verso i servizi sociali e le capacità
che offre l’assistente sociale.
La seconda area
d’interesse del servizio sociale è lo sviluppo dei concetti teoretici che
possono aiutare a comprendere l’interazione sociale fra l'utenza.
La terza area è
l’organizzazione formale e informale degli enti che erogano servizio sociale e
gli effetti che queste organizzazioni hanno sulla pratica del servizio sociale.
Alcuni sociologi danno
rilievo al carattere “naturale” del comportamento umano, il pericolo a cui si
trova l’assistente sociale è che egli può riconoscere alla conoscenza che
prende in prestito dalla sociologia, una certezza maggiore e una semplicità
maggiore di quanto non farebbe un sociologo.
Il servizio sociale ha avuto
queste tendenze nei confronti della psicanalisi, le proposte dei sociologi
hanno bisogno di essere trattate con precauzione.
Gli assistenti sociali devono
mettere alla prova da sé se le ipotesi sociologiche sono utili per il loro
problema.
La tendenza di alcune teorie
sociologiche è quella di suggerire che la personalità è quasi completamente il
risultato di un condizionamento ambientale, che non tiene conto l’importanza
delle tendenze biologiche.
Il diritto
Dopo il 1918 il comitato romano estese la sua attività in tutta la nazione e nel 1930 divenne OMARMO. L’ONARMO allo scoppio della guerra continuò la sua assistenza ai lavoratori sia nella fabbriche e sia quando gli operai furono allontanati.
Inoltre s’era evidenziata la necessità di accogliere e di formare i giovani al lavoro, che non avevano possibilità economiche,fu creata una casa di ospitalità per giovani lavoratori che offriva addestramento professionale.
Nel 1974 fu inaugurata la casa della carità per accogliere persone con handicap.
Nel 1993 è stato costruito il villaggio della speranza che ospitava anziani disagiati.
Nel 1996 è stata inaugurata la casa dell’accoglienza che ospitava anziani bisognosi assistiti da persona specializzato.
Nel 1999 è stata inaugurata la casa per ferie BARTOLOMEO DEL MONTE per accogliere i pellegrini.
I principi ed i valori propri del servizio sociale;
Le teorie di scienze sociali affini;
La teorizzazione della prassi,cioè la teoria della pratica del servizio sociale.
Il rispetto della persona,lo sviluppo dell’autonomia ,della personalità,la giustizia sociale,la riservatezza,l’atteggiamento non giudicante sono solo alcuni dei principi e dei valori del servizio sociale.
Gli assistenti sociali,prima degli anni 50,avevano una teoria frammentata basata principalmente sui valori fondanti la professione e dovevano necessariamente operare in larga misura sulla basa di principi di buon senso e sulla base dell’ esperienza maturata nell’aiutare le persone a risolvere le varie problematiche psicosociali.
Successivamente gli assistenti sociali cominciarono a volgere la loro attenzione all’ esperienza pratica come fonte da cui trarre conoscenze.
Questa conoscenza derivante dall’esperienza è definita “sapere professionale”.
Il servizio sociale nella costruzione del corpo teorico si rivolge a fonti esterne,mediche,biologiche,psicologiche,sociologiche.
Generalmente esse sono usate per usate per comprendere e spiegare:
Il comportamento degli utenti;
Le origini sociali del comportamento e dei problemi dell’utente;
L’ambiente sociale in cui vivono;
Le interazioni tra operatore ed utente ;
Nonostante altre professioni usino conoscenze e procedure simili.
La Hollis rifacendosi alle dottrine psicoanalitiche
accettò lo schema studio-diagnosi-trattamento dando molta importanza alla fase
della diagnosi psicosociale.
La Hollis ritiene che attraverso la comunicazione
l’assistente sociale offre empatia,solidarietà,comprensione,inoltre deve
stimolare la modifica del comportamento. Il trattamento,distinto in “diretto”,rivolto all’utente,ed
“indiretto”rivolto all’ambiente.
La
Hollis
ritiene fondamentale anche il lavoro sull’ambiente
In Italia
Il concetto di “assistenza”
in Italia è stato assente fino ai primi anni del novecento ,nonostante fossero
già presenti,tra il 1880 ed il 1886, le problematiche che provocarono l
erosione del tessuto sociale e delle reti di solidarietà sociale e familiare.
Le condizioni della popolazione del mezzogiorno cominciarono ad essere
denunciate e per esse si richiedeva l intervento dello Stato. Le funzioni di
assistenza continuarono ad essere svolte maggiormente da istituzioni per lo più
religiose,mentre lo Stato garantiva un’ assistenza limitata ad interventi di ricovero in casi di
indigenza e,dal 1904,anno in cui furono istituiti i manicomi,alla reclusione
dei soggetti considerati malati di mente nelle strutture manicomiali.
Lo Stato
considerava la funzione sociale dell’ assistenza, come provvedimenti atti a
contenere le problematiche sociali con una logica di controllo attraverso l’
istituzionalizzazione, in modo da mantenere un ordine sociale più che mettere in
atto provvedimenti volti ad eliminare il disagio sociale,la povertà o le altre
problematiche sociali.
Lo Stato interveniva solo
dopo che le altre istituzioni di beneficenza e le congregazioni di carità erano
intervenute nei confronti del cittadino in difficoltà, poiché era insita nella
cultura sociale che assistenza e beneficenza fossero connessi con lo spirito di
solidarietà dell’uomo verso i propri simili.
Il ruolo della Chiesa
La
religione Cristiana pone nell'amore e nella solidarietà verso il prossimo uno
dei suoi cardini fondamentali. Sorsero,cosi,per opera di ordini monastici le
Opere di Misericordia e le opere Pie che curavano l’ospitalità dei
viandanti,l’assistenza agli infermi,alle vedove,agli orfani ed agli ammalarti.
La civiltà ebrea si caratterizzava per l’assistenza di emarginazione,le uniche
persone poste in isolamenti erano i lebbrosi. La civiltà greca e la civiltà
romana presentavano istituti e modalità assistenziali come la limitazione del
vagabondaggio ed il mantenimento della pace sociale,anche se queste istituzioni
erano sorte per scopi politici.
La
cultura medioevale obbligava i proprietari ad aiutare i bisognosi e su ciò
fondava la teoria della solidarietà sociale,garantendo ai poveri il
sostentamento da parte della collettività. L’assistenza ai poveri non era un
diritto ,ma si fondava sul concetto di carità. Il povero doveva essere aiutato
con le ricchezze in eccesso,nessuno si privava del necessario,ma il superfluo
era condiviso con gli altri,questa teoria viene definita della “ricchezza superflua”.
Prima della conversione di
Costantino,solo la chiesa,offriva l’aiuto pratico a sopportare le miserie della
vita. Dopo la conversione di Costantino la chiesa divenne religione di Stato e
diffuse i suoi principi ispiratori,l’amore e la carità,intesi come uguaglianza
tra gli uomini ed unione con Cristo. Si crearono,condizioni vantaggiose per
svolgere l’attività caritativa,i suoi possedimenti divennero legali e le
proprietà crebbero a dismisura grazie alle numerose donazioni. Costantino poco
prima di morire ,donò alla chiesa il palazzo del Laterano ,perché diventasse un
centro di carità,preposto sia alla distribuzione di danaro e di viveri che alla
raccolta delle offerte per i poveri. Iniziò cosi la collaborazione della chiesa
con gli organi politici ed amministrativi dello Stato,portando la chiesa a
svolgere funzioni di supplenza del potere pubblico. Cominciarono a sorgere
istituzioni specifiche,come asili ed ospizi,l’attività ecclesiastica assunse la
caratteristica di un vero e proprio fenomeno sociale. Aiutare i poveri divenne
il principale compito di monasteri,conventi ed abbazie ,che fornivano
protezione ,elemosina ,cibo e vestiti,ma non veniva fatto nulla per cambiare le
condizioni sociali del povero affinché tornasse ad essere autosufficiente. La
prima forma di organizzazione nel segno della carità cristiana fu l’istituzione
monastica di San Benedetto,ispirata alla regola dell’ospitalità “aperta a
tutti”. L’organizzazione dell’assistenza iniziò con San Gregorio Magno il quale
affermava che la carità cristiana è una virtù sociale. Quando egli divenne
pontefice,con il nome di GREGORIO 1,indirizzò ai bisognosi viveri e
l’ospitalità a turno ogni giorno nella mensa pontificia. Durante tutto il medio
evo i funerali dei sovrani e poi anche dei cittadini ricchi,oltre all'elemosina,includeva lasciti a favore della chiesa come forma di redenzione dai peccati della vita temporale. I fedeli venivano esortati ad esercitare la
carità con discrezione,era loro proibito ospitare un mendicante.
Successivamente furono divisi i poveri veri da quelli falsi, le leggi verso i
vagabondi volontari divennero rigide,i quali venivano fustigati e poi impiegati
per lavori pesanti,alimentati solo con pane e acqua. Nessuno si rese conto che
la soluzione della mendicità era nella modifica della struttura sociale ed economica.
Nella lettura del 1500 i
mendicanti e i vagabondi erano visti come una minaccia all'ordine morale che
furono obbligati ad indossare il distintivo di mendicante questo fu il primo
passo verso la stigmatizzazione pubblica. I poveri erano ormai diventati un
elemento di disturbo del tessuto sociale a cui si trovò rimedio attraverso la
loro rieducazione ad il forzato avviamento al lavoro,fu cosi incentivato l’uso
di pene ai lavori forzati in modo da utilizzare forza-lavoro a costo
bassissimo. L’ esigenza di un’assistenza pubblica fu avvertita come una
necessità,la soluzione più adatta sembrò essere “la segregazione del povero” e
il 1656 fu detto anno “del grande internamento”,iniziò quella che viene
chiamata la secolarizzazione dell’assistenza,il principio ispiratore venne
enunciato da Carlo di Borbone nel 1751 in occasione della fondazione del
“generale albergo dei poveri”a Napoli: “qual
zelo che nutre il nostro real animo per la maggior felicità dello stato”.
Mentre l’età medioevale fu
principalmente l’epoca della carità,l’età moderna fu quella della beneficenza e
dell’assistenza. La carità cristiana presentava sicuramente dei meriti,ma anche
numerose criticità perché si tendeva a porre rimedi immediati ai mali che
affliggevano gli uomini senza preoccuparsi delle cause che li ponevano in
essere e senza progettare alcun piano d’azione.
Il diritto all'assistenza
Uno dei primi teorizzatori
“dei diritti del cittadino” fu Jean Jacques Rousseau ,il quale affermò che gli
uomini nascono liberi ed uguali, che soltanto il costituirsi della proprietà
privata forma nella società la disuguaglianza e l’asservimento dei poveri ai
ricchi e che la soluzione a ciò non è la distruzione della proprietà privata
,ma l’istituzione di uno stato garante della libertà e dell’uguaglianza.
Nel tardo ‘700, inseguito
alla rivoluzione francese ,si diffuse in Europa il diritto dei poveri di non
dover essere più affidati alle cure dei privati,ma alle cure dello stato che
avrebbe dovuto garantire loro assistenza. Cominciò cosi a delinearsi un nuovo
concetto,quello della “prevenzione della povertà”. Emerse inoltre il concetto
di “ carità legale” sostenuto da Cavour,
dove il povero diviene soggetto di diritto.
Dopo l’avvento dell’unificazione,l’Italia
si trovò in un momento molto difficile con enormi problemi che favorirono la
diffusione del brigantaggio,una vera e propria guerra sociale,messa in atto dai
contadini per le gravi condizioni e come risposta alle imposizioni del nuovo
stato nascente. L’unica via di soluzione per molti fu l’emigrazione. Il giovane
Stato per risanare le imponenti difficoltà promulgò una serie di riforme,creò
le prime e necessarie sovrastrutture ,e pareggiò il bilancio economico. Il
grave ritardo nel processo di unificazione determinò nelle varie regioni una
notevole differenza sia dalle condizioni di vita che delle condizioni
assistenziali e previdenziali.
A tal proposito fu varata una blanda
legislazione finalizzata al controllo delle istituzioni,ma non fu mai varata
una legge che organizzasse tutte le strutture assistenziali ,questo è il motivo
per il quale ancora oggi nel nostro stato vi è un panorama complicatissimo di
strutture assistenziali,le quali coesistono una affianco all'altra spesso
sovrapponendosi.
Il periodo della ricostruzione
Prima dell’influenza americana gli aspetti
metodologici,del servizio sociale si basava su 3 cardini:
La responsabilità dell’impegno civile,era inteso come personale
partecipazione e promozione per creare una società giusta.La centralità della persona,fino agli anni 45-50 chi si occupava delle
persone metteva al primo posto il bisogno della persona,ora il criterio si
rovescia al primo posto c è la persona,la fiducia nelle sue risorse,il suo
inconscio,la sua intelligenza,la sua volontà e le sue finalità.Il rigore scientifico della formazione,secondo Vallini nel 1944 a Milano fondo una
scuola per assistenti sociali,fondata su:scientificità delle
conoscenze teoriche; rigorosità nell’
acquisizione della metodologia; impegno etico fondato nel
rispetto delle opinioni di ciascuno.
Verso la fine del 1945
nascono le prime scuole per assistenti sociali:ONARMO(opera nazionale
assistenza religiosa morale).
Nel 1947 si formerà l’ ENSISS(ente nazionale
scuole italiane servizio sociale) sul versante cattolico sempre nel 1946 nasce
la scuola per assistenti sociali del lavoro finanziato da organismi
pubblici,quali INAM,INPS,INA e da privati,nel 1947 si trasformerà in
UNSAS(unione nazionale per le scuole di assistenza sociale)a Roma nasce il
CEPAS legato all’ UNSAS.
L’ONARMO
L’ONARMO nasce in realtà nel 1922 ,la sua opera iniziò nel settore del lavoro in quanto in questo campo i problemi erano ignorati dalle classi imprenditoriali,inoltre,fondò l’assistenza religiosa degli immigrati all’estero che prestava assistenza preventiva,ospitalità agli emigrati.Dopo il 1918 il comitato romano estese la sua attività in tutta la nazione e nel 1930 divenne OMARMO. L’ONARMO allo scoppio della guerra continuò la sua assistenza ai lavoratori sia nella fabbriche e sia quando gli operai furono allontanati.
Inoltre s’era evidenziata la necessità di accogliere e di formare i giovani al lavoro, che non avevano possibilità economiche,fu creata una casa di ospitalità per giovani lavoratori che offriva addestramento professionale.
Nel 1974 fu inaugurata la casa della carità per accogliere persone con handicap.
Nel 1993 è stato costruito il villaggio della speranza che ospitava anziani disagiati.
Nel 1996 è stata inaugurata la casa dell’accoglienza che ospitava anziani bisognosi assistiti da persona specializzato.
Nel 1999 è stata inaugurata la casa per ferie BARTOLOMEO DEL MONTE per accogliere i pellegrini.
Esigenze di una qualifica professionale
Il fiorire delle varie scuole è nato dall’esigenza di persone che volevano qualificarsi maggiormente. Nel 45 nasce a Roma grazie alla dott.ssa Dalmatica prima scuola con un piano di studi centrato sul problema del lavoro,della previdenza sociale,dell’infortunistica,del diritto del lavoro e sindacale.Nel 46 si organizzò un convegno nazionale di studi sull’assistenza sociale composto da UNRRA,ONMI,CROCE ROSSA ITALIANA,PONTIFICIA COMMISSIONE SI ASSISTENZA,ORDINE DI MALTA. In questo convegno si discusse di varie tematiche tra cui l’assistenza sociale pubblica ,lo sviluppo legislativo,il mondo del lavoro,l’assistenza ai minori,il ruolo del servizio sociale,la formazione ed il riconoscimento giuridico del titolo.Modelli Teorici di riferimento del servizio sociale
La storia del servizio sociale riconosce agli anni 70 la
grande diffusione dei modelli teorici.Questi modelli,hanno la funzione di
aiutare ed indirizzare l’analisi,la descrizione e l’interpretazione della
realtà in modo da guidare l’intervento.
Reid ed Epstein definiscono i modelli
teorici “un insieme di direttive che stabiliscono come essere condotta
un’azione”.
Nel
passato la teoria del servizio sociale si presentava sotto-forma di frammenti
teorici e di concetti legati alle varie aree operative,ma oggi è accresciuta
l’esigenza di costruire un proprio corpo teorico.
Il
servizio sociale,è partecipe delle difficoltà inerenti la complessa natura del
comportamento umano,quindi vi è bisogno di una ricerca teorica che guidi la
pratica.
Il termine
“MODELLO” è definito come “un oggetto o termine atto a fornire un conveniente
schema di punti di riferimento ai fini della
riproduzione,dell’imitazione,talvolta dell’emulazione”.
Questa definizione mette in risalto come il modello nel
servizio sociale possa porsi come pratica professionale,i cui contenuti possano
essere riproducibili,trasmissibili e sottoponibili a verifica.
Il termine “teoria” può essere definito “una
formulazione sistematica di principi generali relativi ad una scienza ,arte o
branca del sapere,e di deduzioni che a tali principi si possono ricavare per
via puramente logica”.
Metodologia di servizio sociale
Nel formulazione dei modelli teorici del servizio sociale incidono alcune variabili come:I principi ed i valori propri del servizio sociale;
Le teorie di scienze sociali affini;
La teorizzazione della prassi,cioè la teoria della pratica del servizio sociale.
Il rispetto della persona,lo sviluppo dell’autonomia ,della personalità,la giustizia sociale,la riservatezza,l’atteggiamento non giudicante sono solo alcuni dei principi e dei valori del servizio sociale.
Gli assistenti sociali,prima degli anni 50,avevano una teoria frammentata basata principalmente sui valori fondanti la professione e dovevano necessariamente operare in larga misura sulla basa di principi di buon senso e sulla base dell’ esperienza maturata nell’aiutare le persone a risolvere le varie problematiche psicosociali.
Successivamente gli assistenti sociali cominciarono a volgere la loro attenzione all’ esperienza pratica come fonte da cui trarre conoscenze.
Questa conoscenza derivante dall’esperienza è definita “sapere professionale”.
Il servizio sociale nella costruzione del corpo teorico si rivolge a fonti esterne,mediche,biologiche,psicologiche,sociologiche.
Generalmente esse sono usate per usate per comprendere e spiegare:
Il comportamento degli utenti;
Le origini sociali del comportamento e dei problemi dell’utente;
L’ambiente sociale in cui vivono;
Le interazioni tra operatore ed utente ;
Nonostante altre professioni usino conoscenze e procedure simili.
Quando gli assistenti sociali trovavano sicurezza
in una teoria si concentravano prevalentemente su di essa fino a quando non ce
ne constatavano i limiti.
Nello sviluppo dei modelli
teorici possiamo distinguere due fasi: la prima fase dominata dal
modello medico studio-diagnosi-trattamento,che dava luogo a interventi
frammentari la seconda fase seguita alla teoria dei sistemi.
Nella prima fase il servizio
sociale opera nella logica della cura e del contenimento ,i problemi sono il
risultato o meglio l’effetto di una causa originale che deve essere rimossa per
permettere al soggetto l’adattamento a norme condivise. In questa prima fase
vengono utilizzati contributi teorici,provenienti dalle teorie neofreudiane e
del comportamentismo.
Nella seconda fase si passa
da una sequenza lineare della causa-effetto alla complessità sistematica,in cui
un problema viene definito sulla base di variabili diverse ed interagenti.
L’utente è considerato un
insieme di parti integranti ,di variabili individuali,ambientali,interagenti
tra loro e con altri sistemi di cui l’utente fa parte. Il concetto di sistema
può essere applicato al caso individuale,al gruppo,alla comunità,si ha cosi il
superamento della classica tripartizione.
Possiamo
definire il convegno di Verona del 1985,il simbolo del passaggio tra i due
scenari,nel secolo dei quali l’attenzione al metodo viene particolarmente
enfatizzata,diffondendo l’interesse,lo studio e la sperimentazione di alcuni
modelli.
Il sapere del Servizio Sociale
Con l’ordinamento delle
scuole di servizio sociale ai fini speciali e il decreto n°14/87 si ebbe il
riconoscimento giuridico e la legittimazione istituzionale e culturale del
servizio sociale.
Si forma,dunque, una disciplina destinata ad essere
insegnata.
In Italia si elabora un processo teorico che si
fonda su due linee principali:
·Ipotesi esplicative, finalizzate alla comprensione del problema sul quale motivare e
fondare l’intervento.
·Ipotesi operative, finalizzate all’intervento nei confronti di situazioni di bisogno.
Il sapere dell’assistente sociale è un insieme di saperi
che consento ad elaborare giusti interventi, egli attinge a veri e propri
orientamenti sia in termini socio-culturali che politico-sciali e
tecnico-scientifici.
Il percorso socio-culturale è stato caratterizzato
nella società italiana dal processo di modernizzazione che ha modificato il
sistema dei valori.
All’inizio la professione era caratterizzata da due
orientamenti, uno legato all’esperienza cattolica e l’altro a quella
laico-progressista, i quali si sono fusi e si è avuto la laicizzazione del
servizio sociale.
Molte scuole hanno rinunciato a perseguire un
progetto formativo e hanno lasciato i docenti la libera scelta
dell’orientamento formativo, ma lo sviluppo metodologico si appiattisce in
relazione alle nuove ideologie dominanti e gli assistenti sociali si sentono
privi di identità, poiché vedono la risoluzione delle problematiche umane solo
in relazione allo sviluppo,alle constatazioni e alle riforme.
Il percorso politico-sociale è legato al Welfare
State che da previdenziale-residuale si è trasformato in istituzionale.
L’affermazione del modello previdenziale-residuale
era sostenuto dalla convinzione che le
problematiche sociali sarebbero state risolte con lo sviluppo economico e con
il riconoscimento del principio di eguaglianza sostanziale, cioè l’uguaglianza
di pari opportunità e di pari condizioni di partenza, che consentisse a tutti
l’ascesa sociale.
Ma la distinzione tra bisogni ricchi e poveri
portarono gli assistenti sociali a sottolineare la dimensione merito-cratica e
l’impegno individuale.
Le riforme del ’70 erano caratterizzate dal fatto
che tutti i bisogni sono rilevanti davanti alla politica sociale e inoltre il
cittadino deve poter disporre di reddito e stile di vita al pari degli altri.
Tali orientamenti di politica sociale hanno influito
sul metodo degli assistenti sociali, i quali abbandonarono l’intervento
individuale e si trovò soluzione con l’offerta istituzionale e con
l’organizzazione dei servizi che ciascun ente poneva in essere per rispondere alle
istanze dei cittadini.
Tuttavia con la crisi del Welfare State si ha avuto,
finalmente, il riconoscimento di altri gruppi a tutela dei bisogni del
cittadino oltre lo stato e la valorizzazione del volontariato e del terzo
settore, sollecitando i giusti modelli di intervento.
Il percorso tecnico-scientifico è legato
all’influenza delle scienze umane e sociali quali le discipline medico-sociali,
la psicologia, la psicanalisi, la sociologia e l’economia.
Queste scienze quantunque sono state fondamentali
per la professionalizzazione del servizio sociali, hanno evocato la tendenza
alla scientificità dell’oggetto, l’uomo, e alla prevedibilità del reale e
conseguire l’azione sulla logica della conoscenza.
Proprio la ricerca alla legittimazione scientifica
ha fatto dimenticare agli assistenti sociali la propria fonte di conoscenza che
è l’impatto con la realtà, che ha conseguito l’elaborazione dell’esperienza da
cui gli operatori attingono.
Al termine della seconda guerra mondiale si impose
l’urgenza di organizzare aiuti internazionali,ma l’Italia non disponeva di
assistenti sociali, così sorsero numerose scuole per assistenti sociali senza
riconoscimento giuridico e con orientamenti ideologici diversi.
Dagli anni ’50 inizia un processo di importazione di
discipline professionali e di metodi del servizio sociale, già diffuse negli
altri paesi.
L’AAI (associazione aiuti internazionali) finanziò
la costruzione di scuole di servizio sociale e al coordinamento di programmi
attraverso attività di traduzione, viaggi di studio ecc..
Tramite l’AAI arrivarono in Italia diversi esperti
del servizio sociale con lo scopo di formare docenti delle nuove metodologie.
Dopo i corsi tenuti da Miss King, viene inserito
nella didattica insegnamento del Case-Work,che porta alla rivalutazione della
relazione umana che diventa determinante nell’intervento.
Successivamente con Dorotea Sullivan si introduce un
altro modello, il Group-Work, metodo applicabile ai gruppi di persone
accomunate da un problema, e consente competenze e capacità decisorie
attraverso una maturazione collettiva.
Percorso metodologico
Il case-work ha permesso alla professione di uscire dal
moralismo, stabilendo il legame tra utente ed istituzione, e rivalutando la
relazione come fattore importante per l’intervento.
Tuttavia il case-work viene ritenuto troppo
psicologico poiché è influenzato da teorie freudiane e quindi la relazione
paziente-terapeuta diveniva strumento di lavoro tralasciando le fondamentali
interrelazioni tra individuo e ambiente.
D’altra parte il case- work, diventato tecnica
propria della professione, rendeva il servizio sociale un processo di tipo
scientifico.
Fino alla seconda guerra mondiale il case-work era
limitato alla registrazione dei casi che venivano teorizzati e la loro validità
era data da chi aveva condotto il caso, senza una struttura di riferimento con
la quale spiegare e organizzare i concetti.
Negli Stati Uniti la teoria psicanalitica, forniva
una teoria razionale e strutturata per spiegare i comportamenti dell’uomo, così
molti docenti di case-work incominciarono ad insegnare i principi della
psicanalisi.
Successivamente l’impronta psicanalitica sfocia in
due approcci : quello diagnostico e quello funzionale.
La scuola diagnostica , fondata da Mary Richmond si
basava sulla concezione del comportamento, la condizione attuale dell’individuo
era data da eventi causali avvenuti nei primi anni di vita, e il modello
d’intervento utilizzato dalla scuola diagnostica era medico:
studio-diagnosi-trattamento.
La scuola funzionale, invece, si basava sulla teoria
della personalità di Otto Rank, affermando che la forza del cambiamento
risiedeva nell’uomo ed il compito del terapeuta era di rafforzare la volontà
attraverso la relazione d’aiuto.
In Italia l’introduzione del case-work diede,agli
assistenti sociali, una terminologia medica più ricca, ma il contesto storico
in cui si sviluppò il case-work, risentì del processo di trasformazione dovuto
dalle riforme della Chiesa attuate da Giovanni XXIII,dal crollo dello
stanilismo con la denuncia dei crimini di Stalin, dalle insurrezioni
dell’Ungheria e della Polonia, dalla fine del colonialismo e all’entrata delle
ex-colonie ed infine dallo sviluppo tecnologico e scientifico; fattori
convergenti nella promozione del cambiamento di idee che maturò negli anni ’60
ed investì relazioni sociali e le menti dei singoli individui.
Quindi gli assistenti sociali ricercarono una nuova
definizione del loro ruolo individuandosi come “agente di cambiamento” nel
processo di sviluppo, così l’assistente sociale si orientò verso le dinamiche
del gruppo.
“Un gruppo sociale è costituito da un certo numero di
persone che interagiscono l’un con l’altro con regolarità”.
Già
Cooley nel 1909 fece una distinzione tra gruppi primari e gruppi secondari, i
primi hanno una relazione diretta che si esprime in unitarietà, i secondi sono
rappresentati da scambi indiretti, ogni membro vi appartiene per il suo fine
oggettivo e per il suo ruolo. Si diffusero contemporaneamente i lavori di Lewin
sulle dinamiche di gruppo e sulla nozione di “campo” secondo cui “il
comportamento di un soggetto è il risultato di una particolare distribuzione
delle forze del suo ambiente in un determinato momento”. Se l’operatore conosce
le proprietà del campo può dedurre il comportamento del soggetto e viceversa.
Lo
studio della dinamica dei gruppi sociali comincia a prendere il posto del
case-work.
Il
lavoro dell’assistente sociale era focalizzato sulle dinamiche interne al
gruppo,ma la sua attenzione si spostò alla comunità, in quanto la risoluzione
di alcune problematiche non poteva essere circoscritta solo al gruppo poiché
investiva l’intera comunità, come accadeva per la tossicodipendenza.
Le
prime realizzazioni di lavoro di comunità, in Italia, tesero allo sviluppo
economico e sociale e il metodo con cui si acquisisce consapevolezza dei
problemi ponendo in essere soluzioni e risorse necessarie è definito
“Organizzazione della Comunità”.
Questo
metodo favorì la formazione di cooperative e la promozione dello sviluppo,
conducendo al miglioramento delle condizioni di vita in Italia.
Ma
furono introdotti altri metodi relativi all’amministrazione e organizzazione
dei servizi e metodi volta alla ricerca applicata ai servizi.
La
ricerca applicata al servizio sociale rimarrà per lungo nell’insegnamento
didattico, ma nella pratica è stato agito solo come partecipazione a ricerche
di altre discipline.
Mentre
i metodi relativi all’amministrazione e all’organizzazione non furono mai
accettati, in quanto era ritenuti mansioni non destinate a questa professione.
Se
il case-work era ritenuto troppo psicologico, il group-work, inizialmente
accettato,incontrò difficoltà di diffusione per la diversa concezione di vita
associativa, relativa al periodo fascista,alla rigida visione della famiglia e
dei ruolo al suo interno per l’elevato anafalbetismo.
Ma
rimase un insegnamento nelle scuole con finalità educative.
Il
community-work si rilevò anch’esso poco utilizzabile per mancanza di cultura e
tradizione comunitari.
Metodo come mezzo e non fine a sé
Si
può ritenere il metodo un percorso che, articolato secondo un procedere
razionale, conduce al raggiungimento degli obiettivi predefiniti, quindi un
mezzo non fine a sé.
Esso
si riferisce ad un operare basato su:
L’assunzione di valori e conoscenze scientifiche sul come fare;
La definizione di scelte, che costituiscono le mete da raggiungere;
La concatenazione logica delle operazioni e la predisposizione dei
relativi strumenti;
La riflessione sulle esperienze condotte che porta all’evoluzione della metodologia.
Nel
lavoro sociale il procedimento metodologico è di tipo induttivo, perché parte
dell’analisi del fenomeno sociale per giungere a conclusioni generali che
servono a descrivere il fenomeno e formulare ipotesi,inoltre esso è operativo
perché il suo obiettivo è il cambiamento di una situazione problematica, sia
essa individuale, collettiva o gruppale.
Il
metodo nel servizio sociale segue lo schema “prassi-teoria-prassi”,
l’assistente sociale non può trattare gli individui o situazioni avviando un
processo alla ricerca di leggi generali, ma può solo circoscrivere l’azione e
il suo intervento deve agire sul soggetto e suo ambiente di vita.
Metodo Unitario
una
concezione unitaria dell’apparato metodologico dell’assistente sociale comincia
a delinearsi in Italia negli anni ’70.
La
condizione di dipendenza dalle istituzioni ed il difficile riconoscimento
sociale, impedivano l’autonomia professionale.
L’assistente
sociale aveva sempre una posizione marginale rispetto alle altre professioni.
Il
nuovo metodo doveva essere costruito su alcuni assi:
Unitarietà e Trasversalità dell’intervento: l’assistente sociale deve
poter intrecciare nella sua azione interventi per la persona, per
l’organizzazione e per il territorio.
Una cultura delle risorse: considerate sia come chiave della realtà sociale ma
anche come fattori da recuperare e collegare.
Il riconoscimento della persona nelle sue potenzialità e
nei suoi diritti.
Il
servizio sociale ha così acquisito:
Territorialità: nel senso che il servizio sociale deve rappresentare il
punto di riferimento dei bisogni e delle esigenze della comunità;
Plurifunzionalità: l’assistente sociale è il professionista su cui l’ente
locale conta sia per progettare ed attuare azioni di aiuto, sia per attuare
studi e ricerche.
Generalità: intesa sia alla generalità degli utenti e dei problemi, che alla
generalità di interventi e prestazioni richieste.
Si
sancisce con il D.M. 30 aprile 1985, che stabilì l’ordinamento didattico
nazionale delle scuole di servizio sociale denominato “metodi e tecniche de
servizio sociale”.
L’assistente
sociale per svolgere il suo ruolo deve conoscere il linguaggio dell’utente e
delle istituzioni, raccogliere nella domanda gli elementi della problematicità
e delle risorse.
Il
ruolo dell’assistente sociale deve dar luogo ad una azione conoscitiva del
contesto.
Il
servizio sociale è una scienza teorico-pratica in quanto si propone di
intervenire intenzionalmente per modificare le situazioni problematiche e il
suo oggetto è la persona in relazione con gli altri.
Il
modello d’intervento vede l’assistente sociale come “agente di cambiamento” e
questo termine sostituisce i termini cura, prevenzione e promozione del modello
medico.
L’operatore
e l’utente sono solo alcuni elementi del processo, gli altri sono l’ente, il
gruppo, la famiglia o altri soggetti e la comunità.
Mentre
nel modello medico ci si concentra sulla patologia e sul trattamento, nel
modello d’intervento l’obiettivo è usare le risorse del cliente per sviluppare
le sue potenzialità, solo così attuerà il cambiamento.
Per
raggiungere l’obiettivo dalle tappe classiche del modello operativo
studio-diagnosi-trattamento, si è giunti ad una articolazione più ricca che può
essere divisa in:
Fase
conoscitivo-descritta:da percorrere con l’utente;
Fase
valutativo-decisionale: in cui si cerca di formulare con l’utente,gruppo,o
collettività, un progetto d’intervento;
Fase
attuativa del progetto;
Fase
della verifica e conclusione.
Si
può affermare che il percorso logico del metodo del servizio sociale è UNICO,
ma sono necessariamente diverse le attività di ogni fase del processo.
Gli
elementi che possono comportare una diversa modalità operativa sono:
·l’oggetto di studio e d’intervento;
·gli obiettivi da raggiungere;
·gli interlocutori a cui si rivolge.
L’assistente
sociale deve porre in essere azioni basate sui valori e sugli atteggiamenti
della professione, come il riconoscimento del valore dell’uomo e della sua
dignità, la sua autonomia, la sua capacità di responsabilità e di autodeterminazione.
Inoltre i valori della democrazia,come la partecipazione
al bene comune ed il rispetto della libertà,sono i valori su cui il servizio
sociale ha costruito il proprio deontologico.
Breve sintesi dei modelli teorici del servizio sociale...
Il significato del termine modello
Nelle scienze
sociali,il modello è inteso come l’insieme di assunti fondamentali per
delimitare ciò che è più rilevante.
Per INKELES è uno
strumento necessario all’indagine,che mette in rilievo certi problemi,la sua
funzione è strumentale,orientativa e eucaristica,utile a favorire la scoperta
di nuovi risultati.
L’assistente
sociale si rifà alle basi teoriche delle scienze sociali. La teoria è in parte
descrittiva(descrivere e spiegare un particolare universo) ed in parte
operativa,cioè tratta di problemi reali.
Gli autori
anglosassoni definiscono:
la teoria della
pratica come sapere che si ricava dalla descrizione e dalla interpretazione dei
fatti della realtà operativa;
la teoria per la
pratica:le conoscenze con cui si costruiscono modelli di analisi e di
intervento per la pratica attraverso un confronto con le teorie che descrivono
un fenomeno.
L’assistente
sociale deve aver chiaro in basa a quali
presupposti teorici opera e come certi interventi possano ottenere determinati
risultati in base ad un preciso rapporto logico tra le variabili. L’assistente
sociale ha cercato di elaborare dei modelli per la pratica,compiendo una
mediazione tra le scienze sociali e a propria prassi.
Negli anni 20 si
accentuò lo studio della personalità umana,l’elemento centrale era costituito
dalla diagnosi psicologica della personalità.
Negli anni 40 e
60 si riconoscono alla persona una serie di potenzialità da sviluppare nel
proprio ambiente familiare e sociale. Successivamente si giunge ai modelli
elaborati dalla scuola diagnostica ed al modello del PROBLEM-SOLVING.
Il modello psicosociale della Hollis
Questo modello fa
parte del filone della scuola diagnostica.
La valutazione
della personalità come dato centrale,la possibilità di trovare nell’utente quelle
risorse che gli permettono di uscire dalla situazione problematica attraverso
il trattamento dei conflitti intrapsichici.
La partecipazione
dell’utente deve essere resa sempre più attiva in modo che non diventi un
oggetto di studio ed analisi. Lo schema medico studio-diagnosi-trattamento ha
lo scopo di aiutare l’utente a comprendere i suoi sentimenti,i suoi pensieri,le
sue ansie,le sue emozioni,ricercando le cause originarie. Il concetto base è
recuperare e riequilibrare il rapporto tra l’individuo e la sua situazione
sociale,focalizzandosi sui comportamenti difensivi dell’io ,come la fuga la
proiezione,la rimozione.
La diagnosi
spiegava la natura del problema e prescriveva i modi e gli obiettivi
particolari del trattamento. L’oggetto di intervento è l’individuo nel suo
contesto ambientale. Hollis dice:
“il principale
sistema verso il quale si rivolgono la diagnosi ed il trattamento è costituito
dalla Gestalt o configurazione della persona nella situazione. L’ individuo da
aiutare deve essere visto nelle sue interazioni o transazioni con il modello
esterno. Talvolta è il sistema famiglia stesso ad essere visto come utente”.
Il servizio
sociale si pone l’obiettivo di eliminare le percezioni erronee che l’utente può
avere sia di sé che della situazione e che provocano una risposta
inappropriata.
Le tecniche di
comunicazione interpersonale fondamentali nella relazione utente –assistente
sociale sono l’elemento centrale del trattamento.
Tra i trattamenti
diretti la Hollis
evidenzia:
Il
sostegno con atteggiamenti di comprensione,rassicurazione e fiducia.
L’influenza
diretta,informazioni ed indicazioni che permettono all’utente di poter fare le
sue scelte in modo chiaro.
La
catarsi che è la manifestazione dei propri sentimenti,negativi o positivi senza
porre in essere alcuna valutazione o giudizio.
dell’utente che può essere
realizzato su due livelli:
- agendo
sulle persone significative dell’ambiente dell’utente
- predisponendo
risorse e servizi a beneficio dell’utente.
Modello funzionale
Sempre nel filone
psico-sociale è il modello funzionale di Otto Rank vede le problematiche
dell’individuo non come risultato di eventi dell’infanzia,ma come originate
dalla continua tensione tra il desiderio di realizzare la propria individualità
verso la propria crescita ed il desiderio di rimanere psicologicamente legato
ad altri,quindi originate dal ritrarsi di fronte alla crescita ed al
cambiamento. Questa tensione è rappresentata dal distacco della nascita tra il
bambino e la madre. L’operatore deve rafforzare ed azionare la volontà
attraverso la relazione d’aiuto. L’aiuto deve essere “hic et nunc” qui ed ora e
non agli eventi passati.
Questo
modello,aveva una visione positiva dell’umanità,ritenendola costituita da
individui razionali ed artefici della propria vita. Il cambiamento era
possibile anche per l’azione dell’assistente sociale nella relazione che
sollecitava il potenziale latente nel soggetto permettendogli di esprimere al
massimo le sue capacità. Il processo d’aiuto non si riferiva al paradigma
medico studio-diagnosi-trattamento
secondo il quale la cura non deriva dallo sradicamento dei fattori
causali ma dalla stessa esperienza della relazione d’aiuto. I funzionalismi
ritengono importante la funzione dell’ente,come intermediario tra i bisogni
dell’utente e la società con le sue istanze,sollecitano l’assistente sociale
affinché rifletta sulle potenzialità presenti nel processo d’aiuto,sia in
relazione alla tipologia di contratto,sia in rapporto agli obiettivi posti ed
alle difficoltà dell’utente.
Modello problem solving
Il modello
“centrato sulla soluzione del problema” di H.Perlman parte dalla considerazione
che gli uomini in tutta la loro vita si trovano sempre e quotidianamente di
fronte a problemi da risolvere. La persona è costantemente in una sorta di
“colloquio interno” con se stesso,tesa ad evidenziare le cause dei problemi o
delle difficoltà,ed a valutare le
eventuali soluzioni,decidendo per quella ritenuta più giusta. Quando la
persona è esaurita ,svuotata,quando non riesce a vedere oggettivamente la
realtà,né a controllare le emozioni,il colloquio interno può interrompersi per
scarsa comprensione del problema o per mancanza di risorse.
L’obiettivo del
problem solving è rafforzare le risorse interne dell’utente aiutandolo a
lavorare sui sentimenti,sugli atteggiamenti,sui comportamenti,sollecitando la
produzione di idee. La
Perlman
evidenzia la possibilità dell’utente nella relazione di “prendere in prestito
la forza dell’assistente sociale”. Il processo di aiuto deve permettere di
mitigare l’ansia,di trasformare i dubbi in chiarezza e certezza. È un processo
è un processo di apprendimento sociale che consente di apprendere un
comportamento più adeguato alle problematiche esistenziali. La Perlman ritiene
fondamentali tre operazioni:
- i
fatti devono essere accertati,chiariti e per fatti si intende tutto ciò che
circonda il soggetto;
- i
fatti devono essere ripensati, riesaminati, approfonditi, riorganizzati;
- la
decisione cioè scegliere tra le varie soluzioni quella che si ritiene più
adatta.
Si da importanza
al concetto di “ status” e di “ruolo”,la Perlman afferma che: “l’essere ed il divenire del comportamento di
una persona sono modellati e guidati dalle aspettative che le persone e la loro
cultura hanno conferito allo status ed ai principali ruoli sociali ad esso
inerenti”.
I meccanismi di
adattamento del cliente sono impegnati ad agire sulle sue difficoltà e la
ricerca dei fatti permette di chiarire gli eventi.
Le funzioni dell’Io di
percepire, proteggersi,adattarsi, possono essere influenzati sia da
condizionamenti emotivi che ambientali. L’Io è solito selezionare gli stimoli
da accogliere da quelli che deve rigettare,controlla,inibisce e permette
azioni,per questo deve essere aiutato a chiarire la differenza tra ciò che vive
e ciò che interpreta.
Il processo d’aiuto per la Perlman si fonda su 4 elementi:
la
persona che sperimenta il problema;
la
natura del problema;
l’ambito
in cui ha luogo l’intervento d’aiuto;
la procedura attraverso cui il problem
solving viene portato avanti.
Altro problema
che evidenzia la Perlman
è la difficoltà che alcune persone hanno nel risolvere problematiche,in quanto
non hanno mai sviluppato abitudini e metodi ordinati di
pianificazione,risolvendo tutte le difficoltà in maniere istintiva senza
attuare quello che viene definito colloquio interno.
Le difficoltà
possono avere origini:
·scarsa
comprensione del problema;
·uso
di stereotipi ritenuti validi;
·difficoltà
di percepire un uso diverso delle risorse;
·mancanza
di risorse utili.
L’utente non è
destinatario passivo ma elemento attivo nel processo d’aiuto.
Modello rogersiano
Questo modello si
ispira ai concetti della non-direttività diffusa in Italia attraverso gli
scritti Rogers ed ampiamente utilizzati nelle scuole di servizio sociale. L’
elemento principale di tale modello è la relazione d’aiuto grazie alla quale
l’assistente sociale promuove lo sviluppo,il funzionamento e la capacità di
reagire alle prove della vita.
Rogers ha fondato
il suo modello sulla teorizzazione degli atteggiamenti psicologici e sui valori
umanistici, puntualizza inoltre che bisogna accettare il cliente cosi come egli
è e bisogna manifestargli questa accettazione. L’operatore deve comunicare sé
stesso senza ambiguità,deve esprimere calore,attenzione,rispetto ed
interesse,riconosce al cliente come diverso da sé e degno d’interesse,deve
entrare completamente nell’universo altrui,dei suoi sentimenti,delle sue
concezioni e vederle dalla sua prospettiva.
La problematicità
di questo modello è l’aver enfatizzato la non direttività che non sempre può
essere compatibile con le funzioni del servizio sociale.
Modello incentrato sul compito
Nel filone del
problem solving rientra anche il modello centrato sul compito di W.Reid. In
questo modello si evidenzia l’importanza di aiutare i clienti a procedere verso
al soluzione di problemi psicosociali.
Questi problemi
si evidenziano quando l’utente mette in essere azioni che sono guidate
prevalentemente dalla visione che ha di sé stesso e della realtà che lo
circonda ciò porterà al coinvolgimento
delle persone del suo sistema sociale.
È un modello a
breve termine,che ha lo scopo di far sperimentare all’utente comportamenti
diversi da quelli che solitamente pone in essere.
L’assistente
sociale aiuta l’utente a mettere in pratica i cambiamenti desiderati che
riguardano la sfera delle relazioni familiari e interpersonali.
Questo modello
non ricerca le cause originarie ma evidenzia e potenzia i fattori che possono
permettere all’utente di raggiungere il suo obiettivo. Solo dopo aver chiarito
le problematiche e valutata la frequenza con cui queste si presentano si può
decidere la strategia d’azione. Il compito rappresenta l’insieme di azioni che
l’utente mette in atto per raggiungere gli obiettivi. Prima che l’utente si
impegni a portare avanti il suo compito devono essere evidenziati tutti i
possibili ostacoli.
Modello di modificazione del comportamento
Questo modello
parte dal concetto che tutti i comportamenti sono appresi e quindi l’intervento
dell’assistente sociale deve permettere il rafforzamento,l’indebolimento o
l’estinzione di un dato comportamento. Le teorie base di questo modello sono le
teorie comportamentali.
La sua attenzione
si incentra sulla situazione-stimolo che fa scattare un comportamento-risposta.
Si deve evidenziare se la risposta allo stimolo deve essere rinforzata o
estinta. Le tecniche usate in questo approccio possono essere distinte in:
- Operanti
come il rinforzo positivo che è dato dall’uso di stimoli in seguito ad una risposta;
- Di estinzione
che è l’omissione di rinforzi positivi precedentemente usati;
- Di
rinforzo differenziale che è dato contemporaneamente dall’estinzione e dal
rinforzo positivo per rafforzare un comportamento ed eliminarne un altro.
Spesso si
richiede l’intervento di mediatori che altro non sono che persone dell’ambiente
di vita del soggetto che prevalentemente hanno la funzione di controllo e di
sostegno.
Questo modello
presenta chiarezza negli obiettivi perché mira al cambiamento di un
comportamento,ma è stato duramente criticato in quanto ritenuto incompatibile
con alcuni valori e principi propri del servizio sociale e considera l’utente
come destinatario passivo dell’intervento.
Le teorie
ecologico-sistematiche consentono di rappresentare la persona,il gruppo,la comunità
in maniera unitaria nella loro relazione sistematica e di porre al centro della
loro attenzione non gli individui,ma il circuito delle relazioni e degli eventi
in cui si determinano le azioni umane.
Teoria sistematica
La teoria
sistematica origina dalla teoria dei sistemi di Von Bertalanffy ,la cui pretesa
era quella di fornire uno schema generale diverso da quello classico
causa-effetto valido per tutte le scienze. La teoria fu pubblicata nel 1945.
Von Bertalanffy
aveva evidenziato che qualsiasi entità studiata è riconducibile al concetto di
sistema.
“il sistema è
costituito da un insieme di elementi che interagiscono tra loro”.
I sistemi possono
essere di tipo diverso:si definisce sistema chiuso quel sistema che non ha
relazioni con l’ambiente né in entrata né in uscita;sistema aperto quel sistema
che scambia materiale e informazioni. Il concetto di sistema aperto si adatta
agli organismi viventi per i quali l’interscambio con l’ambiente è un elemento
essenziale. Gli organismi viventi possono essere considerati come sistemi il
cui principio organizzatore è costituito dall’informazione. È definito input
un’informazione che entra nel sistema ed output una che esce. Per totalità di
un sistema si intende che ogni sua parte è in rapporto con tutte le altre
parti. Poiché i sistemi scambiano continuamente informazioni sia al proprio
interno che con l’ambiente esterno,ogni informazione può avere due difetti:o
far raggiungere l’omeostasi cioè l’ equilibrio al sistema,o provocare la
perdita della stabilità inducendo il sistema a modificarsi.
Modello ecologico esistenziale di C.Germain
In questo modello
la studiosa pone l’interesse sull’individuo e sul suo spazio vita inteso come
relazioni sia positive che negative significative per l’utente.
Quando si prende
in considerazione lo spazio vita delle persone bisogna anche considerare le
fasi del ciclo vitale sia dell’utente che della famiglia.
L’equilibrio con
l’ambiente può essere raggiunto a spese degli altri ,mediante problematiche di
conflitto o di potere,ma anche l’ambiente si modifica oltre che per l’azione
umana anche per l’azione naturale. Ciò che le scienze sociali privilegiano di
questa teoria è l’individuo nella sua interazione con l’ambiente.
Gli squilibri tra
l’ uomo ed il suo ambiente vengono principalmente definiti stress,la loro causa
può essere data sia da stimoli interni che da stimoli esterni,mentre la
risposta di un oggetto è legata all’età,alla cultura ed alle esperienze
passate. Gli eventi possono ostacolare il soggetto a far fronte alle richieste
ambientali. L’ambiente deve essere inteso come l’insieme delle reti
sociali,cioè l’insieme dei rapporti che possono influenzare il comportamento
del soggetto.
L’intervento
dell’assistente sociale deve quindi permettere di ricostruire la stima in sé
stessi,di rafforzare le difese contro l’ansia e contro la depressione,ove il
soggetto non potesse disporre di relazioni proprie lo induce in gruppi di
self-help.
Modello unitario
Questo modello
vede il servizio sociale come un intervento volto ad aumentare,intensificare e
conservare i mezzi che le persone usano per risolvere le proprie
problematicità.
L’assistente
sociale pone in essere un processo di apprendimento sociale che coinvolge sia
l’utente che sé stesso. La competenza professionale è nell’entrare a far parte
di un sistema di interazioni umane per effettuare cambiamenti dei modelli
preesistenti di comportamento e comprensione. L’assistente sociale entra
intenzionalmente in un sistema con lo scopo di alterare lo stato e l’equilibrio
preesistenti. L’assistente sociale entra in un sistema con
l’intenzionalità:cioè un progetto,con uno scopo da raggiungere;con la
consapevolezza:cioè con tutte le informazioni necessarie per raggiungere
l’obiettivo;con strategia:cioè con la modalità con cui gli obiettivi saranno
raggiunti. In questo modello sono forze socializzanti i valori,le norme,le
aspettative dell’assistente sociale, e lo strumento base per la realizzazione
degli obiettivi è la relazione professionale che permette sia di realizzare il
processo di socializzazione sia quello di apprendimento.
Questo modello
prende in considerazione tre variabili: strategia, bersaglio e fasi operative.
1.la
strategia è data dalle azioni metodologiche del servizio sociale.
2.il
bersaglio è riferito agli individui,al gruppo,alla famiglia.
3.le
fasi operative sono tre:iniziale,centrale,finale.
Modello integrato di Pinchus e Minahan
Questo modello
analizza la pratica del servizio sociale sulla base di quattro sistemi
fondamentali in relazione ai quali l’assistente sociale svolge i suoi ruoli. Il
sistema agente è definito ente,istituzione pubblica o volontaria in cui opera
l’assistente sociale.
Il sistema
utente: che è la persona, il gruppo o la famiglia che richiede i servizi.
Il sistema
bersaglio:sono le persone che l’assistente sociale deve influenzare per
realizzare le sue mete di cambiamento.
Il sistema
azione: si riferisce all’assistente sociale ed alle persona con cui lavora per
assolvere i compiti e per raggiungere gli obiettivi.
La relazione
viene vista come mezzo per svolgere la propria attività, è molto importante il
contatto a tutti i livelli sistematici,ed il tempo in modo che l’intervento sia
programmato.
Le persone
possono ricevere aiuto da 3 tipi di risorse:
Sistemi di risorse naturali o informali cioè la famiglia,gli amici,i vicini di
casa.
Sistemi
di risorse formali, ad esempio le organizzazioni o associazioni di quartiere.
Sistemi
di risorse sociali come scuola,ospedali,uffici-casa. Commissariati di polizia
ed enti di assistenza economica.
L’assistente
sociale deve avere chiari gli obiettivi dei vari sistemi che intervengono nel
processo.
Il modello sistemico relazionale
Il servizio sociale è una
delle poche professioni che ha sentito l’esigenza di vedere il problema portato
dal singolo utente all’interno di un contesto più ampio. L’attenzione ai vari
comportamenti del nucleo familiare,della rete sociale in cui era inserito
l’individuo, l’analisi della comunità come elemento che poteva contribuire,sia
a determinare il problema che a fornire risorse per la sua soluzione.
Non è un caso che la terapia
familiare annoveri tra i suoi esponenti e teorizzatori assistenti sociali quali
VIRGINIA SATIR e LYNN HOFFMANN.
Il seminario tenuto da Boehm
alla Fondazione Zancan nel 1971 a
Malosco in cui si proponeva uan lettura
sistemica dei problemi all’interno del casework o ancora la presentazione da
parte di Maluccio 1973 di una prospettiva ecologica,per arrivare all’approccio
unitario del Goldstein l’ elaborazione effettuata da Pincus e Minahan nel
modello integrato.
Il grosso sforzo
dell’assistente sociale italiano è stato quello di non cadere nel rischio di
una trasposizione semplicistica delle tecniche elaborate in altri contesti, ma
di realizzare una sintesi originale tra questa teoria e i fondamenti del
servizio sociale per arrivare all’ elaborazione di un modello per la pratica
congruente con i principi e i valori ed applicabile nel nostro contesto di
organizzazione dei servizi.
congruenza tra l’approccio sistemico e principi e valori del servizio sociale
Ogni qualvolta si pensi di
utilizzare una teoria per farne la base di un modello operativo è di valutare
la congruenza tra assunti, principi e valori del servizio sociale.
Il valore centrale del
servizio sociale è il rispetto della persona umana nella sua dignità e libertà
che si traduce in atteggiamenti quali l’accettazione e l’autodeterminazione,si
può rilevare come questo aspetto venga facilitato dall’adozione dell’approccio
sistemico.
L’assistente sociale,non si
sostituisce mai alla persona, ma attraverso la raccolta delle informazioni
fornite dai soggetti collegandole in una ipotesi che dia senso ai loro
comportamenti,propone una punteggiatura diversa,si qualifica come stimolo
perché il sistema trovi la via per riorganizzarsi in un cambiamento che sia più
funzionale alle relazioni interne ed a quelle con il contesto
sociale,rispettandone i tempi, le caratteristiche e le finalità.
La neutralità dell’assistente
sociale consente di mettere in atto un
atteggiamento di non giudizio che consente di non cadere in valutazioni troppo
legate alle proprie mappe mentali,portandolo ad esplorare sia i significati sia
i comportamenti assunti in determinati contesti. Il contesto dal quale nasce il
problema ha molta importanza perché permette un approccio globale, sia sulla
dimensione individuale che in quella comunitaria e la consapevolezza
dell’interazione di più cose e sistemi nel co-costruirsi dello stesso.
L’attenzione al soggetto ed alle sue relazioni familiari e sociali consente una
lettura del bisogno più approfondita. Anche l’atteggiamento della
particolarizzazione viene confermata dal principio dell’equifinalità che
sottolinea come a condizioni finali uguali non corrispondono in maniera
deterministica cause uguali.
Questo sollecita
un’attenzione particolare alla unicità di ogni situazione,ad una valutazione
accurata che eviti eccessive generalizzazioni o che proceda per stereotipi.
l’applicabilità del modello sistemico relazionale al servizio sociale
Utilizzare l’approccio
sistemico relazionale nel campo del servizio sociale non significa
semplicemente applicare delle tecniche di conduzione del colloquio,ma implica
un vero e proprio cambiamento nel modo di vedere la realtà.
Pincus e Minahan,nel
presentare un modello integrato per la pratica di servizio sociale
,sottolineavano la necessità di porre l’attenzione sull’interazione tra i 4
sistemi di base in relazione ai quali l’assistente sociale svolge il suo
lavoro:
il sistema agente di
cambiamento,intendendo l’ente in cui l’assistente sociale opera;il sistema
cliente cioè la persona,la famiglia,il gruppo l’organismo o comunità con cui
l’assistente sociale stabilisce un accordo di lavoro;il sistema bersaglio
inteso come le persona che si devono influenzare per realizzare gli obiettivi
di cambiamento;il sistema d’azione che comprende tutti i soggetti che insieme
all’assistente sociale operano perché il progetto dia i risultati attesi.
Pensare in maniera sistemica
vuol dire crearsi una nuova mappa mentale,procedendo per diversi livelli
sistemici,avendo chiaro che ogni delimitazione è una scelta arbitraria che può
essere funzionale alla comprensione o all’intervento, ma è sempre parziale.
Si potrà osservare
l’individuo nella famiglia. L’assistente sociale deve prima di tutto
interrogarsi su sé stesso,sulle sue idee,i suoi valori,le sue conoscenze,i suoi
stereotipi e i suoi pregiudizi. La professione di assistente sociale,benché
presente da anni nel contesto italiano,è stata fino al 1984 priva di un
riconoscimento giuridico e su questa mancanza di chiarezza si sono instaurati
meccanismi che hanno inciso negativamente sullo sviluppo di un’identità forte.
È fondamentale che l’assistente sociale,facendo leva sulla consapevolezza
dell’importanza del ruolo e delle funzioni che il servizio sociale può
svolgere,nonché su una solida preparazione teorica e pratica,si presenti con
un’identità chiara e si attivi rispetto ad una ridefinizione del proprio ruolo
all’interno ed all’esterno della propria organizzazione. Vi sono una serie di
elementi che l’assistente sociale deve tenere in memoria riaggiornandoli
continuamente,in quanto costituiscono il sistema più ampio all’interno del
quale avviene l’interazione tra lui e l’utente. Sarà opportuna una conoscenza
generale dei vari fenomeni a carattere nazionale che hanno ripercussioni sul
sociale.
Un’attenzione particolare
andrà rivolta al complesso dei servizi all’interno del quale è situato il
servizio sociale per analizzare le relazioni e le modalità di comunicazione.
Il perseguire un obiettivo di
chiarezza può evitare che si vengano a creare situazioni disfunzionali in
cui,l’azione dei servizi contribuisce a cronicizzate quegli stessi problemi che
dovrebbe risolvere.
L’utilizzo del modello
sistemico relazionale richiama fortemente l’ancoraggio al processo
metodologico,alla sua scansione in fasi,alla necessità di un comportamento
professionale che richiede tempi tecnici ed un’articolazione finalizzata del
proprio agire,senza lasciarsi organizzare della urgenze o cadere nella routine.
L’ente e il contesto dei
servizi possono condizionare l’operatore ponendo dei vincoli istituzionali e
che certe regole interne,ma l’assistente sociale modificando il suo modo di
porsi rispetto al problema,può essere un agente di cambiamento anche nei
confronti dell’organizzazione. Per quanto riguarda,in particolare il processo
di aiuto all’utenza,le modalità di accoglimento della stessa dovranno
consentire una prima raccolta di informazioni per comprendere se la domanda è
di pertinenza del servizio sociale e quale tipo di contesto apre(o valutativo),
per analizzare il tipo di segnalazione o di invio,nel caso l’utente non si sia
presentato spontaneamente e dovranno facilitare l’assistente sociale nell’affrontare
il caso.
Nell’analisi della situazione
acquista particolare rilevanza il principio da Watzlawik che un fenomeno può
risultare comprensibile allargando il contesto di riferimento.
Da questo discende la
necessità di conoscere non solo il soggetto che pone la domanda,ma anche il suo
contesto significativo a partire dalla sua famiglia nucleare ed estesa per
arrivare a cogliere le relazioni con la rete di vicinato e amicale oc on le
diverse istituzioni.
Le informazioni raccolte
andranno poi collegate in un’ipotesi di tipo sistematico,improntata ad una
causalità circolare che introduca una punteggiatura della sequenza di eventi
tale da far acquistare un significato relazionale ai comportamenti dei vari
attori.
Come riferimenti teorici per
la comprensione delle dinamiche familiari,ma anche come spunti interessanti per
i gruppi possono essere utilizzati i concetti di ciclo vitale;di struttura
della famiglia,di comunicazione disfunzionale,di gioco relazionale.
Strumenti utili dal punto di
vista grafico sono il genogramma,come possibilità di visualizzare le diverse
generazioni,e l’ ecomappa che consente di vedere la famiglia in relazione con
altri sistemi del contesto sociale.
In questa fase di analisi
della situazione come nella seguente di valutazione ,trovano un’applicabilità i
riferimenti teorici al problema dell’oggettività dell’osservatore e a quelli di
mappa mentale:non va dimenticato che è sempre l’uomo che osserva un altro uomo.
Il momento del contratto
richiama l’attenzione sull’interazione assistente sociale/utente e
sull’importanza di una chiara definizione nella loro relazione. Nella verifica
dei risultati possono essere applicati i concetti di informazione e
retroazione,di omeostasi e di cambiamento,di cronicizzazione o ristrutturazione
del sistema,di interazione utente/sistema servizi,in quanto consentono non solo
di cogliere il risultato finale,ma di rivedere il processo con la
responsabilità di effettuare correzioni dagli eventuali errori.
Semplifichiamo...
Cercheremo di calare nel
concetto di alcune situazioni l’applicazione del modello sistemico
relazionale,scegliendo diversi livelli di analisi e di
intervento:l’organizzazione, il gruppo, il lavoro con l’utente.
L’assistente sociale e la
propria organizzazione
L’attenzione al contesto in
cui avviene qualsiasi interazione porta a considerare l’organizzazione ,all’interno
della quale e per conto della quale l’assistente sociale realizza il suo
intervento.
L’interpretazione soggettiva
del ruolo professionale sopravanza la dimensione organizzativa che viene vista
o come grande supermercato da cui attingere le risorse o come Moloch che
stritola e rende impossibile l’estrinsecarsi di una professionalità.
Il primo problema che
l’assistente sociale deve porsi è quello della conoscenza del contesto
all’interno del quale è inserito. Osservare l’organizzazione da un punto di
vista sistemico ossia considerarla come un insieme di parti che operano in
funzione dell’obiettivo globale dell’intero sistema; tenere presente che come
tutti i sistemi viventi è un sistema aperto cioè capace di ricevere imput
dall’ambiente elaborarli e trasformarli in output,bisogna concentrarsi suoi
comportamenti le relazioni e le interdipendenze.
Se si assume questa chiave di
lettura l’organizzazione diventa un ambito entro cui dirige la professionalità
e per riprendere una definizione di Pincus e Minahan,il “sistema agente di
cambiamento” che può a sua volta diventare “bersaglio” dell’azione
professionale.
L’assistente sociale non è un
soggetto passivo,ma è un attore che costruisce la realtà organizzativa
attraverso dei comportamenti comunicazionali che contribuiscono a definire un
certo “gioco” dell’organizzazione.
Sarà utile “l’osservazione
valutativa degli atteggiamenti comportamentali e strategie dei suoi membri,la
valutazione delle loro specifiche risorse e dei vincoli di ogni genere che
limitano il loro margina e pesano sulle loro strategie.
Anche l’assistente sociale
può utilizzare sapere e metodologie all’interno di un piccolo spazio
disponibile rispetto al quale definisce le proprie strategie. Si supera in
questo modo una logica di causualità lineare che cerca i colpevoli di un
malfunzionamento,che tende a bloccare in qualcosa o qualcuno di altro. La
logica di tipo circolare apre la possibilità di modificare le proprie mosse del
gioco per innescare un cambiamento nel sistema.
“invece di cercare il
colpevole,invece di tentare di localizzare il vizio di struttura o di
funzionamento,si tratta di fare una diagnosi del sistema che permetta di
comprendere in cosa e perché,all’interno di tale sistema ,i comportamenti o i meccanismi incriminati
siano in realtà razionali” e quindi quali sono gli spazi di libertà oltre i
vincoli che consentono di introdurre delle strategie nuove. Il principio della
totalità consente di analizzare l’organizzazione come insieme di differenti
sottosistemi. Ciascuna parte è in relazione come le altre:ogni servizio,non va considerato come indipendente
ma come parte orientata al raggiungimento dell’obiettivo finale
dell’organizzazione,modifica l’immagine del proprio servizio all’interno
dell’organizzazione richiede l’individuazione di quali sono le
interfrecce,l’analisi del proprio modo di porsi,di comportarsi,di retro-agire
alle comunicazioni di cui è destinatario.
Modificando il proprio modo
di comunicare si potrà poco alla volta facilitare il cambiamento di patterns
disfunzionali.
Meno la situazione cambia più
si insiste con la stessa modalità d’azione che non avendo come effetto una
modificazione,porta ad un’ulteriore cristallizzazione del gioco disfunzionale.
Il principio dell’omeostasi
porta a riflettere su come anche nell’organizzazione vi siano meccanismi che
tendono a mantenere stabile la struttura e informazioni che spingono al
cambiamento.
L’obiettivo delle istituzioni
nelle quali è inserito il servizio sociale è quello di rispondere ai bisogni
dei cittadini. Purtroppo le organizzazioni pubbliche per i vincoli legislativi
e la formalizzazione delle procedure tendono a irrigidirsi a burocratizzarsi
traendo gli obiettivi per cui sono nate,comportandosi come se fossero sistemi
chiusi.
Il sistema tende ad
auto-mantenersi e danche quando le istanze collettive vengono recepite a
livello politico,queste trovano difficoltà ad essere attuate perché i giochi
organizzativi si sono irrigiditi e gli attori si sono accomodati su mosse da
cui traggono un tornaconto.
Il rischio che si corre è
quello di cambiare tutto per non cambiare nulla:cambiare norme,struttura
formale,attività e compiti,ma lasciare inalterata la logica,i giochi.
La proprietà dell’equifinalità
mette in guardia dai tentativi di esportare o assumere modalità organizzative
che si sono rivelate funzionali in altri ambiti,è fondamentale costruire
dall’interno protocolli,percorsi,modelli d’intervento con processi autonomi
rapportati alla specificità della situazione. L’utilizzo della metafora
familiare può essere uno strumento che
facilita la comprensione di dinamiche e giochi organizzativi.
L’organizzazione,si
caratterizza come un gruppo in cui vanno identificati dei livelli di
responsabilità analoghi a quelli generazionali,rispetto ai quali deve essere
chiaro il ruolo. Si dovrebbero evitare forme estreme e irrigidite di
invischiamento che danno origine a servizi ad appartenenza totalizzante in cui
è impossibile evidenziare delle differenze,tutti fanno le stesse cose e poca è
la comunicazione e l’attenzione ai feedback con l’esterno. Se si analizza la
storia di un servizio si possono cogliere degli elementi interessanti e
individuare,le differenze tra un servizio di nuova costituzione(Ser.T) o
servizi che derivano dalla trasformazione o riconversione di servizi
precedentemente esistenti. Il decentramento o il riaccorpamento come il
passaggio dal Comune all’Asl,o il rientro dell’Asl al Comune,introducono non
solo delle modificazioni istituzionali,ma agiscono come eventi critici
all’interno di uan sorta di ciclo vitale del sistema servizi. Può essere utile
allora formare una sorta di “genogramma”,in cui l’attribuzione simbolica di
ruoli simili a quelli familiari può facilitare l’individuazione di alleanze.
Interessante può essere
l’individuazione di regole implicite o esplicite,presenti nei rapporti all’interno
di ciascun sottosiste a,tra i vari sottosistemi dell’organizzazione e tra
questi e l’esterno. Vi sono regole che derivano dalle norme legislative,ed
altre che vengono dagli operatori.
È importante che si rifletta
su questi aspetti utilizzando la metacomunicazione anche come strumento per la
risoluzione di eventuali problemi relazionali che possono essere sottesi.
Questi hanno dei riflessi sulla
relazione che l’assistente sociale instaurerà con l’utente. Qualora le
dinamiche interne al servizio o fra più servizi ed istituzioni siano
disfunzionali, possono contribuire ad aggravare i problemi che la stessa
organizzazione è deputata a risolvere.
Le attività degli
operatoti,nel caso in cui non vi sia chiarezza nella definizione delle
relazioni possono ostacolarsi,innestando conflitti e competizioni su
preesistenti disfunzioni familiari e individuali dell’utenza.
Un altro aspetto
particolarmente interessante da analizzare è quello che riguarda i “miti” che
Ferriera definisce come”…un certo numero di opinioni ben
sistematizzate,condivise da tutti i comportamenti della famiglia,concernenti i
reciproci ruoli familiari e la natura della loro relazione”.
Alcuni miti delle
organizzazioni socio-sanitarie sono stati studiati da Cigoli che ne ha
evidenziato le funzioni difensive e protettive. Le prime operano soprattutto
all’interno del sistema e si verificano quando i membri di un’organizzazione
distorcono in modo collusivo la realtà,nel tentativo di tenere lontano
conflitti ed apetti imprevisti e indesiderati.
Le seconde operano a livello
di relazioni con l’esterno e servono a creare confusione e disorientamento in
chi non fa parte dell’organizzazione.
L’operatore che voglia
portare dei cambiamenti all’interno della propria organizzazione deve porre
molta attenzione a questo problema.
Il mito,se sfidato e
attaccato bruscamente può portare aduna coesione molto forte degli
operatori,dell’organizzazione contro chi tenta di sottravisi. Può essere dunque
utile cogliere il gioco coperto del mito e operare piccoli cambiamenti che
vengono vissuti come meno minacciosi.
Il processo di aiuto
Analisi della domanda
“Per processo di aiuto si intende l’azione teoricamente fondata e metodologicamente ordinata attraverso cui gli operatori rispondono ai bisogni dei singoli e collettivi dell’utenza attivando le proprie competenze professionali, le risorse istituzionali, familiari e personali richiedenti.”
Il fine del processo di aiuto
è indurre un cambiamento e il procedimento avviene mediante fasi logiche:
·
il punto di
partenza è l’incontro con l’utente, che dovrà essere affrontato in modo
diverso, a seconda se la domanda-bisogno sarà portata dall’utente stesso, e quindi
questo è pronto alla collaborazione perché ha valutato l’esistenza di un
problema,o se l’istanza è posta all’insaputa della persona, quindi si andrà
contro a delle difficoltà.
Analisi della situazione
Questa fase consiste nella
raccolta di informazioni sul cliente, sulla situazione, sul contesto globale
del suo spazio-vita, sulle situazioni e sugli enti sociali.
Le informazioni dell’ambiente
sociale in cui vive l’utente sono fondamentali, poiché aiutano a comprendere in
quale contesto egli vive con il suo problema (città,periferia o zona rurale); è
altrettanto importante conoscere le scelte politiche sociali,le aree coperte
dai servizi,il tipo di occupazione prevalente sul territorio, il tipo di
territorio, se è di recente costruzione, se vi sono spazi verdi e spazi di
aggregazione; inoltre è fondamentale conoscere le risorse pubbliche e private
esistenti, le associazioni e gruppi di volontariato.
Si deve dunque osservare
l’individuo e la famiglia nella rete familiare e nel contesto sociale.
Colloquio
Il colloquio è lo strumento
privilegiato del processo d’aiuto, la stessa H.Pearlman scrive che la relazione
con il cliente deve diminuire l’inquietudine, aumentare il suo sentimento di
fiducia e speranza, e colui che accetta di aiutare deve utilizzare alcuni
modelli di comportamento quali:
rapporto, sostegno, rassicurazione, chiarificazione, spiegazione.
Con la chiarificazione si
tenderà a comprendere tutti gli aspetti della problematica, la natura del
problema le ripercussioni sociali,le modalità con cui sono state affrontate
fino al momento della richiesta di aiuto che permetterà all’assistente sociale
di comprenderà la realtà e permetterà al cliente di evidenziare gli aspetti
oggettivi della situazione.
Con il sostegno si tenderà a
rafforzare il cliente e ridurre l’ansia ed a liberare tutte le forze presenti
in lui consentendogli di sentirsi compreso.
Con la comprensione si sé,
l’assistente sociale dovrà sollecitare il cliente a riconoscere alcuni aspetti
della sua personalità e in tale aspetto vengono riconosciuti due livelli:
il primo è psicoterapeutico,
cerca di comprendere il passato del passato e gli eventi che avrebbero potuto
influire sulla sua personalità;
il secondo è tendente a far
capire come il comportamento del cliente è capace d’influenzare la risposta
degli altri.
Nel colloquio l’assistente
sociale osserverà il comportamento del cliente, il suo atteggiamento e i suoi
silenzi che non sono altro una forma di comunicazione non verbale.
Nel colloquio le domande
hanno una duplice funzione:
propulsiva, fungono da
stimolo per il cliente che sente di poter comunicare il suo vissuto e le sue
emozioni;
epistemologica, un mezzo di
conoscenza per l’operatore.
Nella costruzione delle
domande devono essere presenti due concetti:
1.Circolarità, si
intende la possibilità di formulare domande attingendo elementi dalle risposte
e dalla struttura di rapporto su cui si basano;
2.Significatività,
permette all’operatore di avvicinarsi a ciò che sente importante e vitale per
l’interlocutore. Il tono della voce, la postura, la gestualità trasmettono un
clima d’accoglienza.
I segnali del linguaggio
analogico che maggiormente interessano il lavoro sociale sono i segnali
emozionali, che trovano massima espressione nel volto.
Tuttavia lo strumento del
colloquio non è cosa facile, ci sono capacità che si acquistano con
l’esperienza e che aiutano a riflettere su di essi in modo sistematico e
scientifico.
Definire il colloquio è
possibile dicendo che si tratta di una conversazione che ha uno scopo preciso,
accettato dai partecipanti a differenza della conversazione che va avanti per
associazioni di idee e non esiste un tema centrale.
Il solo comunicare induce,
all’interno di un processo relazionale, a cambiamenti.
La competenza primaria
dell’assistente sociale è quella di costruire relazioni di aiuto attraverso la
comunicazione.
Le persone si differenziano
tra di loro per il comportamento che assumono nella vita interpersonale, per la
capacità di mantenere un rapporto e per la capacità di comprendere
l’interlocutore.
La stessa persona utilizza
stili diversi in momenti differenti, e si appropria di modello caratteristico
di modalità espressive, che guidano i rapporti interpersonali.
Per realizzare un colloquio è
necessario avere un obiettivo chiaro, un metodo di lavoro e un modello
teorico di riferimento.
Quest’ultimo permette di
costruire e possedere una tecnica di conduzione del colloquio, orienta nel
decidere quali sono le domande utili e inviare feedback cha siano di aiuto per
la situazione di disagio, permette inoltre di raccogliere tutte le notizie
necessarie per formulare ipotesi.
Nel dettaglio prendiamo
alcune idee di fondo adattate al servizio sociale:
1.la circolarità
ossia la consapevolezza di entrare in un sistema interattivo, aperto
all’influenzamento reciproco, e di dover escludere la logica “causa-effetto”.
2.la neutralità intesa
come la capacità di costruire alleanze provvisorie, senza effettuare
coalizioni;
3.l’ipotizzazione
ossia l’abilità dell’operatore nel costruire ipotesi di lettura d’intervento;
4.il cambiamento
come condizioni necessarie all’evoluzione familiare.
Con strategia di colloquio
s’intende l’insieme di azioni volte a raggiungere uno scopo,essa rappresenta la
modalità con cui l’assistente sociale cerca di affrontare e risolvere il
problema, permettendo il raggiungimento dell’obiettivo.
Con tattica s’intende
piuttosto ciascun mezzo e manovra che si adotta nell’ambito di una
strategia,essa rappresenta la scelta delle modalità comunicative per poter
raggiungere l’obiettivo.
L’assistente sociale è tenuto
a potenziare la sua capacità di attenzione,poiché nel momento in cui si riesce
a prevedere gli effetti dei propri
comportamenti e scelte, si potrà utilizzare anche la strategia e la tattica
migliore per raggiungere l’obiettivo.
Le strategie più utili nel
servizio sociale per comprendere e affrontare i problemi le identifichiamo in:
1.la scelta di
utilizzare le capacità della mente, quindi per connessioni,che permette
all’assistente sociale di riuscire con un filo logico a contestualizzare il
tutto, le connessioni offrono inoltre messaggi che possono modificare
percezioni e vissuti soggettivi, nella relazione tra persone
(marito/moglie;genitori/figli ecc..)
2.formulazione
delle ipotesi per fornire risposte a domande e bisogni espliciti ed impliciti
che avviene dopo aver raccolto notizie e informazioni.
3.le tattiche
vengono pensate in base al modo in cui il cliente si esprime seguendo regole
precise:
a)la comunicazione
interpersonale, è un processo a spirale con caratteristiche di reciprocità;
b)per avere un atto
di comunicazione sono essenziali almeno sei fattori: l’emittente, un
codice, un messaggio, un contesto, un canale, un ricevente.
Nella conduzione del
colloquio è possibile distinguere il linguaggio in:
a)domande, la formulazione di queste va accuratamente preparata,
poiché assumono un significato sia per la formulazione delle ipotesi che per
preparare l’intervento;
b)affermazioni, si utilizzano in parti di dialogo in cui si esprimono
in constatazioni chiare sulla situazione di bisogno;
c)ristrutturazioni,
ovvero presentare all’utente una
diversa visione della realtà;
d)prescrizioni, una modalità che l’assistente sociale utilizza per
aiutare a superare una condizione di empasse.
Un aspetto da non
sottovalutare nel colloquio è la comunicazione non verbale (analogica) che non
è di facile interpretazione, ma di grande rilevanza, essa ci permette di cogliere la congruenza tra ciò
che si dice a parole e ciò che si esprime inconsapevolmente con il corpo.
Il colloquio di valutazione
La gestione del colloquio di
valutazione prevede l’uso corretto di competenze tecniche per considerare tutte
le variabili dall’invio della valutazione alla comprensione degli effetti
presenti e futuri nell’utente.
Le modalità di comunicazione
devono esprimersi nella costruzione di un rapporto di fiducia, che è un
importante segnale di disponibilità nell’affrontare temi non sempre facile
gestione.
La durata del colloquio è di
massimo 45-60 minuti e il clima che si crea rispecchia i contenuti portati, la
tensione emotiva, che può far emergere sentimenti e stati d’animo reali.
Infine è prevista una
relazione per documentare la diagnosi fatta ed il lavoro svolto, e dovrebbe
sempre essere presentata al soggetto della valutazione, anche perché è previsto
dalla legge 241/92, che sancisce il diritto alle persone di esaminare la
documentazione che li riguarda.
Metodologia operativa del colloquio
La preparazione,gestione e
documentazione del colloquio deve svilupparsi in un tempo di circa un’ora.
Il colloquio è caratterizzato
da 4 fasi:
la fase sociale, di accoglienza, in cui si accoglie l’utente e chi lo
accompagna, lo si fa accomodare mettendolo a proprio agio e si cerca di capire
il clima delle relazioni presenti o vissute che ha portato la persona a
chiedere aiuto;
la fase di indagine in cui si pongono domande informative, di valutazione
e chiarimento (quale interpretazione si dà al problema, cosa si è fatto e quali
sono le aspettative del cliente), e degli aspetti relazionali (come vive la sua
condizione);
la fase interattiva nella quale si cerca di comprendere con domande
circolari sull’organizzazione familiare e sul rapporto con l’ambiente esterno;
la fase di definizione
degli obiettivi in cui si conclude il
colloquio ridefinendo la situazione, individuando un percorso e assegnando
compiti su cui lavorare.
La valutazione preliminare del problema
Con il termine “valutare” si
intende stimare il valore,la quantità,l’importanza o la grandezza delle cose,
dare un opinione su qualcosa.
La valutazione è un
procedimento operativo che sfocia in un progetto d’intervento, sia su istanza
del cliente che su mandato e deve condurre a centrare le difficoltà da
risolvere.
Le fonti che permettono la
valutazione della situazione sono, il cliente, il suo ambiente e gli altri
operatori.
È importante valutare come il
cliente vive il suo problema,cosa ha fatto per risolverlo, quali sono le
risorse disponibili e quali sono le aspettative del cliente, tutti fattori
utile per realizzare ipotesi che devono a sua volta essere confermate o negate
dal cliente stesso.
Elaborazione del progetto d’intervento
Il progetto d’intervento è un
itinerario operativo teso a raggiungere
gli obiettivi posti, esso è un’operazione teorica che fa uso delle risorse e
permette la realizzazione delle attività e la verifica dei risultati, deve
essere in forma scritta e condiviso da tutti i soggetti.
Nell’elaborazione devono
essere stabiliti con il cliente, gli obiettivi,i tempi ed i compiti, poiché
solo progettando si anticipa il pensiero all’azione ed esso si formula su base
di una situazione che si conosce parzialmente e si intende modificare, deve
essere coerente con le disposizioni legislative, con il mandato del servizio e
basato sui valori e metodologie della professione.
Il progetto deve basarsi
sulla:
1.parzialità: intesa
come delimitazione del problema, in cui si articolano priorità e susseguente;
2.fattibilità: le
azioni previste devono essere realizzabili e gli ostacoli devono poter essere
superati;
3.gradualità: deve
tener conto dello stato delle cose e dei problemi e gli obiettivi devono essere
fattivi;
4.integrazione: si
devono integrare tutti i saperi e le conoscenze che concernano l’intervento,le
persone, il territorio, i servizi e le risorse.
Per riconoscere la volontà di
operare e ritrovare il sistema in una problematica, l’assistente sociale fa uso
di un “contratto”.
Il contratto costituisce un
impegno reciproco, in esso vengono definiti i problemi,il piano operativo e gli
obiettivi, inoltre esso si può presentare in forma scritta o verbale.
La realizzazione del progetto
d’intervento è la “prassi operativa” di tutto ciò negoziato nel contratto, che
comporta diversi interventi funzionali realizzati attraverso colloqui, riunioni
e relazioni pragmatiche.
La valutazione dei risultati
deve essere presente in tutto il processo d’aiuto e la verifica comporta la
comparazione tra il progetto d’intervento e i risultati ottenuti.
Conclusione dell’intervento è la fase anch’essa molto
importante e come le altre deve essere programmata, tuttavia vi possono essere
cause che provocano la conclusione del processo anticipatamente, ma è
fondamentale che il processo di aiuto si conclude con la valutazione dei
risultati avuti.
I questi contesti di
ruolo,organizzazioni di servizi e riferimenti teorici, l’assistente sociale
inserisce strategie di compito e strategie di rete.
Strategie di compito
Gli assistenti sociali devono
aiutare i clienti a capire e definire i loro problemi e facilitare le azioni di
problem-solving, nell’intervento non riguarda la situazione complessiva della
persona,ma è l’aspetto scelto e riconosciuto come problematico,considerato
trattabile in relazione alle risorse disponibili ed alla volontà della persona.
L’aspetto problematico è
affrontato attraverso la realizzazione di compiti definiti e funzionali,con un
obiettivo da raggiungere entro un tempo limitato.
La limitazione del tempo e
del campo accentua l’effetto dell’azione mobilizzando sia le risorse dell’io
del cliente sia le energie operative dell’assistente sociale. L’indagine nel
campo del privato è limitata e circoscritta. Lavorare sul compito permette alla
persona ed ai suoi familiari più significativi di partecipare attivamente.
Metodologie di rete
Riflessione sull’importanza del lavoro di rete
In questi ultimi anni i
servizi sociali e i servizi sanitari sono stati oggetto di una serie di
interventi legislativi, che hanno modificato l’intervento,gli obiettivi e le
risorse.
Si è avuta anche una lettura
diversa delle problematiche sociali con una concezione multi-dimensionale del
bisogno e della malattia, in cui sono intrecciati aspetti medici, economici,
psicologici e sociali.
Contemporaneamente
l’assistente sociale ha dovuto adattare il suo ruolo,trovandosi a ad operare
come membro all’interno di una equipe, o come coordinatore di utenti e di
associazioni di volontariato.
Per garantire i diritti ai
cittadini, i servizi sociali,sociosanitari e socio-assistenziali, devono
affrontare diverse problematiche per garantire condizioni di vita, di crescita,
di supporto e di cura più adeguate.
Dunque, affinché i servizi
siano più efficaci si può pensare solo al “lavoro di rete”.
Ogni servizio è organizzato
sulle competenze istituzionali che gli sono state attribuite, si è avuta quindi
una scomposizione del lavoro ed ogni servizio ha assunto una figura
professionale diversa che integra la propria parte di lavoro con quella degli
altri,ma i risultati hanno evidenziato le difficoltà strutturali del lavoro di
equipe.
Nella maggior parte dei casi
ci si ritrova di fronte a problematiche
che richiedono l’intervento di più servizi ed è per questo che si deve dar
luogo al lavoro di rete.
Nel servizio sociale si parla
di rete statica, che mette in rete operatori e servizi in modo formale; e di
rete mobile, che è un modo nuovo di lavorare temporanea, formata da figure
professionali in funzione degli obiettivi da raggiungere.
La rete
La metafora della rete è
utilizzata nel servizio sociale per dare un’ idea dei rapporti esistenti fra i
diversi soggetti, siano essi individui, gruppi o organizzazioni.
Ciascun soggetto è un nodo della rete e le loro connessioni
costituiscono il reticolo.
La rete è uno strumento di
analisi della realtà e un modello d’intervento per la soluzione dei
problemi,attraverso questo tipo d’intervento si potrà consolidare le relazioni
esistenti e crearne delle nuove.
Cenni storici
il termine rete è stato
utilizzato dall’antropologo John Barnes, negli anni ’50, per definire le
relazioni tra i soggetti nella loro vita quotidiana.
Nei suoi studi egli individuò
l’esistenza di tre tipi di relazioni:
quello lavorativo,quello
relativo al territorio e quello trasversale, che coinvolgeva tutte le relazioni
di parentela,amicizia e vicinato.
Altri studiosi si
interessarono di questo tipo di ricerca, come ad esempio, Elisabeth Both che
effettuò uno studio sul rapporto esistente tra i ruoli coniugali e le
interazioni sociali.
E al termine degli studi ella
evidenziò due tipi di relazioni:
Relazioni coniugali separate,
caratterizzate da rigide divisioni del lavoro familiare;
Relazioni coniugali congiunte,
che si basavano sulla condivisione e partecipazione del lavoro familiare.
Ella distinse, inoltre, le reti a maglie
aperte, in cui pochi soggetti si frequentavano, e reti a magli chiuse, dove
molti membri della rete si conoscevano.
Le conclusioni misero in
evidenzia che le reti a maglie chiuse inducono ad una maggiore divisione dei
compiti tra i coniugi, mentre quella a maglia aperta presentano una maggiore
sviluppo dei ruoli congiunti.
Parlando di reti si può
effettuare una divisione in: reti primarie, che sono unità
di vita sociale, in cui le persone si conoscono e sono unite da un legame,tali
reti sono di solito di natura affettiva, basate sulla reciprocità e non si
fondono mai su uno scambio monetario; reti secondarie Formali, che sono create da
istituzioni e hanno funzioni specifiche e i loro scambi non si basano sulla
reciprocità; reti secondarie non Formali, che sono state
create per iniziativa di membri delle reti primarie per uno scopo comune, e si
caratterizzano per scambi di servizi.
Le reti possono rappresentare
spazi di convivenza e di dissidenza, quindi sia sostenere la realizzazione dei
soggetti e sia imprigionarli nel
conformismo.
Le reti sono catene di persone
con cui ogni soggetto è in contatto e hanno funzioni e valenze diverse,
culturali,di aiuto e di sostegno.
Grazie alla propria rete
personale si soddisfano esigenze di:
IDENTITà;
AUTONOMIA;
SOCIALIZZAZIONE.
Una rete può essere costituita
da 3 o più soggetti e ognuno di esso non è posto secondo una gerarchia, ma è
un’unità capace di azione autonoma.
La differenza tra concetto di
rete e sistema è che il sistema tende a difendere la sua identità fissando i
confini, la rete invece è una realtà in continua costruzione ed evoluzione.
Le caratteristiche strutturali
di una rete sono:
l’ampiezza, che rappresenta il numero di
persone costituisce la rete;
la densità, che è il numero di relazioni
esistenti tra i soggetti che possono oscillare da 0, una rete Egoica in cui
ogni soggetto comunica solo con Ego, e 1 in cui ogni soggetto comunica con Ego e con
gli altri;
la interconnessione, il numero di legami per
connettere due elementi nel modo più breve;
la settorialità, cioè il grado in cui la rete
può essere suddivisa in sotto-unità ed inoltre gli studiosi hanno evidenziato
anche delle variabili internazionali, che consentono di valutare l’intensità
delle relazioni;
il contenuto della relazione, cioè l’oggetto di scambio,
materiale o immateriale;
la direzione della relazione, in cui si evidenzia la
reciprocità o l’unilaterialità;
la frequenza della relazione,cioè il numero delle
relazioni i membri ed Ego e i membri;
la durata della relazione, cioè la persistenza di una
relazione nel tempo;
L’intensità della relazione, cioè la profondità che
dipende dalle cose messe in comune.
Nelle reti e tra le reti, si
possono osservare delle dinamiche relazionali utili per l’intervento.
Quello più diffuso è “il
discorso collettivo”, cioè il complesso di norme, costumi regole e credenze che
caratterizzano la cultura della rete, osservando tutto ciò si possono
evidenziare le alleanze tra i diversi membri e le loro relazioni di vicinanza e
lontananza, un aspetto fondamentale per l’intervento di rete.
La metodologia di rete può
essere utilizzata come indirizzo terapeutico, ed è stata una delle prime
modalità utilizzate negli anni ’70 da
Speck poiché consente ad apportare cambiamenti che i membri intendevano
attuare.
In Italia si ha un notevole
sviluppo della metodologia di rete per la cura della comunità, uno dei maggiori
artefici fu Fabio Folgheraiter, che mira a sollecitare la comunità civile come
soggetto autonomo di cura.
Lavoro di rete
Il lavoro di rete è costituito
dall’insieme delle connessioni delle risorse e delle strategie poste per creare
relazioni significative affinché si migliori il livello di benessere.
Il lavoro di rete si base
sulla visione della realtà come reticolare e sul fronteggiamento dei problemi.
La rete è distribuita in tante
volontà distinte,ciascuna libera di prendere qualsiasi direzione e libera di
creare relazioni.
Nell’intervento sociale si
parla di relazione Guida quando un
operatore interviene deviando la direzione della rete, e questo avviene quando
subentra l’esperto nella rete presentando una nuova realtà.
L’operatore deve riconoscere
le persone, le loro relazioni e diversificare il suo intervento sulla base
delle risorse disponibili.
Le relazioni verranno
rappresentate graficamente evidenziando le funzioni che Ego attribuisce ad ogni
soggetto.
La rete è strutturata
gradualmente,partendo dal percorso che ha portato Ego alla richiesta,
evidenziando le persone che sono state mobilizzate da Ego.
E sulla base della
rappresentazione si potrà analizzare la densità,l’estensione e i punti su cui
l’operatore potrà operare.
Il lavoro dell’operatore sarà
teso a contattare i legami di disponibilità, a stimolare la riflessione sulla
situazione ed evidenziare il ruolo della rete orientandola verso lo sviluppo di
una progettualità.
Tuttavia l’operatore va in
contro a delle difficoltà, trovandosi di fronte a soggetti isolati, quindi
dovrà introdurre nel tessuto sociale di Ego altri elementi relazionali.
L’operatore sia quando opera
con una rete natura e sia con quella mista deve trasformare i nodi relazionali
in nodi di supporto.
L’operatore deve aiutare i careers
con interventi di supporto emotivo,formativo, cona la partecipazione a gruppi
di self-help e con interventi integrativi.
Gli incontri con la rete hanno
funzione di controllo dell’andamento, e permettono di valutare lo sviluppo e la
crescita della rete.
Vi sono casi in cui
l’operatore di rete è riconosciuto come Case Manager, che assume una duplice
contrapposta funzione, può avere la funzione di costruire pacchetti standard di
prestazioni assistenziali basate su razionalità ed economicità, oppure avere la
funzione di agire in modo discrezionale e flessibile, seguendo la situazione e
non direttive standard.
Concetto di empowerment
il concetto fondamentale su
cui si basa l’intervento di rete è l’empowerment.
L’empowerment è il sentire di
avere potere o sentire di essere in grado di fare; esso è sia un sentimento che
uno stato psicologico, è una convinzione di potere agire, ma anche una
strategia operativa.
Il modo in cui vengono erogati
i servizi, nel servizio sociale, può mettere in crisi l’empowerment del cliente
che si sente incapace, ma tuttavia lo stesso cliente, sapendo di poter
usufruire di un servizio, delega la soluzione delle sue problematiche,
attendendo l’intervento formale, senza mettere in gioco il suo empowerment.
L’operatore agendo secondo
l’empowerment, non accentra il problema su di sé o sul servizio, ma va alla
ricerca di persone, all’interno della rete, che collaborano e svolgono i propri
compiti.
R.M.
. I modelli teorici del servizio sociale, Maria Dal Pra (a cura di) Ed. Astrolabio
. Assessment nei servizi sociali - La valutazione iniziale degli interventi di aiuto e controllo, J. Milner e P. O'Byrne, Ed. Erickson
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